Creato da carlocorallo il 08/04/2008
CONSIGLI PER SOPRAVVIVERE

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Le regole di sopravvivenza

Post n°6 pubblicato il 08 Aprile 2008 da carlocorallo

        A conclusione delle mie considerazioni forse troppo pessimistiche, probabilmente anche irreali e fuori da ogni logica, sulla base delle mie esperienze lavorative fin qui maturate, mi permetto di elencarvi una serie di regole per sopravvivere al meglio nel selvaggio e infernale mondo della dipendenza nell’azienda privata.

        Aggiungo e sottolineo che alla fine anch’io quando ho avuto una nuova occasione l’ho presa al volo senza rancori e rimpianti, abbandonando ogni idea di sopravvivenza e facendo tesoro anche di tutto ciò che vedevo in negativo, sforzandomi di guardare sempre l’altra faccia della stessa moneta. E poi come dice mia nonna: “Chiusa una porta se ne apre sempre un’altra!”.

1         AMBIZIONE    Ognuno di noi deve sempre avere delle ambizioni, delle aspirazioni, degli obiettivi da mirare. Altrimenti si finisce per vivere la quotidianità in maniera piatta. E’ buona norma porsi dei traguardi in relazione alla funzione temporale: nel breve termine, ad esempio, il traguardo da raggiungere può essere la busta-paga di fine mese; nel medio termine, si può pensare a crearsi una nicchia di competenza nel proprio campo, cercando di diventare sempre più indispensabili agli occhi del datore di lavoro; infine, nel lungo termine si può certamente aspirare a trovare un lavoro migliore e più gratificante sotto tutti gli aspetti.

2         AUTOSTIMA      Malgrado il vostro datore di lavoro farà di tutto per diminuirvelo, non abbassate mai il vostro livello di autostima. Se vi trovate a lavorare in una determinata azienda normalmente non è casuale: vi hanno selezionato fra altri candidati, vi hanno individuato per le vostre qualità e hanno fatto una scelta ponderata dei costi e benefici che ne derivano. Se al colloquio di lavoro vi hanno prospettato una mansione specifica è perché quella mansione voi la potete tranquillamente svolgere, è nel vostro curriculum-vitae. No, non fatevi ingannare da atteggiamenti fuorvianti, influenzati purtroppo da elementi esterni alle vostre reali qualità, frutto di pregiudizi e malafede.

3         AUTOCONTROLLO           Strettamente collegato ai due precedenti punti, l’autocontrollo è una qualità psico-fisica che vi servirà in abbondanza ogni giorno della vostra vita lavorativa. L’esercizio quotidiano vi aiuterà ad elevare la vostra soglia di sopportabilità portandola a livelli impensabili a priori. Non dimenticatevi mai che chi vi sta pagando in realtà pensa di strapagarvi e quindi pretende sempre di più da voi. Ma voi dovete sempre ricordarvi di dare il giusto senza strafare perché come per un’autovettura la velocità di crociera che dovete mantenere quotidianamente deve risultare circa un 20% inferiore alla massima velocità raggiungibile, in modo da tenersi sempre un margine di riserva di sfruttare in casi eccezionali, cioè quando è indispensabile spingere l’accelleratore al massimo. Se si va sempre con il piede a tavoletta si finisce per “fondere” e questo è l’obiettivo dei vostri superiori, non certo il vostro!

4         AUTONOMIA       Essere dipendenti non significa essere carne da macello o servi della gleba. Significa solamente che dipendete da un altro o da altri soggetti che a fronte di un servizio di qualità e quantità vi riconoscono un determinato compenso chiamato stipendio. E’ una classica situazione di dare-avere, costi-benefici, vale la pena-non vale la pena che ogni momento della vostra giornata lavorativa dovete tenere presente. Non ci sono sentimenti di mezzo. Non dovete per forza conquistare qualcuno o risultare simpatici, dovete solo fare il vostro dovere fino in fondo con la massima disponibilità e il massimo impegno. Ma rimanendo sempre autonomi nelle vostre scelte di vita. Ricordatevi che il mondo è fuori dall’azienda e che appena avete spento il computer del vostro ufficio ed è finalmente finita la giornata lavorativa, allora, e solo allora, inizia la vostra vita personale che vi siete scelti autonomamente e che nessuno vi potrà mai negare! C’è chi vive per il lavoro e chi lavora per sopravvivere.

