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Libri, articoli e altro di Andrea e Daniela

 

I LIBRI DI ANDREA

- 35 borghi imperdibili a due passi da Milano (2019)

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- 35 borghi montani imperdibili della Lombardia (2019)

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- Il patrimonio immateriale dell'Unesco (2019)

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- L'arte della botanica nei secoli (2018)

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- 35 borghi imperdibili della Lombardia (2018)

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- I grandi delitti italiani risolti o irrisolti (2013, nuova edizione aggiornata)

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- Bande criminali (2009, esaurito)

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- La sanguinosa storia dei serial killer (2003, esaurito)

 

I NOSTRI LIBRI

- Itinerari imperdibili - Laghi della Lombardia (2018)

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- Caro amico ti ho ucciso (2016)

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- Milano criminale (2015, II edizione)

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- I 100 delitti di Milano (2014)

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- I personaggi più malvagi della storia di Milano (2013)

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- Milano giallo e nera (2013)

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- Gli attentati e le stragi che hanno sconvolto l'Italia (2013)

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- Le famiglie più malvagie della storia (2011, II edizione)

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- 101 personaggi che hanno fatto grande Milano (2010)

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- Il grande libro dei misteri di Milano risolti e irrisolti (2006, III edizione)

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- Milano criminale (2005,  esaurito)

 

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I LIBRI DI DANIELA

- Josephine Baker Tra palcoscenico e spionaggio (2017)

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- La vita che non c'è ancora (2015)

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- Le grandi donne di Milano (2007, II edizione)

  

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- L'eterno ritorno, un pensiero tra "visione ed enigma" (2005)

 

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Messaggi di Novembre 2012

«Le imprese possono resistere alle “sirene” d’Oltralpe ma solo con politiche adeguate»

Post n°1376 pubblicato il 29 Novembre 2012 da accorsiferro
 
Foto di accorsiferro

 

Bonassi, segretario generale dell’Associazione distretto calza e intimo: da Austria, Svizzera e Serbia inviti che sono musica per le orecchie

di Andrea Accorsi

 

Le sirene d’Oltralpe tentano i nostri imprenditori. Ma quasi tutti rimangono legati al loro territorio da vincoli sociali ed emotivi. Ne è convinto Davide Bonassi, segretario generale dell’Associazione distretto calza e intimo (Adici), che detta la sua “ricetta” per bloccare la possibile fuga delle aziende padane all’estero.
Nel distretto italiano della calzetteria, con culla a Castel Goffredo, nel Mantovano, operano 400 imprese che sviluppano l’80% del fatturato nazionale del settore, il 70% della produzione europea e il 30% di quella globale per un’occupazione complessiva di oltre 7 mila addetti, che crescono ad oltre diecimila con l’indotto. Un patrimonio produttivo e occupazionale a rischio espatrio.
Segretario Bonassi, ci sono aziende del suo distretto che si sono trasferite all’estero?
«Nell’ultimo periodo no. Ma c’è stata una prima ondata una decina di anni fa, quando molte aziende grandi e medie hanno iniziato a cogliere le opportunità evidenti in Paesi dell’Est, come Slovacchia e Romania, che di lì a poco sarebbero entrati nella Ue. Oltre a offrire un costo favorevole dei fattori produttivi, lavoro in primis, l’ingresso nella Ue ha comportato una serie di facilitazioni per la movimentazione delle merci».
Perché parla di «prima ondata»: dobbiamo aspettarcene altre?
«Ultimamente la Serbia sta facendo ponti d’oro alle imprese, con una situazione economica che non può che attrarre grossi investimenti, com’è il caso della Fiat. I Balcani in genere attraggono per il costo del lavoro molto basso e per la traiettoria, anche se meno evidente, verso la Ue. La Serbia in particolare offre anche un costo dell’energia basso, perché ha sia il nucleare che idrocarburi, e vanta rapporti storici con la Russia che permettono ai suoi prodotti di essere venduti in un grande mercato integrato nel commercio internazionale».
Quali altre «sirene» allettano le nostre imprese a fare le valigie?
«Paesi che non t’aspetti, assai evoluti e non attrattivi per il costo del lavoro, come l’Austria e la Svizzera. Oltretutto, sanno incantare bene i nostri imprenditori».
In che senso?
«Ho visto la lettera che è arrivata ad alcuni dalla Carinzia. Una proposta raffinata perfino nella carta e nella grafica, frutto di un marketing sofisticato, studiata molto bene con largo uso di immagini di paesaggi assolutamente rilassanti a non di più di 3-400 chilometri da qui. Per non parlare dei contenuti: musica per le orecchie...».
Suonata... con quali “note”?
«Primo, l’Irap proprio non esiste. Mentre da noi da anni si parla non di toglierla, ma di ridurla, e non si fa nulla. Poi ci sono altri numeretti ipnotici. Il 25% di imposte sul reddito di impresa. Contributi fino al 20% sugli investimenti fissi e fino al 60% sulle spese di innovazione, ricerca e sviluppo. Tutto ciò unito all’amenità dei luoghi, facilitazioni per l’alloggio dei dirigenti, magari in chalet, e infrastrutture di prim’ordine quando in Italia alcune industrie scontano la mancanza della linea Adsl. Sono pacchetti molto allettanti, che esercitano una pressione notevole, frutto di uno studio mirato anche alle aziende di piccole dimensioni, classiche delle nostre zone. Tutto questo fa concludere a molti: siamo semplicemente sul versante sbagliato delle Alpi».
Per non parlare della Svizzera...
«...che gioca in maniera ancora più sottile. Anche lì c’è una tassazione bassa, ci sono zone di nuova industrializzazione perfettamente infrastrutturate, un sistema finanziario evoluto, standard di vita e di sicurezza elevatissimi, una fiscalità molto conveniente anche a livello personale. In più, è un Paese extra Ue, quindi se importo materiali da qualunque parte del mondo posso usare i loro magazzini con esenzione di imposta finché non esce da lì. Qualche imprenditore ha fatto simulazioni e ha avuto una bella sorpresa a livello di utile, un risultato moltiplicato in maniera imbarazzante».
Ecco, parliamo degli utili spazzati via dal fisco italiano. Con quali conseguenze?
«Che divento ostaggio del sistema bancario per ottenere prestiti. Che non li eroga, o lo fa a condizioni pesanti. Quindi nel medio periodo l’azienda non potrà che diminuire gli utili rispetto a chi continua a investire».
Eppure, nonostante tutto questo, le imprese restano qua. Perché?
«Quelle del nostro settore contano in media 40 dipendenti: conta un vincolo emotivo e d’onore dell’imprenditore nei confronti del personale, che conosce come i propri familiari. E poi c’è un fattore sociale, o un risvolto psicologico. L’imprenditore nel proprio territorio ha uno status che gli pesa perdere nel momento in cui lo lascia, anche senza una situazione negativa alle spalle».
Cosa serve per trattenere le imprese in Padania?
«Come Adici abbiamo una ricetta ormai consolidata: invochiamo che la concorrenza diventi corretta, o meglio che cessi quella scorretta. Il tessile è schiacciato da contraffazioni e manufatti al di fuori delle regole che invece in Italia e in Europa dobbiamo osservare su materiali, coloranti, sulla tutela della salute del consumatore, sull’etichettatura. Fare controlli alle dogane è impossibile: l’unica risposta è istituire un osservatorio nazionale del tessile, abbigliamento e calzature con un centro di analisi dei prodotti nei punti vendita, per fornire strumenti a sequestri efficaci.
«Secondo, bisogna porre mano alla questione dei pagamenti: le piccole imprese non possono continuare a fare da banca perché ricevono pagamenti a 270 giorni!
«Terzo, rendere stabile la politica di sostegno a innovazione ricerca e sviluppo, defiscalizzando in maniera stabile le spese a questo scopo. Non riusciamo a far passare il “campionario” come attività di ricerca e sviluppo, mentre è visto solo come mera miglioria estetica. È anche un esercizio creativo, ma comporta una mescolanza di competenze, test, diversi tentativi prima di ottenere un valido risultato.
«Infine, il cuneo fiscale e il costo del lavoro sono un bubbone che invece di scoppiare si gonfia sempre più. Va aggredito almeno per le fasce medio piccole. Quello che è grave è che sono passati anni a dire queste cose. A livello politico non vengono recepite, o lavorate con tempistiche ottocentesche, inconciliabili con i tempi e le necessità di oggi».

