Creato da namy0000 il 04/04/2010

Un mondo nuovo

Come creare un mondo nuovo

 

 

L'infanzia e la guerra

Post n°4059 pubblicato il 01 Settembre 2024 da namy0000
 

2024, Erri De Luca, Avvenire 31agosto

L’infanzia e la guerra

Si dice che le bambine giocano a far le madri e i bambini ai soldati. Li vedo invece giocare intensamente e seriamente alla vita, come i cuccioli che in ogni loro mossa si addestrano e si allenano. Le guerre li sballottano da un posto all’altro, senza giocattoli nel bagaglio profughi. Mentre gli adulti crollano in un pianto loro guardano intorno rasoterra per vedere se arrivano altri bambini o un cane oppure un uccello. Di colpo si addormentano nel loro sonno a forma di fortezza. Certo, nell’immediato piangono di paura per le esplosioni e per contagio della paura espressa dagli adulti, responsabili della loro protezione. Nel ghetto di Varsavia i bambini procuravano cibo ai genitori infilandosi nei cunicoli che portavano all’esterno, dove per contrabbando e per elemosina rimediavano qualcosa da portare a casa. Rischiavano la morte in uscita e in entrata. E quando s’incamminarono dall’orfanotrofio verso i vagoni destinati a Treblinka, sfilarono in silenzio, in fila per cinque, tenendosi per mano. Quando fanno il gioco della guerra muoiono cento volte. Possono spiegare loro ai grandi che cos’è questa baldoria infame, detta sommariamente guerra. Leggo nel Talmud che è il frutto a proteggere l’albero.

 
 
 

La teoria della pace

Post n°4058 pubblicato il 31 Agosto 2024 da namy0000
 

Internet, agosto 2024

Johan Galtung

La teoría de la paz de Johan Galtung es una de las más influyentes en el campo de los estudios de paz y resolución de conflictos. Uno de sus conceptos principales es la educación para la paz, que se enfoca en enseñar habilidades para la resolución pacífica de conflictos y la creación de sociedades más justas y equitativas.

Scopri la teoria della pace di Galtung: le chiavi per un mondo più pacifico

Johan Galtung è uno dei teorici più rinomati nel campo della teoria della pace. Galtung definisce la pace come uno Stato in cui i conflitti sono risolti pacificamente e si creano le condizioni per la giustizia sociale e l'uguaglianza.

Nella sua prospettiva, la pace non è semplicemente l'assenza di violenza, ma uno Stato in cui si promuove la cooperazione e si affrontano le cause profonde dei conflitti. Per Galtung, la pace è un processo continuo e dinamico che richiede sforzi costanti per mantenerla e migliorarla.

Galtung identifica tre dimensioni della pace che sono necessarie per raggiungere uno stato pacifico:

·   Pace negativa: si riferisce all'assenza di violenza fisica, come guerre o atti di terrorismo. La pace negativa è il primo passo per raggiungere la vera pace, ma da sola non basta.

·   Pace positiva: si riferisce alla presenza di condizioni sociali ed economiche che consentono una vita dignitosa e giusta per tutti gli individui e i gruppi. Questa dimensione della pace implica l'eliminazione della povertà, della discriminazione e dell'oppressione.

·   Pace culturale: si riferisce al rispetto e all'apprezzamento delle differenze culturali e alla promozione della diversità. La pace culturale è necessaria per favorire la comprensione e la cooperazione tra individui e gruppi di culture diverse.

Galtung sostiene che queste tre dimensioni sono interconnesse e devono essere affrontate contemporaneamente per raggiungere uno stato di pace sostenibile.

Le cause del conflitto secondo Galtung

Galtung identifica anche tre tipi di violenza che sono le cause profonde dei conflitti:

·   Violenza diretta: si riferisce alla violenza fisica che viene esercitata direttamente

 

 

Johan Galtung è un sociologo norvegese, ideatore della Teoria della Pace di Galtung, una scuola di pensiero che ha come obiettivo principale la risoluzione pacifica dei conflitti. 

La teoria della pace di Galtung si basa su tre concetti fondamentali: violenza diretta, violenza strutturale e violenza culturale. Questi tre tipi di violenza si relazionano e si alimentano a vicenda, creando un ciclo di violenza difficile da spezzare.

