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di Lola Galán- 27 ottobre 2011Pubblicato in: Spagna Un'overdose per poco non costa la vita a Lapo Elkann, erede dell'"avvocato Agnelli". Dopo la riabilitazione si reinventa all'ombra del fratello John, il presidente modello dell'impero Fiat. Entrambi competono per emulare il nonno da prospettive diverse La presenza di Lapo Elkann, nipote di Giovanni Agnelli, è ciò che ha attratto maggiormente l'attenzione alla riapertura del Museo dell'Automobile di Torino, nel marzo scorso. Non solo perché l'erede della dinastia più potente d'Italia portava un vestito blu elettrico, ma perché ha guidato il presidente Giorgio Napolitano per le sale come un esperto cerimoniere. Lapo era loquace e disinvolto, confermando le voci che lo danno come prossimo presidente del museo appena intitolato a suo nonno. Un incarico più che altro onorifico, ma carico di significato perché vorrebbe dire un avvicinamento evidente al gruppo Fiat del quale fu responsabile d'immagine del marchio fino al 2005. Quell'anno successe la catastrofe. Un'overdose di cocaina ed eroina, assunte nell'appartamento di un famoso transessuale torinese, per poco non gli costò la vita. Nella mente degli Agnelli passò fugacemente il ricordo degli sfortunati membri del clan. Giorgio, fratello dell'Avvocato, tossicomane che finì i suoi giorni in una clinica psichiatrica. O Edoardo, figlio primogenito di Gianni, eroinomane che finì per lanciarsi da un viadotto nel 2000. Lapo si salvò. Lasciò l'incarico nell'azienda e curò la sua tossicodipendenza in una clinica in Arizona. Quando tornò in Italia, nel 2007, era un uomo nuovo. Pieno di iniziative, che ebbero grande attenzione da parte dei media. Presentò Italia Independet, una marca che disegna e commercializza dall'abbigliamento agli occhiali in fibra di carbonio, e più tardi La Holding, un progetto che si attribuisce la "missione" di agire da catalizzatore dell'innovazione. Investendo nella nascita e nello sviluppo di nuove idee imprenditoriali. Ciononostante, finora non è riuscito a riprendersi il ruolo precedente. "Non credo che ci stia provando. Lapo ha trovato il suo cammino. Ha la sua azienda, un'agenzia di design, si occupa di pubblicità. È un creativo, non è mai stato un manager esperto di gestione come suo fratello John", dice Luca Cordero di Montezemolo, presidente della Ferrari (del Gruppo Fiat) , azienda con cui Lapo collabora. Montezemolo, che ha presieduto la Confindustria e la Fiat, sa di quel che sta parlando. "Conosco entrambi da quando sono nati. Già da piccoli erano molto diversi, e con gli anni le differenze sono aumentate". Il presidente della Ferrari descrive John come una persona seria, molto rispettosa del suo ruolo. "Suo nonno apprezzava molto la sua devozione al lavoro. Lapo, invece, era inquieto fin da piccolo. Era attratto dai colori e gli piaceva scegliere i suoi vestiti. È una persona creativa". Queste differenze spiegano forse la vita e la carriera professionale di entrambi. Una carriera decisa a priori. Il nonno adorava Lapo. Ridevano insieme, ma lo conosceva bene e decise che John era il più indicato per la successione al comando del gruppo familiare. Dalla fine degli anni Novanta, l'erede con il suo viso d'angelo e la sua aria di non aver mai rotto un piatto, si siede nel Consiglio d'Amministrazione della Fiat, e nel 2010 ne assume la presidenza. John è anche colui che decide sugli investimenti della famiglia, come leader della società Exor. A 35 anni, è un imprenditore di successo e con la vita completa. È sposato e ha due figli piccoli, Leone e Oceano. Lapo, con i suoi 34 anni appena compiuti, è uno scapolo d'oro, anche se da qualche tempo ha una fidanzata formale: una cugina di secondo grado, Bianca Brandolini d'Adda. È un assiduo frequentatore di feste e sfilate di moda, campo in cui è considerato un'autorità. Periodicamente è in testa alle classifiche degli uomini meglio vestiti al mondo. Anche se Lapo si preoccupa sempre di chiarire che è "lo stile" e non la moda che gli interessa. La sua presenza è una calamita per i fotografi, che l'hanno scovato parcheggiato sui binari