« MARIA SOFIA DI BORBONE

GLI ESSERI DEL BUIO

Post n°144 pubblicato il 14 Novembre 2006 da takagika

Appoggiò la spada sulle spalle e guardò la sua vittima l'ultima di quel giorno spegnersi lentamente. Un giovane guerriero biondo alto ora era morto a suoi piedi. Lo aveva trapassato da parte a parte affondando la spada sotto lo sterno quasi fino all'elsa.

E il gelo del ferro sembrava essersi trasmesso a quegli occhi che lui aveva guardato nell'istante della morte.

Uccidere con le proprie mani è lavoro da allevatori, fatto di lame, di arnesi creati solo per quello scopo; solo chi alleva animali, chi li fa venire al mondo, li cresce e li nutre ha poi la capacità estrema di ucciderli nel modo migliore. Sapendo dove si deve si può colpire implacabili e dare la morte immediata, la migliore. Non avrebbe mai fatto soffrire il suo cane o il suo cavallo, se obbligato avrebbe dato fine all'esistenza di queste creture così vicine al suo cuore con un solo colpo mortale. Allo stesso modo duellando e combattendo poteva uccidere il nemico con un solo affondo deciso o con una rotazione circolare della spada che come una falce poteva recidere lo stelo di una giovane vita. Era un terribile potere quello che dei oscuri e terribili gli avevano dato, un potere tanto micidiale quanto effimero perchè il pararsi davanti del suo destino finale poteva farlo scomparire all'istante insieme alla sua vita.

Si lasciò cadere vicino al suo scudo, era stanco di combattere e di uccidere, la battaglia era vinta. I corvi volteggiavano sul campo in mezzo ai mucchi di cadaveri. Per i feriti e i moribondi il colpo di grazia pietoso di una picca o di una lancia. Ora era solo tempo di sciacalli per l'ultimo scempio su quei corpi straziati dalla sconfitta. L'ultimo sgarbo la spoliazione degli averi e il taglio delle teste che evrebbero ornato l'entrata del tempio e ricordato la vittoria di quel giorno. Bisogna sapere quanto si è ucciso... contare i nemici che non ci disturberanno più e prendere loro le cose e la forza. Perchè in finale è solo ruberia e rapina estrema anche se cammuffata da giusta causa di guerra. La sua spada era ancora calda di guerra e di sangue, avvertì un brivido un mesto e inumano piacere. Quanto aveva ucciso. Anche questa volta. La morte lo aveva sfiorato ancora ma non aveva vinto. Eppure era così stanco. Osservò due guerrieri contendersi le spoglie di un caduto. La ricchezza delle proprie armi non aveva valore una volta uccisi. Il nulla prendeva tutto e i tuoi uccisori si accaparravano quello che di te era rimasto. Nemmeno le tue ragioni sopravvivevano perchè per quanto poteva essere crudele e malvagio chi ti aveva schiacciato di te non lasciava niente altro che un corpo inanimato e le tue ragioni morivano con te. Sul campo dei caduti nessuno avrebbe ricordato la causa che aveva portato a quei lutti e a quella rovina. Solo le madri avrebbero pianto i figli, le vedove i loro uomini e appena smesso il pianto avrebbero ricominciato per loro stesse perchè il destino degli sconfitti era quello ineluttabile dei prigionieri e degli schiavi. I giovani uomini erano morti e quelli che gli erano sopravvissuti perchè avevano vinto erano ormai vecchi guerrieri, la morte vista e data aveva conferito loro una nuova età imprimendo per sempre l'orrore nei loro occhi.

Erano dei sopravvissuti.  

