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Messaggi del 10/07/2017
Post n°41 pubblicato il 10 Luglio 2017 da antonella.angeloni
Una mamma ha chiesto a me, che lavoro con i bambini, qualche consiglio sul modo giusto di giocare insieme a sua figlia. Le ho risposto che ci avrei riflettuto su e questi appunti sono il risultato delle mie riflessioni, che non hanno la pretesa di essere giuste o sensate. Non so neanche se,quando mio figlio era piccolo,mi sia mai posta questo interrogativo. Ma io so giocare con mio figlio?Avrei dovuto farlo. I miei genitori giocavano con me. Mio padre poco, in accordo con i costumi del tempo, a volte sembrava accorgersi che tra i compiti di un papà rientrava quello del gioco. Ci provava. Erano rari momenti, strani,in cui io mi sentivo in dovere di far giocare lui, di intrattenerlo, di trovare un gioco che potesse piacergli. Non gli piaceva nessun gioco in realtà. Si annoiava,non riusciva a collegarsi con il suo bambino interiore, soffocato dall'uomo proiettato in una dimensione del fare,del produrre. Ma non per cattiveria o per mancanza d'amore. Lui era così. Il rapporto tra me e mio padre si è giocato su altri terreni, in cui lui, fortunatamente,era più ferrato. Mia madre. Una giocatrice doc. Noi vivevamo giocando. Inscenavamo delle sit com, giochi di ruolo,diremmo adesso,in cui recitavamo una parte, spesso lei da piccola o mia nonna, o una zia. C'era in questo gioco, la narrazione della sua storia di bambina. Talvolta interpretavo lei, quella bambina imperfetta, monella, che suonava i campanelli e scappava, che costruiva bambole di pezza, rubava la marmellata di amarene, giocava a campana e si addormentava sotto un castello di sedie, infilandosi furtivamente nel salotto buono. Mia madre mi ha portato con sè nella sua infanzia, mi ha presentato se stessa bambina e tutta la grande rete di relazioni che la circondavano. Mi ha mostrato delicatamente delle piccole fragilità di se stessa che io scoprivo simili alle mie che sembravano,così,più accettabili. Mamma, giochiamo a quando eri piccola? Si divertiva da morire e anche io. Mia madre ha 76 anni, ha ancora una bambina scalmanata e curiosa dentro di sè. La tira fuori continuamente, giocando con i suoi nipoti e con qualche bambino di passaggio che si imbatte in lei. Li attira. Non ha perso autorevolezza ai miei occhi, con questo suo rimpicciolirsi. Però giocando con me lei ha costruito un legame di intimità, che non è scontato neanche tra genitori e figli. Non credo esista un modo giusto di giocare con i propri figli. Però so che certamente ne esiste uno sbagliato. Quello senza coinvolgimento emotivo, senza gioia. Questo modo disfunzionale diventa un'occasione mancata, responsabile di quel senso di estraneità che proviamo di fronte a un figlio adolescente con cui vorremmo parlare e che invece ci ignora. Il dialogo con i figli inizia da subito. Da quando lui ti chiama per giocare e tu vorresti solo riposare o distrarti. Alla mia amica consiglieró soltanto di metterci tutto il cuore che può mentre gioca con sua figlia. Di mettere in gioco tutta se stessa, in lunghezza, altezza, larghezza e profondità.
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