La violenza diretta si riferisce alla violenza che viene esercitata in modo esplicito e visibile, come la violenza fisica e la violenza verbale. Questo tipo di violenza è di solito il più ovvio, ma Galtung sostiene che è solo la punta dell'iceberg e che ci sono altre forme di violenza meno visibili ma ugualmente dannose.

La violenza strutturale si riferisce alla violenza che viene esercitata attraverso strutture sociali, economiche e politiche. Ad esempio, la povertà, la discriminazione e l'esclusione sociale possono essere considerate forme di violenza strutturale. Questo tipo di violenza è più difficile da rilevare e combattere, poiché è incorporato nelle strutture di potere.

La violenza culturale si riferisce alla violenza che viene esercitata attraverso credenze, valori e norme culturali. Ad esempio, la discriminazione sulla base del genere, della razza o della religione può essere considerata una forma di violenza culturale. Questo tipo di violenza è particolarmente difficile da sradicare, poiché è profondamente radicato nella società.

Galtung propone che per raggiungere la pace, è necessario affrontare i tre tipi di violenza in modo olistico, poiché sono strettamente correlati tra loro. La teoria della pace di Galtung è stata applicata in diversi contesti, come la risoluzione dei conflitti internazionali e la lotta contro la violenza di genere.

Uno dei suoi concetti principali è l'educazione alla pace, che si concentra sull'insegnamento delle competenze per la risoluzione pacifica dei conflitti e la creazione di società più giuste ed eque.

La Teoria della Pace di Galtung è una teoria che descrive gli elementi necessari per creare una pace sostenibile e duratura. Uno dei concetti chiave di questa teoria è la "Pace Positiva". Secondo Johan Galtung, il creatore di questa teoria, la pace positiva è più della semplice assenza di violenza.

La pace positiva è uno stato in cui sono state affrontate le cause profonde del conflitto e della violenza. Non si tratta solo di fermare le guerre e gli scontri, ma di creare un ambiente in cui i popoli e gli individui possano prosperare e svilupparsi senza paura della violenza.

La pace positiva può essere definita come uno Stato in cui le cause profonde del conflitto e della violenza sono state superate e c'è un clima di armonia e cooperazione tra le persone e le nazioni. Si tratta di uno Stato in cui le persone possono vivere in sicurezza e dignità, e in cui sono state affrontate le disuguaglianze economiche e sociali che sono spesso la causa principale dei conflitti.

La pace positiva non è semplicemente l'assenza di violenza, ma una condizione in cui gli individui e le nazioni possono prosperare insieme, condividendo opportunità e risorse. Ciò significa affrontare le cause profonde dei conflitti e lavorare per correggere le disuguaglianze economiche e sociali che sono spesso all'origine della violenza.

 
 
 

Un ciclone di energia

Post n°4057 pubblicato il 31 Agosto 2024 da namy0000
 

2024, Avvenire, 30 agosto

Il brasiliano. Gabrielzinho Araujo, un ciclone di energia che travolge le Paralimpiadi