dalla "Padania" del 28.11.12

 

 

 
 
 

PRIMARIE PD Bersani e Renzi litigano sui dati. Ma l’affluenza è in forte calo

Post n°1375 pubblicato il 27 Novembre 2012 da accorsiferro
 
Foto di accorsiferro

di Andrea Accorsi

Bersani batte Renzi 44,9 a 35,5 per cento. Almeno secondo il sito del comitato delle primarie del Pd. Il totale dei votanti è stato di 3.107.568 voti. Vendola si attesta sul 15,6%, seguito da Laura Puppato (2,6) e Bruno Tabacci (1,4). Ma il Comitato nazionale di Matteo Renzi contesta i dati ufficiali: «I nostri rappresentanti di lista - afferma Nicola Danti, del Comitato - ci consegnano un dato diverso: 43,4 contro 38,8. Aggregare i dati su base provinciale è molto discutibile. Qualcosa non torna, citiamo i casi di Asti, Bolzano e Belluno».
Insomma, nel Pd è polemica aperta sui risultati delle primarie. «Tre punti in più o in meno non sposta il senso di ciò che è accaduto - osserva Renzi - ma è giusto fare chiarezza: ogni voto conta. La certezza è che domenica c'è il ballottaggio e lì ripartiamo zero a zero. Sarà un grande derby tra usato sicuro e innovazione. Ci sono 250 mila voti di differenza, una distanza assolutamente colmabile».
Ostenta sicurezza anche il rivale Bersani: «Nell’insieme - commenta - è un risultato che per me è assai incoraggiante, guardo con fiducia all’appuntamento di domenica».
Decisivi potrebbero rivelarsi i sostenitori di Vendola, il quale però conferma che non sosterrà Renzi e avverte: se Bersani vuole il sostegno di Sel, dovrà convincere gli oltre 480 mila elettori che hanno votato me.
«Do per assodato che Vendola scelga Bersani, non ho dubbi su questo. Ora - rilancia Matteo Renzi - bisogna andare a convincere i delusi del centrodestra, che possono essere coinvolti da noi. I dati sono tutti da leggere, siamo andati molto bene a Vicenza e perdiamo nettamente in Calabria. Ma quando fai i ballottaggi riparti da capo, è tutta una partita da vedere. Stiamo in una forchetta tra il 35 e il 39% dopo essere stati isolati dalla dirigenza del partito».
Ma a proposito di un eventuale patto con Nichi Vendola, il segretario Pd precisa: «Non stiamo aprendo tavoli o tavolini ma è chiaro, nelle cose che dico, che ci sono evidenti punti di assonanza e convergenza, come sulla centralità del lavoro e la precarietà». Quanto alla certezza espressa da Berlusconi, di poterlo battere se tornasse a presentarsi alle elezioni, Pierluigi Bersani osserva: «Se la pensa così, che sia per lui una buona scelta, si presenti pure. Stavolta ce la vediamo. Questa volta non frega più gli italiani. L’ho voluto io il ballottaggio - ha aggiunto Bersani - e se tutto quello che stiamo facendo ci fa crescere in questo modo, raddoppiando l’interesse su di noi, io ne faccio sette di ballottaggi».
In un tweet Beppe Grillo ha definito quelle del centrosinistra «primarie dei folli». E, numeri alla mano, mostra il calo progressivo dell’affluenza dal 2005 ad oggi: sette anni fa furono 4.311.149, nel 2007 3.554.169, nel 2009 3.102.709, quasi la stessa cifra di domenica. Ma nel 2007 e nel 2009 le primarie erano del solo Pd e non di coalizione. Altro che affluenza record.
Una lettura delle primarie arriva dalla Lega per voce del segretario nazionale veneto, Flavio Tosi, che guarda al caso della città di cui è sindaco, Verona. «La maggior parte degli elettori del Pd veronese, scegliendo Renzi, ha votato per il cambiamento anche all'interno del Pd. Il risultato conferma che, al di là di quelle che erano le indicazioni del partito a livello locale che per la grandissima parte sosteneva Bersani, i cittadini scelgono in modo libero e indipendente».

dalla "Padania" del 27.11.12

 
 
 

Treviso, torna lo “sceriffo” GENTILINI candidato SINDACO «al 100%»

Post n°1374 pubblicato il 16 Novembre 2012 da accorsiferro
 
Foto di accorsiferro

Decisione unanime della circoscrizione cittadina del Carroccio. «Finalmente si è ascoltata la voce della base, sarà una vittoria di squadra. L’età? Mi circonderò di giovani, che farò crescere con il becchime giusto»

