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QUELLA DOMENICA POMERIGGIO

Post n°138 pubblicato il 06 Maggio 2009 da Superfragilistic
 

 

 

segue dal precedente post

Lelia se ne stava seduta, come ogni pomeriggio, sulla poltrona verde nel salottino di casa, esposto ad ovest, che i raggi del sole illuminavano filtrando anche attraverso le tapparelle semichiuse. Aveva curato ogni particolare prima di scegliere la casa dove andare a vivere, e soprattutto aveva curato l’esposizione delle stanze che affacciavano sui lati est ed ovest dell’edificio, un palazzone di dieci piani non lontano dal centro, che si poteva raggiungere  a piedi con facilità, ma in una zona ancora non definita come centrale ma piuttosto come periferia, quella periferia residenziale dove si concentrava la classe media impiegatizia. Aveva sofferto quando aveva dovuto rassegnarsi a trasferirsi a vivere lì, perché questo aveva significato  lasciare ben altre zone il cui prestigio era leggibile nei muri stessi dei palazzi e nella ridondanza dei nomi delle strade vicine, ai quali si poteva far riferimento per indicare, ad eventuali visitatori, la propria via.  Tutte queste cose, che ad altri avrebbero potuto sembrare  di poco conto, per lei erano importanti e rappresentavano il senso di un riscatto a lungo cercato ed iniziato dal momento in cui aveva varcato la soglia della sua casa natale in senso inverso, per uscirne, ed aveva raggiunto il collegio a Roma dove una sorte, finalmente favorevole, l’aveva condotta, cambiandone il corso e regalandole la possibilità di un futuro diverso. Lelia era una ragazzina molto  intelligente e piena di volontà, e la sua indole  troppo ribelle perché potesse rimanere ancora a lungo nella casa dove aveva vissuto un’infanzia tutt’altro che felice. Sua madre aveva dato alla luce dieci figli ma di questi solo in quattro ce l’avevano fatta;  mentre tutti gli altri, dopo un’esistenza che li aveva condotti oltre i confini dell’infanzia o, per un paio di loro, dell’adolescenza, se ne erano andati ed a lei avevano lasciato, in eredità, un’acredine verso la vita. Suo padre, che faceva il cantoniere, era sempre in giro con il suo carretto per strade e viottoli sconnessi, e quasi sempre la sua giornata si concludeva tra locande ed osterie che incontrava nel percorso, dove finiva per ritrovarsi con il fiasco in mano ed in preda all’ebbrezza, il che gli aveva procurato anche qualche incidente sulla via del ritorno, ma per fortuna mai con gravi conseguenze: ché solo quello ci sarebbe mancato, rimanere senza chi sostenesse la famiglia e dover tirare la cinghia più di quanto non si facesse già. Lelia ne ricordava le scenate d’ira quando tornava a casa a tarda notte in preda ai fumi dell’alcool: lei, dalla stanza che divideva con la sorella maggiore, ne sentiva chiare le parole, ed a volte si era persino alzata per spiare senza essere vista; e non era stato un bel vedere ed ancora le immagini ed i ricordi le procuravano un dolore che le stringeva forte il cuore…già… il cuore, il suo cuore, quello era adesso il suo problema.

La domenica si era svolta come sempre fino a quel momento: come sempre aveva approfittato della giornata festiva per riprendersi le ore di sonno rubatele dal lavoro durante i giorni precedenti, ed aveva poltrito fino a mezzogiorno, come era solita fare senza alcun senso di colpa. Poi aveva preso un bel bagno, fatto il pedicure, si era preparata con cura ed insieme al marito si era recata alla Messa dell’una. I suoi figli erano tornati a casa dalla messa poco prima che lei ne uscisse e questo l’aveva rassicurata. Annina, la Tata, aveva rassettato anche la sua stanza approfittando del tempo a disposizione durante il bagno;  dalla cucina si spandevano per tutta la casa, e presumibilmente anche nelle  scale,  gli odori più invitanti che si potessero immaginare, preludio di un pranzo fatto di manicaretti, ragù e pasta in casa e del canonico dolce, sempre diverso e fantasioso,  che usciva dalle mani di Annina come un prezioso capolavoro di arte culinaria. Tutti ne erano golosi ma la sua bambina, la più piccola della famiglia, lei non la si riusciva a controllare e poteva accadere di riporre la torta consumata appena a metà e di non ritrovarne affatto. Era troppo golosa quella bambina, avrebbe dovuto trovare qualche espediente per guarirla da una pulsione così incontrollabile.  Anche la tata, pensava, era poco più di una bambina quando l’aveva presa a casa sua: una parente gliene aveva parlato sapendo che lei ne cercava una che fosse in grado di badare ai suoi figli ed alla casa, visto che il suo problema al cuore non le avrebbe potuto consentire in alcun modo di farlo lei stessa, come avrebbe desiderato con tutta l’anima, solo Dio lo sapeva quanto ne soffrisse, altro che commenti del tipo: ‘beata te che hai una così brava tata’. Certo era brava: ma lei l’aveva presa adolescente e già madre, ‘ragazza  madre’, una condizione che le avrebbe impedito di poter pensare ad un possibile futuro. Prima che divenisse la sua tata, Annina aveva vissuto in una montagna sperduta, in un borgo senza acqua né luce, e per questo non aveva frequentato la scuola  se non le prime classi delle elementari. Aveva accettato quel lavoro per garantire un futuro alla sua piccolina che Lelia aveva fatto sistemare in un buon collegio di religiose dove sarebbe stata  cresciuta ed educata. Ad Annina aveva pensato lei: una volta a casa le aveva insegnato ogni cosa, come faceva con le sue alunne a scuola alle quali spiegava come accudire un bambino o come fare le pulizie di primavera, o come organizzare un armadio ed un ripostiglio, o ancora come utilizzare sempre i prodotti di stagione per cucinare e preparare confetture, e tutte queste cose. Nulla aveva trascurato, consapevole del fatto che si sarebbe dovuta occupare della sua casa e dei suoi cari, ovvero di ciò che lei considerava il bene supremo per eccellenza. Ma certo non era stato tempo sprecato e presto Tata Annina, aveva dimostrato di possedere notevoli doti di intelligenza ed attitudine ad apprendere, e così aveva raggiunto quasi la perfezione. Certo lei non le risparmiava rimproveri se non riteneva che avesse adempiuto per bene ai suoi impegni domestici, ed ormai da dodici anni  convivevano sotto lo stesso tetto visto che Annina era già lì da due anni quando era nata la sua ultima bambina, Maria, che ora aveva già dieci anni, ma per lei e per Annina sarebbe sempre stata ‘la piccola’.  Già, la sua bambina, Maria, che adorava sopra ogni cosa e che ora inesorabilmente stava crescendo. Oggi, durante il pranzo domenicale, aveva notato il suo strano e quantomai inusuale silenzio a tavola e la cosa non la convinceva, anzi l’impensieriva. Questo pensava Lelia in quel pomeriggio di una domenica di incipiente primavera, seduta nel salottino della sua casa, a fianco di suo marito e mentre i raggi di sole filtravano tra le imposte socchiuse. Finché un leggero rumore la fece sobbalzare leggrmente e girandosi potè vedere, attraverso il vetro smerigliao della porta del salotto, l’esile figura di Maria.

 
 
 
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