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Un blog creato da violet_space il 11/01/2009

ViolaMente

spettri viola di parole e musica

 
 

CANZONE ECOLOGICA

Parole che vanno e vengono in quantità:
come pennellate di colore cariche
aggrumano le preziose tenuità
in cumuli di volgari croste, ovunque.

Forse sarebbe più bello tacere,
in accordo coi nostri pensieri,
che solo ad esprimerli in verbi e parole
non sono più verità.

Ma so che sarebbe anche bello
Sceglierle bene;
per farle aderire con più precisione
all’anima con la sua musica.

Sento svanire il suono infinito,
il timbro che unisce le vite
alle cose del mondo:
l’umano ululato strepita
e tutto si fa disarmonico.

Quanto rumore e parole in libertà…
Quanto timore di ammutolire in sé…

L’umano fracasso contamina
Il fiato dell’universo.

Marlene Kuntz

 

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VIRUS (questo non è un post estivo, quindi, semmai, ripassa)

Post n°15 pubblicato il 02 Agosto 2009 da violet_space
Foto di violet_space

Non occorre concentrarsi, è sufficiente inspirare ed espirare, e lasciare che le dita scorrano, aspettare solo che l’automatismo si avvii.

D’accordo, ce la devi fare, e allora adagio, non farti fretta, prendi un lembo tra il pollice e l’indice e disegna una goccia. Ora con la mano sinistra afferra l’altro lembo e gira attorno al pollice, come per mettergli il guinzaglio, e…. No, no, no, e ancora no.

Lascia perdere: cambia scarpe, o non allacciarle, buttale dalla finestra o esci scalza, ma, ti scongiuro, non ricominciare con quei lacci.

Il dolore è un virus, basta respirare l’aria malata che gli aleggia accanto per rimanerne infetti, basta sfiorare la condensa, quella che crea la sofferenza a contatto con l’imbarazzo intorno, per rimanerne contagiati.  E a te questo virus ti blocca, non i pensieri, le azioni.

Gli anticorpi non servano a un cazzo. Averlo consumato, superato ed esservi sopravvissuta non ti rende indenne: anche quello degli altri ti entra nelle narici, e poi giù nelle vie respiratorie ed insieme all’ossigeno si spande nelle vene per prendere il possesso.

Come quella notte in cui non sapevi più in che via avevi parcheggiato l’auto e chissà per quante ore hai camminato a vuoto, come quando sei uscita da quel locale senza preoccuparti del conto e il titolare, inseguendoti, ti ha guardata come fossi uno zombie, quando fumare non era un piacere, ma solo un modo per riuscire ancora ad abbassare le mutande, come quando il tuo corpo è svenuto pur di non assistere all’afflizione.

Come quando sei scappata quando dovevi restare lì, ferma, più forte del dolore, e dirle solo di non aver paura. 

 

 
 
 
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