di Andrea Accorsi

TREVISO - Il ritorno del “sindaco sceriffo”. Militanti e iscritti alla circoscrizione di Treviso hanno candidato all’unanimità Giancarlo Gentilini (nella foto) a sindaco di Treviso alle elezioni amministrative della prossima primavera.
La decisione è scaturita l’altra sera dalla riunione della circoscrizione cittadina del Carroccio. L’attuale prosindaco del capoluogo della Marca punterà pertanto per la terza volta alla poltrona di primo cittadino della città, come successore dell’attuale borgomastro, Gian Paolo Gobbo.
«Ringrazio tutti i militanti per il consenso “bulgaro” - ha detto Gentilini subito dopo la sua candidatura -. Questa è la dimostrazione che finalmente si è ascoltata la voce della base ed è finita l’epoca delle nomine calate dall’alto, che così tanto male hanno fatto alla Lega».
Per il “sindaco sceriffo” «era importante ascoltare la base, ed è stata l’occasione di dare fiato alla nuova Lega, che non accetta più le nomine dall’alto. Certo - ha detto parlando come di consueto di sé in terza persona -, ho un compito difficile e non sarà solo Giancarlo Gentilini a vincere ma tutta la squadra. E così cercherò di portare a termine “il ventennio di Gentilini”, che ha fatto conoscere Treviso in tutto il mondo. La mia amministrazione è stata all’insegna dell’onestà e dell’amore, della Lega di popolo, contro tutti i cerchi magici di Roma e Milano che hanno disorientato il grande Movimento di popolo che è stata la Lega. Ma bisogna ripartire ancora una volta».
Onestà, trasparenza, volontà di fare: sono queste, a detta del diretto interessato, le basi delle amministrazioni targate Gentilini, «checché se ne dica riconosciute in tutto il mondo». L’ex sindaco si dice fiducioso di essere rieletto al primo turno, senza necessità di un ballottaggio. Anche se non nasconde la «grande delusione» diffusasi in tempi recenti fra i leghisti.
Quanto alle perplessità mosse da alcuni rispetto alla sua età, lo “sceriffo” (classe 1929) rinvia ogni considerazione «al grembo del Padreterno. In questa tornata - ha proseguito - voglio circondarmi di giovani, li farò crescere come una chioccia e con il becchime giusto finché non sapranno volare da soli».
Ad esprimersi per una nuova candidatura a sindaco di Treviso di Gentilini sono stati tutti i cento delegati, come conferma il segretario provinciale, Giorgio Granello. «In un momento di disaffezione politica e di crisi di affidabilità - ha rilevato Granello - Gentilini viene visto come un punto di riferimento stabile che, per amore e dedizione verso la propria città, non ha mai accettato incarichi superiori».

dalla "Padania" del 16.11.12

 
 
 

BLITZ contro la ’ndrangheta dalla Calabria a COMO: 39 arresti, sigilli a 4 ditte

Post n°1373 pubblicato il 15 Novembre 2012 da accorsiferro
 
Foto di accorsiferro

Le cosche condizionavano appalti pubblici e praticavano concorrenza sleale per inserirsi nelle attività del settore edilizio e del movimento terra

di Andrea Accorsi

Blitz contro la ’ndrangheta in Calabria e in provincia di Como. Nell’operazione, denominata “Saggezza” e coordinata dalla Dda di Reggio Calabria, i carabinieri hanno individuato gli organigrammi di cinque strutture reggine affiliate alla ’ndrangheta (“locali”) che avevano come famiglie di riferimento i Romano ad Antonimina, Varacalli ad Ardore, Raso a Canolo, Nesci a Ciminà e Fabiano a Cirella di Platì.
Sono 39 le ordinanze di custodia cautelare eseguite nella Locride e nelle province di Vibo Valentia, Cosenza e Como. In quest’ultima, una persona di Longone al Segrino è stata arrestata all’ospedale di Cantù. Le accuse sono associazione di tipo mafioso, estorsione, porto abusivo e detenzione di armi, usura, illecita concorrenza volta al condizionamento degli appalti pubblici, minaccia, esercizio abusivo dell’attività di credito, truffa, furto di inerti, intestazione fittizia di beni, con le aggravanti della metodologia mafiosa e della transnazionalità.
Le indagini hanno ricostruito i vertici delle “locali” e individuato i circuiti economici in cui erano inseriti. Gli indagati, secondo l’accusa, conseguivano profitti illeciti condizionando gli appalti pubblici. Inoltre ricorrevano a concorrenza sleale per inserirsi nelle attività economiche del settore edilizio, del movimento terra e del taglio boschivo in località dell’Aspromonte.
Scoperta anche una nuova struttura della ’ndrangheta che si chiama “Corona”. Il capo è stato identificato in Vincenzo Melia. La struttura comprende anche i ruoli di capo consigliere e consigliere. La Corona, hanno spiegato il procuratore facente funzioni di Reggio Calabria Ottavio Sferlazza e l’aggiunto Nicola Gratteri, è sovraordinata rispetto alle “locali”, regolamenta le doti e stabilisce le regole. Il nome dell’operazione deriva da un’intercettazione di Melia in cui afferma di essersi sempre comportato «con saggezza». In effetti, ha sottolineato Gratteri, l’ultima faida in quell’area risale a 25 anni fa, a Ciminà.
Fra gli arrestati l’ex presidente della Comunità montana Aspromonte Orientale, la cui elezione sarebbe stata condizionata dalla ’ndrangheta. Bruno Bova è accusato di associazione mafiosa e di essere stato il politico di riferimento delle ’ndrine.
Oltre alle ordinanze cautelari sono state sottoposte a sequestro preventivo quattro imprese nel settore edile e del taglio boschivo, con relativo patrimonio immobiliare, per un valore economico stimato in un milione di euro, tutte con sede nella Locride.
Le famiglie, secondo l’accusa, avevano la gestione e il controllo di attività economiche nel taglio boschivo e un circuito di usura ed esercizio abusivo del credito. Tutto doveva passare attraverso accordi garantiti dai capi “locale”: anche il taglio dei boschi e il commercio del legname, mentre per i lavori di messa in sicurezza delle fiumare i capi bastone ricorrevano ai classici mezzi di intimidazione: furti nei cantieri e incendi di auto dei titolari di imprese.

* * * * *

Ma il governo lascia i fondi ai Comuni mafiosi

 

Bocciata la proposta presentata dal Carroccio

 