5         AUTOIRONIA      Per alleviare le pene dell’inferno che quotidianamente il mondo del lavoro vi procura è buona regola possedere una giusta dose di umorismo e di autoironia per riuscire a sdrammatizzare le situazioni e a guardare ottimisticamente al futuro. D’altronde per essere ottimista basta poco: è sufficiente guardare quelli che stanno peggio di te…sempre se esistono! Un sorriso allunga la vita e non si nega a nessuno.

6         ATLETICA         Un aspetto fondamentale che aiuta a mantenere un perfetto equilibrio psico-fisico necessario a sopportare lo stress quotidiano è dato dalla condizione atletica generale. Personalmente sono da sempre un cultore della preparazione atletica: praticare abitualmente uno sport, fare jogging, palestra e tenere sotto controllo il peso con una corretta ed adeguata alimentazione sono delle prerogative irrinunciabili a tutti i livelli e a tutte le fasce di età. Dopo la fase iniziale certamente faticosa per chi non ha mai provato, fare sport regolarmente, anche 30 minuti di corsa per due volte alla settimana, diventa sempre meno stressante e addirittura non se ne può più fare a meno, come la dipendenza dalla droga. Ancora più specifiche sono alcune tecniche di relax come lo “stretching” o lo “yoga” che però vanno praticate sotto la guida di maestri.

7         ANTISTRESS     Un ultimo consiglio da sperimentare in questo percorso di sopravvivenza è dato da veri e propri atteggiamenti quasi maniacali che, ripetuti sistematicamente nel luogo di lavoro, producono dei fenomeni antistress, cioè di rilassamento dalle tensioni accumulate. Una tecnica che ho personalmente sperimentato è quella di fissare sempre un traguardo da raggiungere a breve termine in qualsiasi momento della giornata lavorativa, ripetendo lo stesso esercizio ogni giorno, nello stesso momento, nello stesso luogo: ad esempio, si possono contare ad alta voce facendosi sentire anche dai colleghi presenti, i giorni che mancano alla fine della settimana lavorativa, incominciando dal lunedì e proseguendo ogni giorno fino al venerdì. Naturalmente, assicuratevi che il vostro datore di lavoro non vi senti direttamente o comunque pur sentendovi sappia cogliere l’aspetto umoristico della situazione!

 

A questo punto vi auguro buona fortuna e non dimenticate mai di ragionare con la vostra testa, anche quando sarete costretti a fingere di pensarla come gli altri per il sano quieto vivere: la vita è unica e nessuno vi può ridare quello che è già passato  o può promettervi quello che deve ancora succedere.

 
 
 

Dio esiste...da qualche parte!

Post n°5 pubblicato il 08 Aprile 2008 da carlocorallo

La stragrande maggioranza di noi crede fermamente nei valori professati dalla religione cattolica, anche se in fondo si è sostanzialmente poco praticanti: fin quando le cose ti vanno bene è facile dire di essere religiosi e di credere in Dio. I problemi iniziano, invece, quando cominci a chiederti perché va tutto storto proprio a te.

        Quando la domenica andiamo a messa e ascoltiamo la predica che ci viene fatta, quasi sempre ci sentiamo fra i buoni, i giusti, quelli che si comportano bene, stanno sempre dalla parte della ragione e ci convinciamo di non aver niente di cui pentirsi. Poi, appena usciti dalla chiesa, cominciamo a bestemmiare quello che è in macchina davanti a noi e procede più lentamente, oppure si ferma al semaforo giallo invece di accelerare… E di imprecazioni in imprecazioni si procede così per tutta la settimana fino ad arrivare alla messa successiva per chiedere il perdono e la grazia.

        Il momento topico di noi peccatori incalliti si raggiunge sul luogo del lavoro dove, ogni principio di fratellanza, uguaglianza e tolleranza verso il prossimo, si scontra con la nostra naturale predisposizione alla fama, alla gloria, alla voglia matta di esternare la propria supremazia che contraddistingue la razza umana.

        Chi per caso mostrasse, anche per pochi secondi, la sua vocazione ai principi religiosi, cercando di porgere l’altra guancia, sarebbe bollato per sempre come un debole, un illuso, un perdente senza “palle”. Insomma, l’ambiente di lavoro si presenta come una giungla dove sopravvive solo chi aggredisce per primo l’altro e stabilisce così un rapporto di superiorità.