del tram a Milano, e in zona scarico merci a Torino. A Capri è stato protagonista poco tempo fa con un gruppo di amici di una discussione a proposito di un taxi di marca Lancia (gruppo Fiat), di cui Lapo si era dichiarato proprietario. Non tutti capirono la battuta. Il senso dello humor, del sarcasmo, era anche un tratto tipico del nonno. Un motivo in più per coltivarlo. I due lottano per accentuare quello che li lega all'Avvocato (un titolo distintivo del gusto della società italiana, nonostante fosse solo laureato in diritto, non avvocato). John, sforzandosi nella dedizione al lavoro nella migliore tradizione piemontese, una dedizione posseduta dal nonno negli anni della maturità. E, anche se non per imitarlo, si è sposato con un'aristocratica, Lavinia Borromeo, così come il nonno si unì a Marella Caracciolo, discendente di un principe napoletano. Lapo ha ereditato l'audacia nell'abbigliamento che caratterizzava Gianni fuori dall'ufficio e l'ha portata ad inaspettati estremi coloristi. Parla come il nonno, che si saziava di feste ed amanti in gioventù e non prese le redini della Fiat fino a che compì 45 anni. L'Avvocato era capriccioso e amava guidare macchine speciali, modelli Fiat con motori Ferrari. Qualcosa di simile a quel che fa oggi Lapo con vestiti ed automobili personalizzati. I due Elkann hanno l'istinto degli Agnelli per navigare nelle acque turbolente della politica e della finanza italiane. Gianni e Umberto accettarono denaro dal colonnello Gheddafi, anche se dopo ricomprarono le azioni. La sopravvivenza della Fiat, quando era controllata dalla famiglia, è sempre stata una priorità per gli Agnelli, che hanno saputo intendersi con Mussolini, con la Democrazia Cristiana, con i governi di Centro-sinistra e con Silvio Berlusconi, nonostante la mancanza di sintonia personale tra l'Avvocato e il Cavaliere. Poco tempo fa Lapo Elkann ha dichiarato in un'intervista "rispetto Berlusconi perché è una persona che fa cose, anche se non sempre sono d'accordo con quello che fa". Una prudenza degna di suo fratello, il bonaccione. "John sa essere duro nonostante il suo aspetto angelico," sostiene Evelina Christillin, seduta nel suo ufficio nella sede del Teatro Stabile di Torino, della cui fondazione è presidentessa. La Christillin è un personaggio importante a Torino, città in cui organizzó i Giochi Olimpici Invernali del 2006, ed è cresciuta con i figli dell'Avvocato. "È vero che Lapo era ribelle fin da piccolo. Non c'era modo di portarlo al catechismo. Ma è molto affettuoso. Una persona con un gran bisogno di affetto.". La Christillin, 55 anni, amica intima degli Agnelli, crede che questa differenza di caratteri ha contribuito ad avvicinarli. "Sono opposti persino fisicamente. Lapo somiglia di piú al padre, John alla nonna". Entrambi sono nati a New York e hanno condiviso un'infanzia e un'adolescenza da veri nomadi. Da New York viaggiarono a Londra, dove è nata la sorella minore Ginevra; poi a Parigi, poi in Brasile e di nuovo in Francia. In un panorama così vario, bisognava afferrarsi a delle certezze. "Il mio punto di riferimento costante erano i miei fratelli", raccontò John in un evento all'università Bocconi a Milano lo scorso anno. E sembrava sincero. I genitori Margherita Agnelli e lo scrittore italo-francese Alain Elkann si separarono nel 1981. Margherita rimase con i bambini, che portò in giro per il mondo con il suo secondo marito, il conte russo Serge de Pahlen, finito anche lui a lavorare per la Fiat. La famiglia non smise di crescere, John diventò il maggiore di otto fratelli che risiedevano sempre all'estero. Andavano in Italia solo per le vacanze. Lapo è sempre stato contento di questa vita itinerante, della sua condizione di "Italiano globalizzato". Ma mentre lui, il ribelle, era mandato in collegio e più avanti a New York a lavorare con Henry Kissinger, suo fratello, il primogenito, doveva essere ben preparato. A 18 anni John arrivò a Torino per studiare Ingegneria. "Non conosceva quasi l'Italiano " ricorda Evelina Christillin. Ed inizió un apprendimento rapido, sempre in incognito, in differenti settori dell'azienda. Nel gennaio del 2003 