«L’operazione che ha sgominato una organizzazione della ’ndrangheta a Como rileva il pernicioso addentellato che questa organizzazione criminale aveva attuato nel Lario». Nelle parole del senatore Armando Valli, componente della commissione Antimafia, c’è tutta la preoccupazione per la presenza sempre più radicata delle cosche in un territorio che fa gola per tanti motivi: per la sua ricchezza, per la mole di investimenti pubblici, per il casinò di Campione, per la vicinanza con la Svizzera.
«La n’drangheta - rileva Valli - era da un po’ di tempo che aveva messo gli occhi su varie realtà economiche lariane e su alcuni appalti. E molti erano gli imprenditori e amministratori preoccupati. Ora - è l’auspicio - speriamo si vada fino in fondo ad estirpare questo cancro che distrugge il tessuto economico e sociale».
Nel recente passato segnali, anche inquietanti, non sono mancati. Al contrario, sono andati moltiplicandosi. Più volte nel Comasco sono stati arrestati appartenenti a organizzazioni criminali mafiose e sono stati sequestrati o confiscati beni riconducibili alle cosche. Ma il territorio lariano non deve fare i conti solo con la ’ndrangheta: un anno fa vicino al comune di Faggeto Lario la polizia ha sequestrato un immobile del clan camorristico dei Nuvoletta. Mentre in una villa confiscata a Cermenate Roberto Maroni, nella veste di ministro dell’Interno, ha avviato l’istituzione del Centro di Alta formazione contro le mafie.
A Como, non a Corleone o nella Locride, qualcuno ha danneggiato la targa in memoria dei giudici Falcone e Borsellino. E uno studio della Camera di commercio di Monza e Brianza ha fatto emergere come il 63,8 per cento degli imprenditori locali ritengano che la mafia offra un più facile credito rispetto agli erogatori istituzionali: in nessun’altra provincia lombarda la percentuale è stata così alta.
Sempre più urgenti, dunque, appaiono risposte concrete a questa che in modo silenzioso ma inesorabile sta diventando un’autentica emergenza illegalità per un territorio particolarmente a rischio di contaminazioni mafiose. Eppure l’attuale governo tarda a dare queste risposte. Quando non le dà sbagliate.
È di ieri la notizia che l’Esecutivo tecnico ha bocciato un ordine del giorno del vice presidente della Lega Nord alla Camera, Sebastiano Fogliato, al decreto sulle disposizioni urgenti in materia di finanza e funzionamento degli Enti territoriali, odg in cui si prevedeva che dall’accesso al Fondo di rotazione per assicurare la stabilità finanziaria fossero esclusi gli Enti locali che negli ultimi dieci anni sono stati sciolti per infiltrazioni mafiose. «È vergognoso che il governo abbia dato parere contrario al mio odg - sbotta Fogliato -. Una scelta a dir poco imbarazzante, che è stata appoggiata da una maggioranza supina che vota qualunque cosa proposta da questo Esecutivo. Anche, come in questo caso, se si tratta di dare i soldi ai Comuni mafiosi».

 

dalla "Padania" del 14.11.12

 
 
 

MONTI si autoincensa «Piaccio più dei partiti e le riforme funzionano»

Post n°1372 pubblicato il 13 Novembre 2012 da accorsiferro
 
Foto di accorsiferro

 

Esce libro con intervista al premier: «Quando incontro persone per la strada, mi dicono di andare avanti». Ma ammette gli scivoloni con battute come quella sul lavoro fisso. E sulla patrimoniale ci ricasca

di Andrea Accorsi

 

Quanta prosopopea, professor Monti. Non bastavano le sparate con le quali il premier cerca di indorare le amare pillole che ci propina. Ora ci si mette pure un libro (Le parole e i fatti, in libreria da domani) a celebrare il professore a un anno dall’insediamento del suo governo. Edito dall’amica editrice Rizzoli, il volume raccoglie alcuni scritti di Monti degli ultimi vent’anni. Con tanto di intervista combinata a mo’ di prefazione. Il risultato? Più che una celebrazione, un’autocelebrazione.
Già, perché nella prefazione - l’unico contributo inedito del libro - il presidente del Consiglio se ne esce con frasi come questa: «Non credo possa considerarsi solo uno che sembra avere un consenso superiore a quello di cui godono i partiti che lo sostengono in Parlamento». Oppure: «Quando incontro persone per la strada, mi sento dire quasi sempre: “Vada avanti”». Ma dove vive, professore, e soprattutto chi incontra per la strada?
Rinchiuso nella sua torre d’avorio, circondato dagli amici banchieri, commissari europei e membri del Club Bilderberg, il premier ribatte così all’accusa di essere rimasto un professore anche a Palazzo Chigi, per il tono cattedratico e drammaticamente lontano dalla gente comune con il quale affronta qualsiasi tema: «La pedagogia è naturale in un professore, è l’unica arma che ho». Siamo a posto...
Il bocconiano ammette poi di essersi distinto per alcune battute infelici che l’hanno reso perfino più sgradito di tante sue leggi: «È vero che il posto fisso è monotono - insiste - però sicuramente dirlo in quel modo è stato per me un bell’infortunio. Quindi adesso cerco di non fare più battute, che pure all’inizio mi avevano aiutato a comunicare». Male, aggiungiamo noi, come hanno rilevato tutti gli esperti di comunicazione politica e media.
Ma il vizio di inciampare nelle parole è duro a morire. L’ultimo infortunio in ordine di tempo è cronaca di ieri. Parlando a Milano dell’imposta patrimoniale, Monti ha osservato che «c’è in molti Paesi altamente capitalisti. In Italia ce ne sono alcune importanti componenti». Precisando subito dopo: «La cosa peggiore sarebbe dire “sì, vogliamo la patrimoniale” senza avere gli strumenti per introdurla. Avrei un approccio molto prudente alla materia».Neanche il tempo per i consumatori di esultare («Finalmente, con grave ritardo, si inizia a discutere di patrimoniale» commenta Federconsumatori) che da Palazzo Chigi arriva il dietrofront. Il presidente del Consiglio non ha affatto annunciato un intervento di tassazione sui patrimoni, si affretta a sottolineare una nota. «Dopo aver precisato di non essere pregiudizialmente contrario ad una modesta tassazione generalizzata del patrimonio, il presidente - si legge nel comunicato - ha ricordato il contesto in cui il governo ha operato e i vincoli alle scelte in materia di imposizione fiscale. Tutto ciò Monti ha chiarito come spiegazione delle decisioni adottate, non come premessa di futuri interventi».
A stroncare ogni residua speranza, è poi intervenuta Paola Severino, ministro della Giustizia: «Quello sulla patrimoniale non era un annuncio e non è mai stato sollevato e nemmeno discusso in Cdm. La risposta è netta è chiara» taglia corto Severino. Altro che patrimoniale: il governo continua a infierire sui chi patrimoni non ne ha. Prova ne sia la rivalutazione degli estimi in corso per il ricalcolo dell’Imposta sugli immobili. Una tassa che prende sempre più le dimensioni di “super Imu”, dal momento che le nuove stime delle rendite catastali porterebbero, secondo alcune proiezioni, ad aumenti dell’imponibile (e quindi delle tasse sulla casa) tra +170 e +180% a Milano e a Torino, tra +260 e +280 per cento a Genova e a Bologna, fino al +400% a Venezia. Una stangata tremenda in tempi di crisi, recessione, disoccupazione, rincari, inflazione, difficoltà nei prestiti, carenza di risparmio eccetera come quelli attuali.
Ma Monti continua a non sentirci. A proposito della riforma del mercato del lavoro da poco introdotta, per esempio, sostiene che «ambisce a creare un contesto più inclusivo e dinamico, atto a superare le segmentazioni che tendono a escludere o marginalizzare i giovani». Tradotto: la riforma incrementerà l’occupazione giovanile. Staremo a vedere. E ancora: «L’Italia non ha grandi squilibri, a parte il rapporto debito-Pil». Avessi detto niente: attualmente il debito è pari al 120% del Pil. Quanto alle riforme varate nell’ultimo anno, «hanno migliorato le prospettive di crescita, ma non ancora i dati». Ah, la dura realtà dei numeri. Che valgono più di tante parole. E dimostrano che oggi stiamo peggio di un anno fa sotto tutti i punti di vista. Ma per Monti «la società italiana si è dimostrata capace di accettare i sacrifici». E allora, supini, continueremo a subire.
L’unica speranza arriva dalla risposta che Monti ha dato a chi gli chiedeva se gli piacerebbe fare ancora il presidente del Consiglio: «No, non mi piacerebbe». Speriamo che, almeno stavolta, sia sincero.

