Creato da maskulo il 16/01/2007

Esternalizzati!!!

Wind (società ex Enel) ha deciso di "svendere" 275 dipendenti della sede di Milano (Sesto San Giovanni) ad una società esterna. Il gruppo ha cinque call center. Fa fuori quello dove ha più operatori full time. Una manovara sporca per licenziare civilmente 275 persone!!! Anzi no ... si dice esternalizzati...usando un termine economico con cui è bene familiarizzare. Le esternalizzazioni sono infatti quelle che la legge chiama "cessione di rami d'azienda", regolate da norme ben precise ma spesso aggirate dalle imprese che usano questo strumento per attuare dei licenziamenti a breve medio-termine. Proviamo a capirci di più esaminando il caso di una grande azienda come Telecom Italia. In una schematizzazione semplice ma efficace possiamo immaginare l'azienda divisa in settori concatenati che lavorano per fornire il servizio telefonico all'utente. La rapida evoluzione tecnologica del mondo delle comunicazioni ha portato alcuni di questi settori a diventare eccessivamente costosi soprattutto per l'eccesso di risorse umane impiegate. Ovvio che l'azienda cerchi di ridurre questi costi, meno scontato che lo faccia a danno dei lavoratori. Impossibile licenziare direttamente, ecco le esternalizzazioni che intervengono a dare una mano per aggirare le norme. Individuato il "ramo" d'azienda dai costi eccessivi, la società rintraccia dei partners a cui cedere in blocco il settore produttivo, i lavoratori e, generalmente, una commessa di notevole entità. Tutto nel rispetto delle norme, in apparenza. In apparenza, appunto, come sottolineato dal coordinamento dipendenti Telecom. Perché le norme che regolano la cessione dei rami d'azienda pongono come condizione essenziale per effettuare tali operazioni "l'esistenza di una attività reale e autonoma, che deve garantire la sopravvivenza dell'azienda sostituita"

 

 

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NUOVASESTO

Post n°25 pubblicato il 21 Gennaio 2007 da maskulo

Sul portale di nuovasesto.net è possibile scarica l'allegato in .pdf del giornale recapitato gratutitamente ai rsidenti in Sesto Giovanni.

http://www.nuovasesto.net/Pdf/archivio/01%202007.pdf

In prima pagina (poi prosegue a pagina 3) è pubblicato un ampio articolo sull'esternalilzzazione e una dichiarazione da parte del sindaco:
"Nella sede Wind della città - ha
dichiarato il Sindaco Giorgio Oldrini
- lavorano centinaia di persone
da oltre sette anni. L’azienda
non può sbarazzarsi della loro serietà
così di punto in bianco, soprattutto
mentre dichiara un aumento
dei profitti e dei clienti. Faremo
di tutto per garantire ai lavoratori
Wind di continuare a lavorare
nella nostra città”.