Nella gara a dorso ha stregato il pubblico francese

Aveva sfilato lungo i Campi Elisi col vessillo del Brasile attaccato alla spalliera del suo triciclo elettrico, ed era stato applaudito in piazza della Concordia quasi come fosse un eroe, cappellino da pescatore e tuta a maniche lunghe. Ventiquattr’ore più tardi si è mostrato al mondo nudo alla Défense Arena, dove ha confermato di valere un posto nel gotha del nuoto paralimpico mondiale. Il ventiduenne Gabriel Geraldo Dos Santos Araujo ha vinto i 100 dorso S2, dimostrando che anche senza braccia e con i piedi corti si può infiammare una piscina. Nato con la focomelia, una condizione rara che causa l’accorciamento degli arti, ha cominciato a nuotare quando la sua insegnante di educazione fisica, lo iscrisse a una competizione scolastica senza che lui lo sapesse. Si tuffò, vinse e da allora non ha più smesso. A Tokyo aveva conquistato tre ori e un argento, qui vuole calare in acqua un poker dorato. Intanto nella sua gara a dorso ha stregato il pubblico francese, quando prima della partenza ha azzannato la corda con la quale lo starter gli ha dato il la. Ha nuotato a pancia in su usando le spalle, ha toccato la piastra con la testa, battendo tutti. «Sono molto felice, perché prima della gara ero nervoso, ma poi mi sono sentito a mio agio nuotando. Questa era la più difficile delle mie gare a Parigi, quindi vincere l’oro è fantastico». Parla solo portoghese, ma con l’aiuto dell’interprete estende il messaggio a tutti: «Voglio dire a coloro che mi hanno visto in tv di essere concentrati e preparati, perché se ci si prepara come si deve tutto si può realizzare». Né un’aspettativa, né una sorpresa, per lui le medaglie sono una meta: «L’obiettivo di un atleta paralimpico è battere gli avversari».
Parlando della nomina a portabandiera racconta di una gioia immensa «perché è un’opportunità unica nella vita quella di essere presente a una cerimonia di apertura, un onore per qualsiasi atleta». In patria lo chiamano Gabrielzinho: «Ci sono grandi atleti nella nostra squadra e sono contento di aver avuto l’opportunità di rappresentare il Brasile nel miglior modo possibile in piscina». Parlando della sua mentalità, si definisce persona semplice a casa e in strada, ma un combattente in acqua: «Sono molto competitivo, quindi tutto ciò che faccio è per vincere. C’è così tanta sofferenza nel mio allenamento, quindi è per questo che lavoro così duramente. Voglio divertirmi e godermi il nuoto perché lo amo». Quel che colpisce è anche l’atteggiamento autorevole sul piano vasca durante la presentazione dei finalisti: «Spero che i miei avversari temano la mia presenza, perché io mi presento per essere il migliore». E da buon brasiliano la prima cosa che ha fatto con la medaglia al petto è stato danzare: «Siamo un popolo gioioso col ballo nel Dna». A Tokyo era sconosciuto e fu una sorpresa, a Parigi ha tanta pressione addosso e tutti lo cercano. Eppure lui non si sottrae ad alcuno: «Mi sento molto preparato e avverto di avere tanti sostenitori. Ho lottato per essere il numero uno e conosco l’intensità con cui i miei avversari stanno lavorando per superarmi». Oggi torna in azione nei 50 dorso, poi 150 misti, 200 stile e 50 stile, gareggiando anche nella categoria S3, quindi con rivali con disabilità meno impattanti della sua, perché il motto di Gabrielzinho è semplice: «Non rinunciare mai ai tuoi sogni».

 
 
 

E regala speranze

Post n°4056 pubblicato il 30 Agosto 2024 da namy0000
 

2024, Avvenire, 29 agosto

PARALIMPIADI.

Il programma prevede in tutto 22 sport, 23 discipline diverse e 549 eventi distribuiti negli 11 giorni di Giochi. 

Fadi Al-Deeb, da Gaza a Parigi: «Ho superato ogni ostacolo»

Quarant'anni, impegnato nel lancio del peso, è il portabandiera e il solo atleta della Palestina. Ha perso l’uso delle gambe nella seconda Intifada

«Essere alle Paralimpiadi vuol dire dimostrare che a Gaza non ci sono solo sangue e distruzione, ma che c'è vita e che noi abbiamo dei sogni». Fadi Al-Deeb, 40 anni il 1 settembre, pesista, è il portabandiera e unico rappresentante della Palestina ai Giochi paralimpici di Parigi 2024. Viene da Gaza, dove vive la sua famiglia, a partire da sua moglie e dalle sue tre figlie. Lì, nel quartiere di Shejaiya, nella parte orientale della città, è cominciato il suo amore per lo sport. «A scuola il mio professore era un arbitro internazionale – ricorda Fadi da Parigi – ci ha insegnato a giocare a vari sport, calcio, basket e pallavolo». «Quello su cui mi ero concentrato era il volley – prosegue – volevo diventare un giocatore professionista e a 17 anni mi allenavo con la nazionale palestinese»

La vita dell’atleta di Gaza cambia nell’ottobre 2001, quando durante la Seconda Intifada Fadi viene ferito durante gli scontri e perde l’uso delle gambe. «Quello che è successo per me non è stato la fine della mia vita – dice l'atleta che a Parigi gareggerà nella categoria F55 riservata a persone con lesioni midollari – ma l’inizio di una nuova». Al-Deeb infatti ha continuato a praticare sport, dopo essere stato costretto su una sedia a rotelle. «Ho iniziato con il tennistavolo – racconta – poi mi sono dedicato alla pallacanestro in carrozzina e dal 2007 all’atletica, lancio del giavellotto, del disco e del peso». Una decisione, quella di gareggiare nell’atletica, legata a diversi fattori. «Prima di tutto – spiega il quasi 40enne – è dipeso dalle mie caratteristiche e dalle mie capacità fisiche. In più l'atletica paralimpica è una disciplina individuale, è poco costosa e consente a chi la pratica a Gaza di poter uscire per competere».