dalla "Padania" del 13.11.12

 
 
 

AZZERATE le Giunte di TUTTE le PROVINCE, anche quelle non accorpate

Post n°1371 pubblicato il 12 Novembre 2012 da accorsiferro
 
Foto di accorsiferro

Allarme di Pirovano (Bergamo): «Con questo trucchetto ci commissariano e anticipano il voto di un anno»

BERGAMO - Province avanti a vista. Azzerate, cancellate in un colpo solo, calpestate. Finora, il riordino degli Enti locali voluto dal Governo ha solo creato nuovi problemi, disorientato cittadini e amministratori, generato dubbi. A cominciare dagli effettivi benefici che ne deriveranno.
Il decreto legge che ridisegna la mappa delle Province, licenziato mercoledì dal Consiglio dei ministri, stabilisce tra l’altro che le attuali Giunte provinciali saranno soppresse dal 1° gennaio 2013. «Con questo trucchetto mandano a casa tutte le Giunte, anche quelle delle Province che non verranno accorpate - rileva un incredulo Ettore Pirovano, presidente della Provincia di Bergamo -. È assurdo».
Dal 2013, dunque, la Giunta provinciale sarà soppressa. Resterà il presidente Pirovano che potrà delegare l’esercizio di funzioni a non più di tre consiglieri provinciali. Il nuovo assetto dovrà consentire la gestione ordinaria nella fase di transizione e approvare il bilancio di previsione entro il 30 maggio. Se le scadenze non saranno rispettate, il Governo nominerà un commissario. A novembre si andrà poi al voto. Saranno elezioni di secondo livello, con i 16 consiglieri provinciali che verranno eletti dai consiglieri comunali in carica e dai sindaci. Il nuovo Consiglio provinciale, a pieno regime da gennaio 2014, eleggerà il presidente.
«Di fatto - è l’analisi di Pirovano - ci commissariano e ci fanno andare ad elezione un anno prima della scadenza naturale del mandato. Se a Roma pensano che senza colpo ferire possono commissariare una Provincia come quella di Bergamo, allora sono guai».
Il capo dell’Esecutivo di Via Tasso guarda con timore al futuro: «Vogliono il centralismo, vogliono togliere di mezzo la gestione intermedia del territorio. Dà fastidio che in ogni appartamento del condominio Italia ci sia un capofamiglia. In più si è scelto di cambiare il modo di governare le Province, e non sappiamo ancora quali deleghe ci resteranno, oltre ai tagli che saranno il doppio di quest’anno». Per Pirovano si vivrà alla giornata: «La prossima settimana inaugureremo i lavori a Mozzanica sull’ex statale 11, a metà novembre toccherà alla variante Albano-Trescore. Cercheremo di fare quello che ci riesce nel migliore dei modi».

A. A.

dalla "Padania" del 3.11.12

 
 
 

PONTE SULLO STRETTO Garantiti (almeno) altri 2 anni di SPRECHI. E arriviamo a 33

Post n°1370 pubblicato il 09 Novembre 2012 da accorsiferro
 
Foto di accorsiferro

Proroga del Governo per verificare «fattibilità» e «bancabilità» dell’opera. Dal 1981 la società che gestisce il progetto divora centinaia di milioni senza posare una sola pietra

di Andrea Accorsi
Altri due anni di sprechi. Li ha approvati il Governo rinviando di 24 mesi ogni decisione sul Ponte dello Stretto di Messina. Motivo: i soldi per farlo (almeno 8 miliardi di euro) non ci sono. Anche perché l’Unione europea un anno fa ha cancellato il Ponte dall’elenco delle opere da finanziare entro il 2030. Ma rinunciare al collegamento tra Sicilia e Calabria ci costerebbe comunque 300 milioni, come penale da pagare alle imprese coinvolte nel progetto. Così, meglio prendere tempo. E decidere di non decidere.
È quello che ha fatto il Consiglio dei ministri, adducendo come scusa la necessità di verificare «la fattibilità tecnica e la sussistenza delle effettive condizioni di bancabilità (sic)» dell’opera. Questa resta dunque sospesa fino al 2014. Poi, si vedrà. Ma da qui ad allora qualcuno ci guadagnerà lo stesso, e pure tanto: la società “Stretto di Messina Spa”, un carrozzone di vecchia data che ha già bruciato soldi pubblici a palate senza che del Ponte sia stata posata una sola pietra.
«Con i 24 mesi di proroga del Cdm arriviamo a 33 anni dall’istituzione della Società Stretto di Messina, costituita l’11 giugno 1981 - lamenta il sen. Luciano Cagnin della commissione Industria di Palazzo Madama -. Uno stipendificio che ora il Governo Monti proroga per poi arrivare a una decisione se chiudere o iniziare i lavori. Questa non è un’opera - aggiunge Cagnin - ma una soap-opera che ha tenuto con il fiato sospeso un paio di generazioni a cui non frega nulla di quel ponte che drena tanti, tantissimi soldi a discapito dei territori virtuosi del Nord».
Dal 1° ottobre 2007 la Società in questione - il cui sito internet risulta in perenne “manutenzione/aggiornamento” - è controllata dall’Anas all’82 per cento. Attuale presidente della Spa è Giuseppe Zamberletti, amministratore delegato Pietro Ciucci. Con rara lungimiranza, l’esistenza della società è stata fissata fino alla fine del 2050.
Finita sotto la lente della Corte dei Conti, la società “Stretto di Messina” è risultata essere costata in un ventennio, dal 1986 al 2008, più di 200 milioni di euro per sopravvivere a se stessa fra stipendi, locali e strutture. Solo l’affitto della sede in via Marsala a Roma costa 50 mila euro al mese.
I costi per gli stipendi dei dipendenti (lievitati dai 25 iniziali ad oltre cento) e per i gettoni di presenza dei membri del cda sono triplicati dal 2002 al 2006, passando da 520 mila euro a oltre 1,5 milioni.
Anche le spese della società per propaganda e pubblicità si sono impennate fino a sfiorare il milione e mezzo di euro in un anno (nel 2004). Resta da capire a cosa si sia fatta pubblicità, visto che il ponte non c’è (ancora). Ma il vero pozzo senza fondo è la ridda di consulenze e progetti commissionati dalla società nel corso degli anni per i motivi più disparati e al limite dell’assurdo.
In sette anni, dal 2001 al 2007, la società ha speso 21,3 milioni per consulenze e 28,8 milioni per il personale. Solo nel 2005 le “prestazioni professionali di terzi” (alias consulenze esterne) sono costate 5 milioni e 719 mila euro. Scopo di tali consulenze dai compensi principeschi? Accertare «l’impatto emotivo» del Ponte sugli abitanti delle due sponde attraverso una “Indagine psico-socio-antropologica sulla percezione del Ponte presso le popolazioni residenti nell’area interessata alla costruzione”. L’Università di Messina si è vista affidare uno studio e un monitoraggio sulle caratteristiche chimico-fisiche delle acque dello Stretto e sulle possibili relazioni con i flussi migratori dei cetacei. Mentre l’Istituto ornitologico svizzero è stato incaricato di svolgere «un’investigazione radar delle specie di uccelli migratori notturni e catalogare con la massima precisione le quote di volo, le loro planate e le loro picchiate».
Secondo una inchiesta di Repubblica di un anno fa, gli anni più spreconi sono stati quelli tra il 2001 e il 2006, quando le spese totali della società hanno raggiunto gli 89 milioni di euro. Nell’anno “d’oro” 2005 il bilancio annoverava 1.479.000 euro per emolumenti e spese degli amministratori; 280 mila euro per viaggi e trasferte del personale; 172 mila euro per i buoni pasto dei dipendenti; 215 mila euro per la vigilanza degli uffici; 78 mila euro per fotocopie e lavori eliografici; altri 48 mila euro per riproduzione di foto e filmati; 59 mila euro per trasporti e facchinaggi; 113 mila euro per acqua, luce e riscaldamento degli uffici; altri 64 mila per la loro pulizia; 112 mila euro per spese postali e telefoniche; 232 mila euro per manutenzioni non meglio specificate; 175 mila euro per il personale «distaccato» (non si sa dove, visto che la sede è una sola); 103 mila euro per «rimessaggio e spese varie veicoli»; infine, ben 245 mila euro per imprecisati «altri servizi».
«Il Ponte sullo Stretto di Messina è inutile - tira le somme l’on. Manuela Lanzarin, capogruppo della Lega Nord in commissione Ambiente della Camera - e lo sa bene anche questo Governo visto che il ministro Passera l’ha definita un’opera non prioritaria e che il ministro Clini ha affermato più volte che non esiste l’intenzione di riaprire le procedure per la sua realizzazione. Il fatto di aver rinviato ancora la decisione sulla sua fattibilità denota tutta la incoerenza e incapacità decisionale del Governo. Ci sono infrastrutture ben più urgenti e importanti da realizzare nei nostri territori». Magari senza alimentare costosi e, fin qui, inutili carrozzoni.
dalla Padania del 3.11.12