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Utente non iscritto alla Community di Libero
Anonimo il 25/01/07 alle 18:46 via WEB
ATTENZIONE LEGGERE L'ARGOMENTO CIRCA LA CESSIONE DI RAMO D'AZIENDA PER LA UE E' INDISPENSABILE IL CONSENSO DEI LAVORATORI, MENTRE LA NOSTRA "BENEAMATA" CORTE SUPREMA IN BARBA A TUTTE LE NORMATIVE COMUNITARIE RENDE NON DETERMINANTE IL CONSENSO DEL LAVORATORE ( I NOSTRI SI RICORDANO DELLE NORMATIVE COMUNITARIE SOLO QUANDO GLI FA COMODO, MAGARI PER TARTASSARCI !!! ) COMUNQUE IN POCHE PAROLE SE SI RIESCE A FAR VALERE IL PRINCIPIO DEL NECESSARIO CONSENSO DEL LAVORATORE E' DURA PER L'AZIENDA TRASFERIRE I DIPENDENTI !!! E' ANCORA VIVO IL CASO E CHI E' CHE NON SE LO RICORDA QUANDO ENEL HA CEDUTO IL RAMO D'AZIENDA DI ENEL STC ANNO 1999-2001 ( LE VECCHIE TELECOMUNICAZIONI ENEL ) MOLTI DIPENDENTI NON HANNO FIRMATO LA LETTERA DI TRASFERIMENTO ( OVVERO IL CONSENSO ) E SONO RIMASTI A LAVORARE IN ENEL. INOLTRE CI SONO SENTENZE CHE HANNO DATO RAGIONE AI DIPENDENTI E VERBALI DI ACCORDO FATTE DA "AZIENDE TRASPARENTI" CHE HANNO PREVISTO IL RIENTRO DEI LAVORATORI PRESSO LA STESSA AZIENDA CEDENTE. SI CONSIGLIA DI SENTIRE AVVOCATI PRIVATI E NON UNO PER TANTI MA MAGARI 275 AVVOCATI UNO PER OGNI DIPENDENTI. NON SI SA' MAI A SCANSO DI EQUIVOCI.C'E' LA PERCEZIONE CHE I SINDACATI ALLE ALTE SFERE ABBIANO GIA' CONCORDATO TUTTO CON L'AZIENDA QUALCHE MESE FA' E POI FATTO CADERE DAL PERO ALLE RSU IL CASO GIA' BELLO E FATTO.QUEST'ULTIMI CHE HANNO PERCEPITO L'ODORE DI BRUCIATO E PER NON BRUCIARSI A LORO VOLTA, FANNO I PESCI IN BARILE, COME STA FACENDO L'ENEL ( MINISTERO DEL TESORO )NEL CASO SPECIFICO CHE PER VENDERE WIND HA CHIESTO A SAWIRIS GARANZIE SUI LIVELLI OCCUPAZIONALI. ADESSO E' NORMALE CHE SI METTA IN PIEDI IL CONSUETO TEATRINO PROCEDURALE DELLE ASSEMBLEE E DEGLI INUTILI SCIOPERI. WIND E' CERTIFICATA NELLA RESPONSABILITA' SOCIALE E PERTANTO QUESTE PROCEDURE SERVONO PER ALIMENTARE TALE CERTIFICAZIONE. IL SINDACATO PUO' SOLO FARE UNA COSA : - FARE SCRIVERE CON IL SANGUE ALLA WIND SULL'ACCORDO DI CESSIONE CHE I DIPENDENTI CHE ACCETTERANNO IL TRASFERIMENTO SARANNO RIASSORBITI DALL'AZIENDA CEDENTE NEL CASO DI RIDUZIONI DI PERSONALE CHE SI POTREBBERO VERIFICARE CAUSATI DALL'AZIENDA ACQUIRENTE; WIND SE NON FOSSE D'ACCORDO SI PUO' RIVALERE SEMPRE SU ENEL CHE DICEVA DI AVERGLI VENDUTO UN'AZIENDA IN EQUILIBRIO CON TUTTI I SUOI ASSET. RIVOLGETEVI SINGOLARMENTE AD UN AVVOCATO PRIVATO.SI FA SEMPRE IN TEMPO A CONSORZIARE LE PROPRIE POSIZIONI. CERCARE DI FARE ARRIVARE IL CASO IN PARLAMENTO VEDERE IL SITO DI DI PIETRO. OGGI WIND HA FORTISSIMI INTERESSI AFFINCHE' IL SINDACATO RAGGRUPPI LE PERSONE.UN'ISCRITTO DEVE ATTENERSI ALLE DECISIONI DEL SINDACATO CHE "RAPPRESENTA" TUTTI I LAVORATORI E PERTANTO WIND NON RISCHIA DI DOVER INTAVOLARE 275 CAUSE CON 275 AVVOCATI !!! Ancora sul valore del consenso del lavoratore ceduto nel trasferimento di ramo d'azienda - Rilievi critici alla sentenza della Suprema Corte Sez. Lav. N. 10761 del 23/07/2002 Di recente la Sezione Lavoro della Corte di Cassazione è intervenuta puntualmente a chiarire l'efficacia del consenso del lavoratore ceduto in caso di trasferimento di ramo d'azienda precisando che: "Con riferimento alla posizione del lavoratore, il trasferimento d'azienda può configurarsi come successione legale di contratto che, per non richiedere il consenso del contraente ceduto (il lavoratore trasferito), non può essere assimilato alla cessione negoziale per la quale il suddetto consenso opera come elemento costitutivo della fattispecie negoziale. Al riguardo è agevole la considerazione che la causa, e più precisamente la funzione socio-economica cui deve assolvere il trasferimento d'azienda, osta a che a detto trasferimento possa applicarsi la disciplina dettata dall'art. 1406 c.c., risultando di palmare evidenza come gli adempimenti richiesti da tale disciplina e la necessità del consenso del contraente ceduto concretizzano un complesso di disposizioni che, per la propria articolazione e la propria rigidità, si presentano come poco permeabili alle esigenze dei processi di ristrutturazione aziendale, di riconversione industriale e di delocalizzazione delle imprese". La massima sopra riportata rivoluziona la lettura del disposto dell'art. 2112 c.c. posponendo in senso assoluto la tutela dei lavoratori alle "superiori" esigenze economiche dei processi di ristrutturazione aziendale, di riconversione industriale, nonché di delocalizzazione delle imprese, asserendo che la "causa socio economica" del trasferimento aziendale sarebbe contrastante con il disposto di cui all'art. 1406 c.c. che, come è noto, richiede la necessità del consenso del contraente ceduto (lavoratore). Alla stregua di tale argomentazione il Supremo Collegio perviene ad escludere in toto l'efficacia del consenso del lavoratore ceduto vincolando di fatto quest'ultimo ad accettare sic et simpliciter un rapporto lavorativo con un nuovo datore mai scelto. Gli autori volutamente ritengono di dover tralasciare gli aspetti della pronunzia che involgono