Non restava che provare a rallegrarsene e bere nei teschi dei nemici uccisi .  Vide il guerriero dai capelli rossi avvicinarsi. Portava sulle spalle legato ad una cinghia il pesante scudo ogivale con le rune celesti dipinte. Le streghe dicevano che quelle rune davano l'invincibilità sui nemici ma guardando quell'uomo si aveva la sensazione che bastasse la forza di quel braccio e la sua imponenza a fare a pezzi gli avversari. La barba lunga e i capelli erano ancora intrisi di sangue e di terra. La lunga spada era riposta nel fodero così come il pugnale corto dalla lama triangolare. Solo la pesante ascia era ancora snudata. Era un vero gigante e aveva schiacciato tutti i nemici che lo avevano affrontato. Se un dio della guerra esisteva era certo che aveva impresso in quell'uomo tutta la sua terribile forza. Vedendolo combattere si poteva capire cos'era il furore guerriero, una sorta di estasi mistica dove la morte era un'arte terribile e una religione allo stesso tempo. Chiuse gli occhi per un istante l'unico rumore era il gracchiare dei corvi che iniziavano a banchettare in mezzo ai cadaveri. Il fragore della battaglia era solo un ricordo ora ma ancora poteva sentire il rumore delle armi, le urla dei guerrieri, per un istante rivide gli occhi del suo avversario,  farsi vitrei mentre la lama della sua spada lo trapassava da parte a parte uccidendolo all'istante, Quello era lo sguardo gelido della morte e lui l'aveva guardato fisso. Eppure non era la prima volta che uccideva, in un tempo in cui la pace era strettamente legata alla guerra la morte era cosa di tutti i giorni. Le urla delle donne lo destarono da quel sogno così reale. I suoi compagni avevano scovato delle prigioniere. Voltò lo sguardo in direzione di quelle urla e vide i guerrieri trascinare un gruppetto di ragazze. Una urlava e scalciava. "Presto sarà morta" pensò "la uccideranno per dare un esempio alle altre e farle stare tranquille". Ma contro ogni previsione quella estrasse da sotto le vesti un pugnale e lo affondò nel cuore del guerriero che più le stava vicino. Il più giovane del clan guardò quella lama conficcata fino all'elsa nel suo petto con uno stupore di bambino, era sopravvissuto alla battaglia a guerrieri alti e forti e alle loro armi affilate, per morire così miseramente colpito da un coltello come un qualsiasi animale, a tradimento mentre trascinava una schiava. Portò le mani al pugnale come per strapparselo via insieme alla morte che già incombeva su di lui ma l'unico effetto fu quello di far uscire il sangue dal suo corpo in un getto caldo e denso. Cadde in ginocchio ai piedi della sua assassina guardandola fisso in viso, una fanciulla più giovane di lui che forse in un'altra vita avrebbe potuto essere la sua sposa, ma che in questa invece della verginità e del calore del suo corpo, gli stava dando quel dono estremo e così difficile da accettare, una fine ingloriosa e priva di ogni onore. Per un attimo fu come se quella scena si fosse fermata cristallizzata nella sua drammatica essenzialità. Poi il soldato cadde in avanti morto. La previsione di massacro di pochi istanti prima si fece realtà nella spada dei due uomini che erano più vicino al caduto, senza una sola parola affondarono semplicemnte le loro armi calandole dall'alto come mannaie sul corpo della giovane che con un solo urlo acuto colpita cadde uccisa e dilaniata. Le altre osservavano impietrite, forse tra pochi istanti sarebbe accaduto a loro. Quasi che la morte non volesse più staccarsi da quella terra ormai imbevuta la macabra danza dell'omicidio e della strage continuava quel giorno. "Gli dei non sono ancora sazi" pensò alzandosi gli occhi fissi sul nuovo massacro "vogliono altri tributi". Fu allora che decise di porre fine alla strage e di fermare la morte "per oggi hai mangiato abbastanza". Ma gli dei della guerra e della morte chiedevano altro sangue. Si alzò per raggiungere  gli uomini del clan. L'uccisione del giovane loro congiunto non sembrava essere stata placata dalla sommaria giustizia inferta alla sua assassina. Le tre donne supersisti stavano strette una all'altra come a proteggersi dalla furia dei loro persecutori. Sulla collina una roccia bianca si stagliava contro l'orizzonte e la luce ormai cremisi del tramonto. Gli dei avevano dato una ben cupa atmosfera a quello scorcio di giornata arrossendo come di sangue il cielo. La pietra sembrava risplendere nelle luci del tramonto quasi fosse un sole a parte. E quando le donne vennero portate alla sua base e scannate come animali sacrificali si arrossò di sangue scuro. Le vittime si spensero senza grida quasi sapessero di dover morire. Il guerriero intanto stava correndo verso di loro ma era come se una forza lo trattenesse... non fece in tempo a fermare il massacro e nemmeno ad opporsi. La morte era stata più forte. La morte aveva preso in quella piccola valle tutto quello che aveva potuto prendere come un ladro frettoloso incalzato dal tempo.

Ma una di loro era viva. Nascosta tra i rami della piccola foresta aveva osservato la scena maledicendo quei guerrieri venuti dal nord. Il suo popolo non c'era più, si era estinto in un solo giorno, il suo piccolo clan era stato cancellato. Ai corvi i cadaveri degli uomini, al dio delle pietra il sacrificio delle sue sorelle e cugine che ora giacevano morte sulla collina. Non riusciva a piangere. La furia, un odio che picchiava dal cuore allo stomaco, glielo impediva. Come odiava quei barbari che avevano distrutto il suo piccolo mondo, se avesse potuto li avrebbe schiacciati, uccisi strappando loro la pelle e dal petto il cuore.