        Malgrado i nostri buoni propositi, la dura realtà quotidiana finisce quindi per essere solo ed esclusivamente la ricerca continua e ostinata di una certa tranquillità economica utile per soddisfare le proprie ambizioni, per realizzare qualsiasi progetto che vada dalla voglia di mettere su famiglia a quella di avviare un’attività lavorativa. Il proprio confessore è più spesso un commercialista o un avvocato che non un prete!

        Dando per scontato che Dio esiste (da qualche parte!), perché sarebbe assurdo pensare che ci sia tanta gente in tutto il mondo che crede in qualcosa che non esiste, anche se poi la stessa gente crede che esiste per esempio la sfortuna, la magia, Bin Laden e Berlusconi (vabbè, no, quest’ultimo pare proprio che sia stato avvistato da qualcuno!) ci si chiede sempre più spesso perché Dio non interviene a mettere un po’ d’ordine in questo grande casino che ha creato.

A tal proposito il mio personale parere è che, con la crescita a dismisura della popolazione umana, quel Dio ormai vecchietto abbia perso il controllo completo delle nostre azioni; essendo aumentato il lavoro da sbrigare è costretto a tralasciare qualcosa o magari si è circondato di collaboratori (forse proprio ragionieri!) incapaci o semplicemente “umani”. Mettiamoci anche le distrazioni sempre maggiori che lo circondano come l’annosa questione musulmana, lo sviluppo di internet, la speculazione in borsa, le scommesse on line, il fantacalcio, eccetera! Insomma, un inferno anche per Dio.

Come ci ha insegnato il grande Manzoni, il Signore ci procura delle sofferenze terrene per prepararci ad una gioia divina immensamente più grande. Ma se continua così neanche la vittoria di uno scudetto dell’Inter potrà ricompensarci.

La difficoltà più grande per noi cristiani veramente credenti è quella di riuscire con equilibrio a vivere serenamente la nostra quotidianità senza dimenticare che prima o poi saremo chiamati a viverne un’altra nell’aldilà: si finisce agli eccessi opposti o di vivere troppo intensamente la vita terrena trascurando completamente quella divina o al contrario di pensare troppo alla vita divina trascurando quella terrena.

Io personalmente mi immagino che quando arriverà il giorno del giudizio, il Signore farà un elenco completo delle buone e cattive azioni compiute nella vita terrena, assegnandomi un punteggio e inserendomi in una graduatoria. Se sarà un giudice severo ma onesto, e ne sono certo lo sarà, sono sicuro che non mi ritroverò in cima alla classifica insieme ai santi ma, senza ombra di dubbio, starò più su di tanti altri. E questo basta per adesso a consolarmi!

Tutte le tensioni e le incomprensioni fra noi esseri umani sono dovute, purtroppo, al nostro maggior difetto che  è quello di sentirsi sempre dalla parte della ragione, senza saperci mettere nei panni degli altri e senza guardare le situazioni con equilibrio e onestà. L’esempio più utile per spiegare questo mio concetto è dato dalla classica situazione dell’automobilista nei pressi dell’incrocio: se abbiamo diritto di precedenza e arrivando all’incrocio vediamo un altro automobilista che cerca timidamente di passare, noi lo fulminiamo con uno sguardo fiero e gli facciamo intendere inequivocabilmente che pretendiamo di usufruire del nostro diritto; ma, se la volta successiva, ci troviamo dall’altra parte, cioè a dover dare la precedenza e tentiamo di chiedere il favore di farci passare, ecco che, dimenticandoci improvvisamente del diritto che l’altro avrebbe, lo imprechiamo e ci meravigliamo del suo atteggiamento ostruzionistico.

 
 
 

Non ci resta che fare il politico!

Post n°4 pubblicato il 08 Aprile 2008 da carlocorallo

Fra le tante attività lavorative più o meno indipendenti e autonome, tralasciando quelle artistico-intellettuali e quelle più gettonate come il calciatore, il cantante, il comico, la velina e l’opinionista televisivo, dove comunque è richiesto un minimo di talento che non si può certo comprare al supermercato, se proprio non vi va di lavorare, allora non vi resta che fare il politico.