 
 
 

Maroni: sos Europa, così non ci salveremo Stop al Leviatano economico e sociale

Post n°1369 pubblicato il 08 Novembre 2012 da accorsiferro
 
Foto di accorsiferro

Il Segretario ospite a Milano di un convegno dell’Istituto per gli studi di politica internazionale
di Andrea Accorsi
MILANO - L’Europa va nella direzione sbagliata: avanti di questo passo diventeremo sudditi di qualcuno che non è democraticamente eletto, ma scelto da altri. Il Segretario federale della Lega Nord, Roberto Maroni, lancia l’allarme sulla «deriva internazionalista» delle istituzioni comunitarie al convegno organizzato a Milano dall’Istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi) su L’Italia e la politica internazionale. Maroni cita il Leviatano di Hobbes, fa tesoro della propria esperienza di ministro e straccia l’etichetta della Lega come movimento antieuropeista. «Noi - precisa -diamo un giudizio negativo dell’Europa così com’è, del malfunzionamento delle istituzioni europee, della incapacità della Ue di creare gli Stati Uniti d’Europa».
Dopo i precedenti incontri dell’Ispi che hanno visto la partecipazione di D’Alema, Frattini, Casini e di Enrico Letta, tocca a Maroni mettere in guardia i cittadini dai limiti evidenziati dall’Europa attuale. A cominciare dal modo di raffrontarsi con la “primavera araba”. «L’Italia per ragioni geografiche e politiche è il primo interlocutore dei Paesi del Maghreb, ma finora non è riuscita a svolgere pienamente il suo ruolo per due motivi: una incapacità propria e perché l’Europa non le ha consentito di svolgerlo. Come ministro dell’Interno ho vissuto la fuga attraverso l’Italia di migliaia di persone dal Nordafrica. E ho visto che la reazione dell’Europa è stata di lasciare l’Italia sola a gestire una crisi che non riguardava l’Italia ma l’intera Europa».
Attenzione, però, «a chi, come Le Pen, vuole tornare indietro, allo stato nazione, ponendo fine all’esperimento dell’Unione europea. Al contrario - rimarca Maroni - bisogna andare avanti, e velocemente, in quella direzione. L’Europa è incapace di prelevare agli stati membri livelli di sovranità in materia di sicurezza e di gestione dei confini, come pure in materia fiscale e di giustizia. Questo è uno degli aspetti critici dell’istituzione europea». Un’Europa che Maroni vede come sospesa a metà.
«L’Europa è a metà strada tra gli Stati Uniti d’Europa e quello che era prima di Schengen, di Lisbona e del processo di integrazione. Finché c’è calma sul piano economico e sociale queste lacune non si evidenziano; ma quando c’è crisi è evidente l’incapacità dell’Europa a gestirla. Se l’Europa in un anno e mezzo non è stata in grado di risolvere il problema della Grecia, che ha 11 milioni di abitanti, non 110, vuol dire che manca qualcosa: il potere fondamentale del governo europeo di intervenire sulla base del mandato democratico. Così i Paesi sono abbandonati a se stessi».
Il governo europeo, ricorda il Segretario leghista, «è l’unico al mondo che non viene eletto da nessuno. E il Parlamento europeo è l’unico al mondo che non fa leggi. Bisogna andare oltre: o gli stati membri cedono sovranità in tanti settori e fanno fare a Barroso quello che fa Obama negli Stati Uniti d’America, cioè intervenire subito quando serve, oppure l’Unione europea dal punto di vista istituzionale sarà destinata a fallire e a sviluppare in sè reazioni così forti che impediranno di completare il processo di integrazione. Questo non si realizza perché sarebbe la fine degli stati nazionali così come li conosciamo per andare verso l’Europa delle regioni o, se la guardiamo dal punto di vista delle lingue, delle tradizioni, delle etnie, l’Europa dei popoli. Non è una stravaganza della Lega: dalla Catalogna alla Scozia, ci sono movimenti molto forti che vanno in questa direzione. Ci vogliono due livelli di governo, uno istituzionale europeo e uno regionale con sotto i comuni».
Ribadisce Maroni: «Non siamo antieuropeisti, la nostra visione è un’Europa delle regioni perché crediamo ci debba essere un’area europea più forte, meglio governata, più inclusiva e in grado di difendersi dagli attacchi che arrivano dal resto del mondo, ad esempio contro il nostro sistema produttivo. Quando ci fu l’invasione dei prodotti cinesi chiesi all’Europa di intervenire per difendere il nostro tessuto economico e sociale. L’Europa rispose no e fece qualcosa solo dopo diciotto mesi. Gli Usa in due mesi fecero un accordo con la Cina a tutela del sistema produttivo americano».
Attenzione, infine, a dare ancora più poteri a questa Europa. «L’accentramento di poteri, come nel caso della Bce, a danno dei Parlamenti dei singoli stati avviene in modo sbagliato, perché quei poteri appartengono alla sovranità del popolo. È il caso del fiscal compact, cioè l’imposizione agli stati di certe regole di bilancio. Se togliamo questi poteri ai Parlamenti nazionali, mi chiedo cosa ci stiano a fare. È un Leviatano, una specie di sistema neofeudale con un governatore che impone le regole e gli altri che eseguono. L’Spd tedesca ha affermato di volere, oltre al fiscal compact, un social compact, cioè regole uguali per tutti dal punto di vista dell’organizzazione sociale, dei rapporti nel mondo del lavoro, degli ammortizzatori sociali. Non potrà che essere il sistema tedesco o dei Paesi nordici, molto diversi dal nostro. Questo tentativo di uniformare tutto contrasta con le esigenze dei singoli Paesi».
In conclusione, «l’Italia avrà un ruolo nel mondo solo se sarà la tessera di un mosaico europeo, perché da sola non ce la può fare. Se l’Europa se ne farà scudo bene, altrimenti l’Italia è destinata a farsi mantenere da qualcun altro. Se lasciamo distruggere il nostro tessuto produttivo di piccole imprese a dimensione familiare non saremo in grado di garantire un futuro al Paese, né di mantenere quel benessere a cui siamo stati abituati in tutti questi anni».
dalla Padania del 31.10.12
 