Imprecò e maledisse la banda tracciando con le dita invisibili segni nell'aria mentre il sole ormai scompariva in un cielo cremisi. Pregò e pregò, gli occhi iniettati di rosso quello delle lacrime soffocate nel battito di quel giovane cuore. Una litania erompeva dalle labbra serrate come un prodigio una flebile voce fuoriusciva dalla bocca chiusa. La voce erompeva da dentro ed era un sibilo un soffio che si perdeva nei rumori del piccolo bosco. Li guardò accendere un grande fuoco alla base della roccia e ringraziò in cuor suo gli dei neri che adorava. Quegli uomini apparentemente imbattibili avevano finalmente commesso un errore...lo avrebbero pagato.

Una magia antica aleggiava ancora sulla terra. Prima ancora degli albori del mondo esseri antropomorfi vivevano e morivano in base a leggi naturali ormai perdute negli eoni del tempo. Poi erano arrivati gli uomini e l'evoluzione lenta ma inesorabile li aveva portati al predominio su tutto quello che allora li circondava. I loro utensili le loro armi dapprima rozze come le clave o le selci di pietra erano cresciute con loro arrivando a forgiare lame per il lavoro dela terra come le falci e gli aratri e buone per la guerra come le spade e i pugnali. Forti di questa tecnologia rozza ma efficace gli uomini erano cresciuti tanto da non ricordare se non nelle loro superstizioni gli antichi nemici costretti ormai al buio e alle tenebre. I pochi sopravvissuti di quella inumanità appena accennata e inespressa avevano  trovato rifugio sotto la superficie della terra in antri e caverne e il buio era diventato il loro regno. Ancora oggi quando le tenebre calavano sul mondo gli esseri trovavano il coraggio di uscire dalle loro tane e di affrontare coloro che si erano avventurati nell'oscurità o ancora meglio vi si erano perduti. Ormai accecati dalla luce del sole gli esseri non potevano competere nemmeno con un bambino armato di bastone ma in assenza di luce mantenevano la loro micidiale pericolosità, artigli affilati e zanne taglienti capaci di spegnere una vita con discreta facilità. E allora quando un pastore o un contadino sorpreso dal buio fuori dal proprio villaggio scompariva senza lasciare traccia o, più raramente, veniva ritrovato al mattino orrendamente assassinato, si tornava a parlare di loro chiamandoli in molti modi. Le streghe e gli sciamani dei villaggi si tramandavo litanie e scongiuri per tenerli lontani dalle case ma anche tra questi erano veramente pochi quelli che li conoscevano davvero. Era difficilissimo vederli e chi c'era riuscito spesso molto spesso non aveva avuto tanta fortuna da sopravvivere e da poterlo raccontare. E gli esseri delle tenebre vivevano ancora. Gli accessi al loro regno erano perfettamente nascosti mimetizzati nelle campagne e nelle foreste più fitte e solo in rari casi, laddove la memoria degli uomini aveva perpetrato il ricordo di loro qualcuno nei secoli passati aveva lasciato un segno a monito di chi viveva in quelle zone.

La collina era uno di quei luoghi. Su quell'erba una notte ormai perduta nel tempo guerrieri armati di lame di bronzo e di clave avevano affrontato l'orda oscura di quei mostri massacrandoli. I pochi superstiti avevano trovato un estremo rifugio nelle cavità sotterranee della valle il cui accesso principale si apriva proprio sull'altura. E l'accesso era stato chiuso da un massiccio dolmen. Le rune sulla roccia erano incantesimi antichi tracciati per esorcizzare quell'oscuro male. Ma in realtà quello che teneva lontani gli esseri erano la luce del sole, il ferro delle spade degli uomini ma soprattutto il loro stesso isolamento. Per questo gli abitanti della valle si tenevano alla larga dalla collina. Non volevano disturbare i suoi oscuri abitanti con le loro voci e i loro stessi passi attirandoli magari per un ultima volta all'aperto di un mondo che a loro ormai doveva essere precluso per sempre. Una verità sconosciuta ai guerrieri che ora bevevano vino e affilavano le spade alla luce dei fuochi accesi tutti intorno alla roccia sul colle e che ignari stavano per lasciarsi andare al sonno della notte.

Epilogo

Nessuno vide quello che accadde nella notte intorno al tumulo... al mattino due giovani cacciatori che si erano avventurati nella valle trovarono solo quella donna dall'età indefinita i capelli imbiancati terrorizzata e balbettante. Indicava in maniera confusa la piccola collina piangendo e graffiandosi il viso. Quando i cacciatori arrivarono sul posto trovarono le armi sparpagliate sul terreno, i segni di un fuoco di bivacco ancora caldo e un dolmen nero ricoperto di sangue.

"Sappi viandante che fummo valorosi guerrieri

combattemmo nostri pari con coraggio e ardore

ma qui vittime delle nostre stesse più riposte paure

morimmo... tutti".

 

 
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