        Non è certo facile diventare un uomo politico, ma sicuramente non serve né talento né tantomeno un titolo di studio. A pensarci bene, forse è l’unico mestiere dove basta la licenza elementare!  Bisogna solo trovare un gruppo di persone che ti elegge “leader” di qualcosa: basta già farsi eleggere rappresentante degli studenti della propria scuola o rappresentante degli inquilini del proprio condominio per provare già quella ebbrezza che ti sale nelle vene fino a raggiungere il cervelletto e a farti sentire “al di sopra”.

        Oggi giorno chi fa politica lo fa o perché è già ricco e vuole continuare ad esserlo, difendendo quello che ha già ottenuto (prototipo della categoria Berlusconi); o perché è invidioso della ricchezza accumulata dagli altri (vedi i comunisti in genere); o perché non sa fare altro e non ha mai fatto altro nella sua vita (questo è il politico purosangue!); o semplicemente perché non vuole lavorare. Uno su cento, magari ingenuamente, ci crede veramente nell’attività politica e nel suo nobile fine, ma quando poi raggiunge la sua gloria rientra inevitabilmente in una delle categoria su menzionate.

        La bravura del politico si misura nella capacità di illusione che riesce a trasmettere agli altri: fingendo di fare gli interessi di una intera collettività, deve accontentare (o perlomeno provarci) la nicchia di persone che lo hanno fatto arrivare fino al potere; spesso si accontenta di fare soltanto delle promesse per rimanere il più a lungo possibile in quella posizione privilegiata che gli basterà per campare tutta la vita!

        Ormai non esiste più la contrapposizione fra le diverse ideologie: tutti i partiti e tutte le coalizioni dicono più o meno le stesse cose. Alla fine chi amministra maneggia (e festeggia!), chi è all’opposizione non aspetta altro che vincere le successive elezioni e passare dalla parte opposta: la cosiddetta “regola dell’alternanza” permette al cittadino comune di scegliere liberamente da chi farsi fregare, una volta da destra e l’altra da sinistra!

        Addirittura il mio sospetto è che spesso i politici, fingendo di litigare, di accapigliarsi, di querelarsi a vicenda, dichiarando e smentendo con totale disinvoltura e nel giro di poche ore tutto e il contrario di tutto, sotto sotto siano consapevolmente complici nel pianificare e concertare tutte le loro azioni, senza lasciare nulla al caso, comportandosi come un classico ragioniere che massimizza la funzione costi-benefici personali e aziendali.

 

 

 
 
 

L'imprenditore-padrone e il dipendente-schiavo

Post n°3 pubblicato il 08 Aprile 2008 da carlocorallo

Come è noto, “l’imprenditore è colui che esercita professionalmente un’attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi”, così almeno recita testualmente l’art. 2082 del codice civile.

                Naturalmente, se ci rifacciamo alla suddetta definizione e agli articoli successivi sempre riguardanti l’imprenditore e l’impresa in generale, possiamo concludere che ben pochi degli imprenditori che abitualmente conosciamo ci rientrano a pennello, soprattutto analizzando le caratteristiche pecuniarie che ne derivano e cioè la professionalità, l’organizzazione e l’attività economica.

                Specialmente nel nostro profondo sud (e penso almeno fino all’altezza di Roma e dintorni), la figura dell’imprenditore ha subìto nel corso degli anni un lento ma progressivo deterioramento che né i Governi e né il Parlamenti italiani sono stati in grado di modificare se non con interventi palliativi e di forma ma poco sostanziali. Solo l’entrata del nostro paese nell’era dell’Euro ci ha permesso se non di recuperare il divario, almeno di rendercene conto.

La nostra mentalità sempre individualista, che oggi purtroppo anche nei grandi imprenditori del nord-italia viene affiorando, basti pensare alla nostra reazione all’invasione cinese nel nostro mercato, si è sempre dimostrata un handicap difficile da superare.

