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      Doppiopesisti o Cerchiobottisti: il discorso      non cambia

Post n°1349 pubblicato il 27 Dicembre 2008 da ad_metalla
 
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BERLUSCONI, SORU
E I CERCHIOBOTTISTI


di Giovanni Valentini (La Repubblica del 27 dicembre 2008)
       
È significativo che in tutta la storia della democrazia parlamentare non ci sia stato in alcun paese un grande statista che fosse un uomo d`affari (...). La ragione, io direi, è semplicemente questa, che l`opinione pubblica non ha mai potuto ammettere la pretesa del capitalista di essere il fiduciario dell`interesse pubblico. (da "Democrazia in crisi" di Harold J. Laski - Laterza,1935).

      A quale storico revisionista verrebbe mai in mente di paragonare una Guerra mondiale con una guerra regionale di confine? Eppure, è proprio quello che fa, più o meno consapevolmente, chi mette sullo stesso piano il conflitto di interessi che grava sul presidente del Consiglio Silvio Berlusconi e quello in capo a Renato Soru, governatore dimissionario della Sardegna. Un maxi-conflitto, da una parte; un mini-conflitto, dall`altra. Nel maldestro tentativo di accusare genericamente la sinistra di "doppiopesismo", cioè di adottare il criterio partigiano dei due pesi e delle due misure, una corrente di pensiero che si professa obiettiva e neutrale finisce così per ricadere nella più vieta pratica del cerchiobottismo: un colpo al cerchio e uno alla botte, appunto, per dire l`ipocrisia di dare ragione o torto un po` all`uno e un po` all`altro, a seconda delle circostanze, senza distinguere né i pesi né tantomeno le misure. Non un`effettiva e autentica imparzialità, dunque; bensì al contrario un`opportunistica e strumentale equidistanza che in realtà occulta, altera o deformai veri torti e le vere ragioni. Su questo giornale e in questa stessa rubrica, se per una volta è lecita un`autocitazione, il 25 giugno del 2005 scrissi testualmente: «Neppure il riserbo che s`addice di norma a chi ha intrattenuto rapporti di collaborazione professionale, può impedire al sottoscritto di esprimere la critica più netta al disegno di legge regionale sul conflitto di interessi che tocca il presidente della Sardegna, Renato Soru, tuttora proprietario del 30 per cento di Tiscali». E senza nascondere il fatto che «il patròn di Tiscali ha sottovalutato il problema fin dal suo esordio politico», aggiunsi già allora: «Non si può legittimamente criticare il maxiconflitto di Berlusconi, come qui continuiamo a fare da più di dieci anni, e ignorare il mini-conflitto di Soru. Il fatto poi che il governatore della Sardegna sia stato eletto da una maggioranza di centrosinistra aggrava ulteriormente la situazione. Per un minimo di coerenza e di credibilità, la questione non riguarda soltanto lui e la sua azienda, bensì l`intera coalizione che si oppone al Regime Televisivo». Non scopriamo quindi oggi il "caso Soru" e anzi lo riproponiamo con forza all`attenzione del Partito democratico, tanto più che nel frattempo il governatore sardo ha acquisito il controllo dell` Unità e si ricandida ora alla presidenza della Regione. Per uno schieramento politico che contro Berlusconi ha impugnato in passato la bandiera del conflitto di interessi, magari senza grande impegno e convinzione, il problema è evidentemente ancora più grave. E sbaglia senz`altro Renato Soru ad affermare, come ha dichiarato nella recente intervista ad Alberto Statera per Repubblica, che a questo proposito le domande e le ironie sul suo conto sono tutte "sciocchezze". Ma detto e ripetuto esplicitamente che la scelta del governatore sardo di affidare a un "fiduciario" - per quanto rispettabile e indipendente possa essere - la proprietà di Tiscali, dell` Unità e degli altri beni non basta a risolvere il suo conflitto di interessi, bisogna pur riconoscere la differenza di quantità e qualità rispetto al "conflitto mondiale" di Berlusconi. Non tanto per obiettive ragioni di consistenza economica. Quanto per il fatto che qui si tratta di un concessionario pubblico e come tale addirittura ineleggibile; capo del governo e capo di un` azienda che opera nel settore nevralgico dell`informazione, in concorrenza diretta con la tv di Stato controllata direttamente o indirettamente da palazzo Chigi; titolare di una concentrazione televisiva e pubblicitaria che drena risorse a danno dell`intero sistema, delle altre reti c in particolare della carta stampata; beneficiario di un`autolegislazione che ha già protetto i suoi interessi e i suoi affari privati. E per di più, di un premier-tycoon che ora aspira a farsi eleggere direttamente dal popolo alla presidenza della Repubblica. Con buona pace di tutti i cerchiobottisti, la questione fondamentale però è un`altra. E riguarda sia Berlusconi sia Soru, come chiunque altro si trovi nelle stesse condizioni. A rischio di apparire radicali, proviamo a riassumerla nel modo più semplice e chiaro possibile: un imprenditore, tanto più se è un buon imprenditore, non è in grado di fare bene né il presidente del Consiglio né il presidente di una Regione. Vale a dire che l`uomo d`affari non può di colpo sdoppiarsi o trasfigurarsi in uomo politico. In quanto portatore di legittimi interessi particolari, non è geneticamente adatto a interpretare e rappresentare l`interesse comune: altrimenti, rischia di entrare in conflitto con se stesso, con la sua natura, con il suo dna. E magari di confondere la cosa pubblica con la cosa propria o viceversa; di gestire il Consiglio dei ministri o quello regionale come un consiglio di amministrazione; di governare insomma il Paese o la Regione come un`azienda che deve realizzare profitti all`insegna della massima efficienza e del massimo utile. Fino a quando una tale anomalia si verifica nel campo della destra, può essere perfino in sintonia con il mood di una larga parte del suo elettorato; con il "senso comune" di una base legata al mondo della produzione e degli affari; con il "popolo delle partite Iva" e magari anche con il popolino delle fatture false. Ma quando ciò avviene nel campo della sinistra, quella sinistra riformatrice che in nome della solidarietà dovrebbe tendere almeno a ridurre le disuguaglianze sociali, a difendere i diritti civili, a tutelare il lavoro e i redditi delle famiglie, a salvaguardare l`ambiente e la salute dei cittadini, allora è più difficile ammettere- come dice Harold J. Laski nella citazione iniziale- "la pretesa del capitalista di essere il fiduciario dell`interesse pubblico". Chissà che prima o poi non sia proprio la crisi economica, anche qui, a fare chiarezza e a ristabilire un po` d`ordine.

 
 
 
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