Fadi fuori dalla Striscia ci vive dal 2016, grazie al suo talento nel wheelchair basketball. «Ho giocato per più stagioni in Turchia come cestista professionista – racconta il primo palestinese a giocare in Europa da “pro” nel basket in carrozzina e che ha anche il patentino da allenatore – poi sono stato in Grecia e ora sono al secondo anno in Francia». Nonostante viva all’estero Fadi non ha dimenticato le condizioni in cui lui e molti atleti di Gaza hanno iniziato a coltivare i loro sogni. «La nostra vita sportiva e i nostri problemi non sono cominciati il 7 ottobre – afferma – li abbiamo fin da quando siamo nati. Non c'erano materiali, a volte non c'erano strutture. Ci allenavamo per strada e con le regole di sicurezza era pericoloso possedere oggetti come pesi, dischi e giavellotti, così usavamo quello che trovavamo metallo, pietre». In più spesso c'era il problema delle gare – aggiunge – ci preparavamo tantissimo e poi capitava che non ci veniva dato il permesso di uscire dalla Striscia per competere». Il pesista però ora è riuscito ad arrivare ai Giochi di Parigi, i primi della sua carriera. «Da quando ho avuto la conferma della mia partecipazione (a fine luglio ndr) – racconta il pesista che si è sostenuto economicamente da solo durante la preparazione – mi sono allenato due volte al giorno, mattina e sera. Purtroppo non ho avuto gli spazi per lanciare il peso, se non qualche giorno prima dell’inizio delle gare».

Un percorso verso le Paralimpiadi segnato da quello che sta succedendo a Gaza. «I miei sentimenti sono più difficili da esprimere rispetto a quelli di qualunque altro cittadino palestinese – racconta Al-Deeb, che ha perso nel conflitto numerosi membri della sua famiglia, tra cui suo fratello – come faccio a mangiare e ad andare a dormire pensando che la mia famiglia fa fatica a trovare cibo o un luogo sicuro dove stare? Tutte le volte che ricevo una notifica ho paura che mi dicano che ho perso qualcuno della mia famiglia. A volte ti odi e vorresti piangere, ma metti da parte i tuoi sentimenti e continui a fare perché hai una grande responsabilità, quella di rappresentare la Palestina». Quello che sta accadendo nella Striscia di Gaza – precisa – «non è guerra, è un genocidio. Tutti sono dei bersagli, non c'è differenza tra sportivi, medici, ingegneri e bambini, non ci sono distinzioni tra ospedali, scuole o case. Dal 7 ottobre sono stati uccisi 400 sportivi, immaginate se questo fosse successo in un qualsiasi Paese europeo?». Per le condizioni in cui si è preparato e per le difficoltà del suo percorso per Fadi Al-Deeb a Parigi l'obiettivo va al di là del risultato. «Qui non si tratta di medaglie – conclude l'atleta di Gaza – andare in pedana e di sventolare la bandiera palestinese è un successo». Un'occasione per dimostrare che tra le macerie lo sport c'è. E regala speranze.

 
 
 

La sostenibilità è la capacità di sviluppare relazioni

2024, Matteo R., Che vi do, Agosto

LA SOSTENIBILITA’ E’ LA CAPACITA’ DI SVILUPPARE RELAZIONI

“Non troveremo mai un fine per la nazione né una nostra personale soddisfazione nel mero perseguimento del benessere economico, nell’ammassare senza fine beni terreni. Non possiamo misurare lo spirito nazionale sulla base dell’indice Dow-Jones, né i successi del Paese sulla base del Prodotto Interno Lordo”, famose parole pronunciate da Robert Kennedy nel 1968 all’Università del Kansas, pochi mesi prima della morte. Ora suo nipote segue Trump che corre per la Casa Bianca.

Prosegue: “il PIL non tiene conto della salute dei nostri figli, della qualità della loro educazione o della gioia dei loro giochi. Non include la bellezza della nostra poesia o la solidità dei valori familiari, l’intelligenza del nostro dibattere pubblico o l’onestà dei nostri dipendenti pubblici. Non misura né il nostro spirito né il nostro coraggio, né la nostra saggezza né la nostra conoscenza, né la nostra compassione né la devozione al nostro Paese. Misura tutto, in breve, tranne ciò che rende la vita veramente degna di essere vissuta”........

 
 
 

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