Il principale difetto dei nostri imprenditori locali, che poi è il limite di tutta l’imprenditoria meridionale, è quella di sentirsi sempre i migliori, i più giusti, i più onesti, i più buoni, i più capaci, sempre in buonafede, insomma “unici”; tutti gli altri, a cominciare da quelli che gli stanno più vicino e cioè soci, dipendenti, consulenti, fino ad arrivare ai loro concorrenti, sono i peggiori, i più ingiusti, disonesti, cattivi, incapaci e sempre in malafede. Nessuno, insomma, riesce a mettersi nei panni egli altri e a guardare globalmente le situazioni. E questo è naturalmente colpa anche dello Stato che è l’imprenditore più grande per definizione.

                In questo mondo malato dove alla fine chi la fa da padrone sono le istituzioni pubbliche, i partiti politici, i sindacati e le banche, chi ci rimette è e rimane il comune cittadino dipendente, l’ultimo anello di una catena interminabile.

                Mi rendo conto che fare l’imprenditore non è certo facile oggi giorno, con tutti quei lacci e lacciuoli a cui ci si trova imbrigliati. Però non mi sembra neanche giusto prendersela col malcapitato dipendente, scaricando su di esso tutti gli oneri, senza peraltro riconoscerli alcun onore.

                L’imprenditore finisce per comportarsi come un padrone e il dipendente è costretto a subire come se fosse uno schiavo: l’impresa viene vista come una mucca da mungere fin quando ce ne; pochi, purtroppo, la vedono come un cavallo di razza capace di trainare un grosso carico per un lungo periodo.

                L’imprenditore, invece di creare un clima ideale di lavoro nel quale, dopo aver scelto con cura le persone di cui circondarsi, permette a loro di esprimersi al massimo delle loro potenzialità, ognuno nel suo campo di appartenenza, in una sana e stimolante concorrenza fra essi, tanto da creare un circolo virtuoso, ottenendo alla fine il risultato che si è prefissato, si ostina per ignoranza, superbia e innata arroganza a creare un irreale clima di tensioni e situazioni di stress, giocando quasi con le forze umane, essendone il padrone assoluto senza “se” e senza “ma”, creando così una sorta di cortocircuito vizioso, peraltro autolesionistico.

Malgrado fin dal 1970 con la legge n. 300 denominata “Statuto dei lavoratori” il legislatore abbia cercato di tutelare e riequilibrare il rapporto esistente fra la parte forte (il datore) e la parte debole (il dipendente), numerose sono le situazioni di stress e pressione psicologica che quotidianamente si verificano nell’ambiente di lavoro e che la ormai la letteratura ha catalogato come forme di “mobbing”. Una in particolare è data dal sistematico e scientifico ritardato pagamento del salario o stipendio.

 L’imprenditore cerca così di indurre il dipendente alla sottomissione psicologica, senza possibilità alcuna di difesa per chi la subisce e senza possibilità di sanzionare chi la effettua: un vero e proprio capriccio di chi, pur avendo già ricevuto una prestazione o un servizio, non vuole riconoscerlo o ritiene il pagamento un “optional”, convincendosi anzi di aver creato impunemente una efficace regola di comportamento. L’imprenditore fa questo ragionamento contorto, ma chiaramente giusto dal suo punto di vista: se io pago regolarmente il dipendente, questi si rilassa, si siede sugli allori e mi rende di meno; se invece lo tengo sulla corda, per paura di perdere il lavoro, il dipendente non si rilassa e mi rende di più!

                In sostanza, l’imprenditore-acquirente si comporta con il dipendente-venditore come in una qualsiasi trattativa di compravendita con un normale fornitore di servizi, di cui però gode della esclusività. Con uno sforzo di fantasia l’imprenditore privato è paragonabile allo Stato quando ci vende in monopolio un servizio al prezzo e alle condizioni che esso decide di darci senza alcuna possibilità di trattativa.

                C’è il dipendente che malgrado tutto riesce a trovare lo stimolo per andare avanti, dando il massimo nell’attesa di ricevere dall’imprenditore gratitudine morale e sostanziale; c’è invece chi ha bisogno di ricevere fiducia e sostegno per dare il massimo. Ed è questo che difficilmente riesce ad entrare nella testolina dell’imprenditore.

                In questo clima teso di sguardi e interessi che si incrociano fra il padrone e lo schiavo si dovrebbe realizzare la produzione o lo scambio di beni e di servizi organizzati professionalmente al fine di ottenere un risultato economico apprezzabile…Ma mi faccia il piacere!!!!