morì ad 81 anni suo nonno, e il prozio Umberto, che sopravvisse all'Avvocato per poco più di un anno, prese il timone del gruppo in uno dei suoi momenti peggiori della sua storia. L'arrivo in Fiat di Sergio Marchionne ed una polemica operazione di ingegneria finanziaria evitarono la catastrofe. "Marchionne è colui che porta le redini della Fiat. John Elkann occupa il posto di controllo che corrisponde ai maggiori azionisti del gruppo. Oggi sarebbe impossibile un controllo come quello di Gianni Agnelli" dice il professore della Bocconi Giuseppe Berta, autore di un libro sulla Fiat. La monarchia industriale assolutista che si mantenne in piedi quando l'Avvocato era in vita ha lasciato il posto alla monarchia costituzionale. John, il nuovo principe, non ha più lo stesso potere, né lo stesso glamour . È un imprenditore qualsiasi che passa la sua vita in aereo e va a prendere i figli a scuola quando è a Torino. La cittá non dipende più dal Gruppo. Nella fabbrica di Mirafiori lavorano solo 5000 persone, mentre la Fiat, che si è fusa con Chrysler, concentra le sue forze all'estero, soprattutto in Brasile. Nonostante tutto, la storia ha il suo peso e gli Agnelli sono rispettati. Anche se il clan si è frantumato per via della guerra dichiarata da Margherita, figlia unica di Giovanni e Marella Agnelli, a sua madre per l'eredità di famiglia. Margherita ha riversato tutte le sue lamentele nel libro I Lupi e gli Agnelli (gioco di parole che si riferisce al nome della famiglia) del giornalista Gigi Moncalvo, in cui si parla della dislessia di Lapo da piccolo e si descrive John come un ragazzo sottomesso alla volontà di Gianluigi Gabetti, un consulente dell'Avvocato. Torino, agghindata con bandiere italiane per il 150º anniversario dell'Unità d'Italia, sembra oggi estranea a questo litigio che fece scorrere fiumi d'inchiostro. La gente vuol sapere quale sarà il futuro della Fiat. Ma i Torinesi sanno che le cose non torneranno come prima. Anche se la nuova Fiat avesse successo, e con lei gli eredi degli Agnelli, nessuno riprenderà la poltrona del vecchio patriarca. Margherita, l'insaziabile La morte di Gianni Agnelli nel 2003 diede inizio ad un'aspra battaglia per l'eredità. Sua figlia Margherita, di 56 anni, la impugnò insoddisfatta per la parte che le era toccata e per il ruolo di erede assoluto riservato a suo figlio maggiore, John. Nel maggio 2004, Margherita seppellì l'ascia di guerra e firmò un accordo con sua madre, Marella Caracciolo, secondo cui ereditava le ville della famiglia, le barche e le automobili del padre oltre a una somma milionaria in contanti. In cambio, vendette le sue azioni Fiat. Nel 2007 Margherita tornò alla carica, reclamando il denaro che il padre teneva all'estero. Da allora ha solo sofferto conseguenze negative e si è rotto il rapporto con la madre e con i figli. Una dinastia ultracentenaria Fu Giovanni Agnelli I, figlio di un latifondista di Villar Perosa, una località piemontese ai piedi delle Alpi, a fondare la Fiat (Fabbrica Italiana Automobili Torino) nel 1899, e la dinastia che ne è stata a capo da allora. Gli affari erano cose esclusivamente per gli uomini, e le quattro sorelle di Gianni rimasero subito escluse, relegate a ruolo di semplici azioniste. Per quanto riguarda gli altri due fratelli, Giorgio ed Umberto, il primo rimase sempre fuori per problemi mentali, e il secondo ebbe un ruolo secondario nell'azienda. Neanche questa terza generazione trovò eredi. Giovanni Alberto Agnelli, figlio primogenito di Umberto, sarebbe stato la persona ideale per stare a capo della Fiat, ma morì a 33 anni vittima di un cancro. L'Avvocato aveva due figli, Edoardo e Margherita, ma nessuno dei due era adatto ad occupare il suo posto. Decise quindi per un nuovo salto generazionale, consegnando l'eredità del gruppo al nipote più grande, John Elkann. Gli Agnelli sono oggi in minoranza in un clan formato da Nasi, Brandolini d'Adda, Fabbri, Furstemberg, Nuvoletti, Ferrero di Ventimiglia e Ratazzi. I possedimenti degli Agnelli [Articolo originale "Mr. perfecto y el príncipe calavera" di Lola Galán] |
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