 
 
 

Giallo sulla fine dei fratelli Cervi

Post n°1368 pubblicato il 06 Novembre 2012 da accorsiferro
 
Foto di accorsiferro

Fu vera gloria? Decenni di propaganda di partito hanno strumentalizzato per fini politici la drammatica vicenda dei fratelli Cervi, la famiglia di contadini della Bassa Reggiana trucidata dai nazifascisti durante i seicento giorni di Salò. Una rilettura parziale e forzata che sulla base di motivazioni ideologiche si è spinta fino a far assurgere i Cervi a miti contemporanei di coraggio, unione e di fedeltà alle proprie idee. Tra storia e racconto, Dario Fertilio ripercorre quei fatti, ma soprattutto quegli anni e il particolare contesto storico-geografico del “triangolo della morte” emiliano per sollevare il velo su una vicenda tanto idealizzata, quanto squallida e terribile nella realtà.
L’ultima notte dei fratelli Cervi (Un giallo nel triangolo della morte, Marsilio, 251 pp., euro 17,00) si colloca a metà strada tra il saggio analitico e il romanzo, percorrendo entrambe le soluzioni espositive in una originale commistione di generi. Ne esce a testa alta su entrambi i fronti, condendo il racconto di finezze psicologiche e ambientali. Ottima la scelta della lingua locale in alcuni dialoghi dei protagonisti per farci vivere con ancor maggiore partecipazione quei tempi tremendi.
Crediamo di aver suggerito noi all’autore, con la recensione al precedente (e imperdibile) Musica per lupi, la scelta di inserire in appendice una bibliografia essenziale, ben strutturata. E ne siamo orgogliosi.

A. A.

 
 
 

Colpo di... scolorina sulla Provincia di LODI

Post n°1367 pubblicato il 02 Novembre 2012 da accorsiferro
 
Foto di accorsiferro

FORONI: «Gesto arrogante che pagheranno i cittadini. Il governo gioca con il nostro futuro come a Risiko»

di Andrea Accorsi

«Èsolo fumo negli occhi. Tagliano poteri e servizi per la collettività, mentre non sarà tagliato un solo euro di tasse ai cittadini. Daremo battaglia per la riaffermazione della verità, della nostra identità territoriale e per combattere il mostro centralista in cui si sta trasformando questo Stato». Pietro Foroni (nella foto), presidente della Provincia di Lodi, è un fiume in piena. E lo si può capire: il modo in cui la sua Provincia è stata cancellata è talmente approssimativo da risultare farsesco. Un colpo di scolorina: tanto è bastato ai “tecnici” romani per far confluire Lodi nella grande provincia della Bassa Lombarda che comprenderà anche Mantova e Cremona.
«Siamo al grottesco - sbotta Foroni -. Il ministro dell’Interno Cancellieri e quello della Funzione pubblica Patroni Griffi annunciano la nuova distribuzione territoriale del Paese con una mappa rimaneggiata all’ultimo momento e con una striscia di scolorina sul Lodigiano. È la dimostrazione che questo Governo ha affrontato il futuro dei cittadini italiani, e di quelli lodigiani in particolare, come se giocasse a Risiko».
Il Governo, attacca Foroni, si è dimostrato doppiamente arrogante. «Primo, perché non ha tenuto in nessun conto la volontà dei territori coinvolti, che avevano indicato, sulla base di un percorso che aveva coinvolto tutte le parti politiche e sociali e sulla scorta di innumerevoli motivi di carattere storico, geografico, economico e logistico, un accorpamento con la sola Cremona e l’autonomia della Provincia di Mantova. Secondo, perché il chiaro segno di scolorina che cancella uno dei confini della Provincia di Lodi dimostra che la decisione sul nostro futuro è stata presa in maniera affrettata, all’ultimo momento e probabilmente per rispondere alle pressioni di qualcuno».
Ma non basta. Il Governo dei professori ha anche dichiarato decadute le Giunte provinciali al 31 dicembre prossimo. «Una scelta che interrompe il lavoro di tutti gli assessori - rimarca Foroni - e un percorso di governo del territorio che era stato programmato su cinque anni. Un gesto irresponsabile».
Ancora, il presidente della (ex) Provincia di Lodi giudica «ridicola» la decisione di fissare al novembre del 2013 le elezioni del nuovo presidente della Provincia che saranno fatte dai rappresentanti dei Comuni lodigiani, cremonesi e mantovani: «Gli stessi Comuni andranno a rinnovo di lì a qualche mese. Che legittimazione potrà avere il futuro governo della Provincia, tra l’altro svuotata di competenze e con gravi ripercussioni sui servizi? I cittadini se ne accorgeranno quando dovranno andare a Cremona o addirittura a Mantova per avere ciò su cui oggi potevano contare a pochi chilometri da casa, come ad esempio un passaporto. Per molti servizi dovranno spendere più tempo e più denaro in benzina per spostarsi».
Il tutto per non risparmiare un fico secco. «Non ci sono risparmi! - taglia corto Foroni -. Non lo dico io, lo stesso Governo nel decreto legge non ha conteggiato alcun risparmio. Patroni Griffi ha buttato lì la cifra di 50 milioni di euro: spiccioli».
Ci sono molte altre cose che non vanno giù a Foroni. «A farci la predica è lo stesso ministro Patroni Griffi che ha doppio stipendio e che ha comprato a poco prezzo una casa in una zona pregiata di Roma». Poi, il crescente accentramento romano. «Fino ad oggi abbiamo vissuto un falso federalismo, mentre lo Stato è sempre più centralista. Sta diventando il Leviatano di Hobbes: decide lui quando far cadere gli Enti locali, toglie poteri ad essi ma lui li tiene tutti. Non è un caso: la maggior parte dei ministri di questo Governo sono ministeriali, vengono dalla Funzione pubblica e dal pubblico impiego. È il principio di autoconservazione. Infatti, ai ministeri non hanno tagliato nulla».
Resta da chiedersi che cosa fare per limitare i danni. «Come ho già scritto al presidente dell’Unione Province Lombarde, deve partire immediatamente il Coordinamento delle Province del Nord. Solo da lì può nascere una risposta chiara, aperta e in contraddittorio con il Governo, che si è dimostrato scorretto con tutte le Province e soprattutto con quelle del Nord, che costano meno della metà di quelle del Sud e hanno molte più funzioni perché le Regioni hanno delegato di più. Invece siamo stati trattati tutti allo stesso modo, con il benestare dell’Unione Province d’Italia (Upi). Con tagli lineari hanno tolto spese, personale e indebitamento senza considerare che noi ne abbiamo di meno, quindi quei tagli incideranno di più al Nord».
Ultima beffa, nello stesso giorno in cui il Governo ha presentato il decreto sul riordino delle Province, il presidente della Provincia di Catania e dell’Upi, Giuseppe Castiglione, ha rassegnato le dimissioni per presentarsi alle prossime elezioni politiche. «Di fronte a tale scelta, viene normale chiedersi se l’Upi abbia interloquito con il Governo con la necessaria attenzione, fermezza e intraprendenza».