discussioni sull'individuazione del concetto di ramo d'azienda, visto che ai fini dell'economia del presente articolo s'intende far luce sull'importanza ed efficacia del consenso del lavoratore ceduto alla stregua del dettato costituzionale. Il ragionamento seguito dalla Corte fa leva sulla presunta funzione garantistica del disposto dell'art. 2112 c.c. che giustificherebbe (secondo i Supremi Giudici) un'interpretazione estensiva della norma in linea con quanto emergerebbe dalle direttive comunitarie e dalle decisioni della Corte di Giustizia Europea in materia. Dalla motivazione, infatti, si legge che la funzione garantistica dell'art. 2112 c.c. è destinata ad esaltarsi in un contesto di più accentuata flessibilità del mondo del lavoro per fungere quale scelta alternativa di licenziamenti motivabili per giustificato motivo oggettivo e di procedure di mobilità (nel corso delle quali il passaggio dei lavoratori da un'impresa all'altra riceve un tasso di tutela di certo non superiore a quello assicurato dalla norma codicistica). E' noto, però, che diversa è la ratio che sottende le ipotesi di licenziamento per motivi oggettivi rispetto alle motivazioni alla base delle procedure di trasferimento di azienda. Nel primo caso si è in presenza di crisi economico - produttive che costringono il datore di lavoro a ridurre i dipendenti occupati; nell'altro si tratta di processi in cui viene mutato solamente il titolare del complesso aziendale per esigenze di ristrutturazioni e/o riconversioni industriali del tutto indipendenti da situazioni di crisi (e che per giunta possono fraudolentemente celare delle fattispecie di esternalizzazione il cui unico fine è l'esplulsione di dipendenti, eludendo così le norme che garantiscono la stabilità del posto di lavoro). Proprio dalla diversa ratio delle ipotesi poc'anzi descritte è evidente come i giudici di legittimità addivengano a delle conclusioni così nette (quanto semplicistiche), partendo da un concetto di "flessibilità" del mercato del lavoro e di funzione garantistica dell'art. 2112 c.c. a dir poco falsati nelle premesse. In termini più semplicistici si assiste ad una lettura forzatamente garantista del citato articolo che svilisce l'efficacia del consenso del lavoratore ceduto in nome del diritto costituzionalmente garantito della libertà di impresa ex art. 41 cost. Tale articolo così recita: "L'iniziativa economica privata e' libera. Non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana...." A parere di chi scrive un chiaro limite alla libertà di iniziativa economica è proprio la libertà del singolo, che valutata nell'ottica dell'argomento in questione, si estrinseca nella facoltà del lavoratore di recitare un ruolo da protagonista nella scelta del datore di lavoro. Se, infatti, il lavoratore, al momento del proprio ingresso in azienda, sceglie liberamente di prestare la propria attività in favore di un determinato datore (che offra maggiori garanzie in termini di stabilità), certamente gli deve essere consentita la facoltà di decidere le proprie sorti al momento in cui il primo imprenditore disponga una cessione del ramo aziendale che coinvolga detto lavoratore ceduto. Una recente pronunzia della Corte di giustizia delle Comunità Europee (Sez. VI 24.1.2002 C/51/00) ha chiarito che: "la normativa comunitaria non vieta al dipendente in forza presso il cedente di rifiutare il passaggio al cessionario e di continuare il rapporto di lavoro con lo stesso cedente". In questo senso la Corte offre un'importante interpretazione della direttiva 77/187/CEE sui trasferimenti d'azienda, ammettendo la facoltà del lavoratore di rifiutare la cessione del proprio contratto e/o del proprio rapporto di lavoro. La Corte Europea, procedendo ad una lettura analitica della citata direttiva, è giunta a chiare conclusioni che recuperano appieno il valore del consenso del lavoratore ceduto, e che ben si conciliano con i dettami costituzionali del nostro ordinamento giuridico (art. 41 cost.). Diversamente, la Suprema Corte, trascurando del tutto il recentissimo orientamento comunitario, mostrandosi solo a parole favorevole ad interpretazioni garantiste delle posizioni dei lavoratori, ha di fatto svilito la valenza giuridica del consenso del lavoratore ceduto. Il problema potrebbe sembrare di scarso rilievo, ove si proceda ad una lettura semplicistica delle c.d. esigenze di ristrutturazione aziendale che "giustificano" le procedure di trasferimento di rami aziendali, ma la realtà svela oramai quotidianamente episodi in cui tali procedure vengono utilizzate come strumento di estromissione dal mondo lavorativo dei dipendenti (del ramo aziendale ceduto) prescindendo dal consenso degli stessi. Gli autori, a questo punto, non possono che confidare in un intervento legislativo che tenda (sulle orme della recente giurisprudenza comunitaria) a recuperare appieno il valore del consenso.
 
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Anonimo il 18/12/07 alle 14:01 via WEB
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