dalla Padania del 2.11.12

 
 
 

MARONI: MONTI A CASA, SERVE GOVERNO LEGITTIMATO DAL POPOLO

Post n°1366 pubblicato il 01 Novembre 2012 da accorsiferro
 
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"In Lombardia il PdL vuole l’accordo con Casini che in Sicilia (alleato con la sinistra) ha fatto perdere il PdL: quando si dice la coerenza"

di Andrea Accorsi

Governo Monti a casa. Roberto Maroni non ci gira intorno, ma sentenzia la fine dell’esperienza amministrativa dei “tecnici” e dei “professori”.
«Dopo l’approvazione della legge di stabilità, che è una pessima legge - attacca il Segretario federale del Carroccio - questo governo ha poco da dire e da fare. È bene che si dimetta e che si vada al voto il prima possibile, anche a marzo». Il problema, per Maroni, sta alla radice dell’attuale compagine governativa, ovvero nella sua autoreferenzialità e nella mancanza di un mandato degli elettori, come dovrebbe avvenire in democrazia.
«Alla guida del Paese - ribadisce - ci vuole un governo che sia legittimato dalla volontà popolare. Non c’è nulla di meno indicato in tempo di crisi economica di un governo che non lo sia, come l’attuale».
La prospettiva delle elezioni, tuttavia, agita le notti di molti se non tutti gli attuali partiti rappresentati in Parlamento, anche e soprattutto alla luce dei risultati delle Regionali in Sicilia, dove seppure in misura diversa hanno perso tutti. A cominciare dallo storico alleato della Lega, quel Popolo della Libertà che nell’Isola è andato incontro a un’autentica disfatta. «Quando si va divisi, come ha fatto il centrodestra con l’Udc in Sicilia - scrolla la testa Maroni -un esito simile è facilmente prevedibile».
Altro motivo di preoccupazione per i partiti “storici” è il crescente astensionismo. «Il dato interessante - rileva Maroni -è che chi si è astenuto non ha votato Grillo e il suo movimento. Si tratta di una vasta schiera di cittadini delusi dai partiti che possono essere recuperati alla politica». Vista in questa prospettiva, la disaffezione di un numero sempre crescente di elettori può rappresentare una risorsa, anziché un limite. Ma solo a una condizione. «Bisogna fare proposte concrete, serie, tali da trasformare questo non voto in voto per i movimenti politici».
Dall’alto del suo ruolo istituzionale, il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano continua a predicare calma. «Va bene - risponde il Segretario leghista - ma ci sono provvedimenti del governo che non vanno bene». Di qui l’invito a Monti perché molli la spugna il prima possibile, nell’interesse del Paese e dei cittadini.
Dopo aver eluso la questione della data del voto in Lombardia («non sono più ministro dell’Interno, mica devo decidere io») Maroni punta l’attenzione sulle mosse del Pdl in vista delle prossime Regionali. «Ho letto che vogliono fare le loro primarie, che saranno solo del Pdl. Bene, le facciano, non mi interessano. Noi le abbiamo già fatte quasi due settimane fa, e mi sembra - afferma con il sorriso sulle labbra - che il risultato sia piuttosto evidente».
Da ultimo, l’ennesima puntualizzazione sulla genesi della crisi aperta dalla Lega in Regione Lombardia. «La Lombardia è andata in crisi perché un assessore della Giunta è stato arrestato per concorso esterno in associazione mafiosa, e chi doveva vigilare perché questo non accadesse non ha vigilato. C’è bisogno di garantire che la mafia, la ’ndrangheta e la camorra stiano lontane dalla Lombardia, e in questo noi siamo in prima fila».
Sull’evoluzione dello scacchiere politico è intervenuto anche il presidente federale della Lega Nord, Umberto Bossi:  «Aspettiamo che Berlusconi passi dalle parole ai fatti. Mi pare - aggiunge Bossi - che in questo momento Berlusconi sia molto debole. Mentre la Lega va a mille. Ma al momento è difficile da interpretare, dopo quello che è successo in Sicilia, bisogna capire quel voto a cosa porta».
E sulla cena ad Arcore con Berlusconi prevista per lunedì sera, Bossi ha spiegato: «Non l'ho fatta perché se devo fare una cosa la faccio da solo senza che il mondo lo sappia».

dalla "Padania" del 31.10.12

 
 
 
 
 

INFO


Un blog di: accorsiferro
Data di creazione: 04/03/2006
 

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Il Prof. Dott. Guido Tersilli primario della clinica Villa Celeste convenzionato con la mutua**

Legenda:

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Andrea:

Kate Quinn

Fiori dalla cenere

(Nord)

 

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Cime tempestose di Emily Bronte

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Madame Bovary di Gustave Flaubert

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