                Poi sfortunatamente scoppiano gli scandali Cirio, Parmalat e altri che ne verranno e allora qualcuno si accorge che forse non sono tutte rose senza spine e oro che luccica quello che grazie ai trucchetti fiscali e tributari l’impresa riesce a tirare fuori dal cilindro magico, chiamato sinteticamente ma impropriamente “Bilancio”.

Osservando la figura dell’imprenditore, troppo spesso la domanda sorge spontanea: lo fa o lo è? Finge o è convinto? E’ un grande genio o un grande coglione? Naturalmente da dipendente-schiavo mi augurerei che il mio imprenditore-padrone fosse un grande genio (al limite anche un grande bastardo!), che si circondasse di consulenti fiscali, tributari, legali e amministrativi pronti a consigliarlo al meglio per sfruttare tutte le occasioni di arricchimento, anche illegali, ma evidentemente fruttifere. Purtroppo, molto spesso accade che l’imprenditore sia solo un truffaldino, un dilettante allo sbaraglio, un venditore di fumo, un’illusionista che prima o poi rimane vittima della sua stessa creatura e si ritrova abbandonato da tutti al suo triste destino. E di casi eclatanti ce ne sono a bizzeffe nella nostra realtà quotidiana. Si chiude baracca e burattini prendendosela con la congiuntura economica, il governo ladro, i sindacati sanguisughe e le associazioni di categoria inconsistenti, la “new-economy”, il mercato cinese in forte espansione, eccetera, eccetera. E poi, come nulla fosse, si ricomincia daccapo!

A me viene solo da pensare che il Signore, per un suo inspiegabile progetto, continua a dare il pane a chi non ha i denti per mangiarlo e non lo dà invece a chi potrebbe tranquillamente masticarlo.

 
 
 

Un mestiere chiamato "Ragioniere"

Post n°2 pubblicato il 08 Aprile 2008 da carlocorallo

A grandi linee possiamo dire che gli esseri umani si dividono in due categorie: quelli che sono già ricchi e quelli che lo vogliono diventare. Lasciando per adesso da parte i ricchi, che probabilmente lo sono o perché lo erano i propri predecessori da cui hanno ereditato la fortuna o perché i soldi se li sanno conservare e non li sperperano, passiamo ad analizzare quelli che ambiscono a diventare ricchi, che poi sono la stragrande maggioranza.

        Per fare soldi si può tentare la fortuna in proprio, investendo in attività redditizie, cercando di inventarsi qualcosa che ancora non esiste o copiando qualcun altro che già è stato baciato dalla fortuna: comunque, anche per una piccolissima attività, bisogna saper rischiare al momento giusto e nel posto giusto!

        Più semplicemente si può imparare un mestiere o studiare per arrivare a prendere un titolo per lavorare in proprio o alle dipendenze di altri: e quest’ultima è naturalmente la categoria più numerosa.

        Degli infiniti lavori dipendenti esistenti al momento possiamo fare un’altra grande classificazione: ci sono i lavori e quelli che io chiamo “posti di lavoro”. Questi ultimi sono in genere lavori statali, parastatali, ex statali privatizzati, posti di favore ottenuti spesso con la “raccomandazione” che nel nostro paese è un’istituzione. Tutti questi posti sono così difficili da ottenere che poi è quasi impossibile perderli. I più bravi della categoria diventano inevitabilmente modelli per gli altri e spesso finiscono per fare la carriera politica, distinguendosi per la capacità di lavorare poco e quel poco di riuscire a farlo fare agli altri! Caratteristiche principali di quelli che hanno il posto di lavoro sono: la possibilità di fare una pausa-caffè in qualsiasi momento della giornata; la possibilità di programmare con largo anticipo e con precisione i giorni di ferie che gli spetteranno; la possibilità di ammalarsi; lo stipendio sicuro e puntuale.

        Tutti quelli che non rientrano nella categoria dei “posti di lavoro” fanno parte semplicemente della categoria dei “lavoratori dipendenti” che si suddividono in lavoratori dipendenti con regolare contratto e lavoratori dipendenti sfortunatamente con nessun contratto, sempre più fortunati comunque dei lavoratori disoccupati o in attesa di nuova occupazione!

        La nostra attenzione si concentrerà su un lavoratore dipendente in particolare: la figura professionale del ragioniere, che per maggior eleganza viene ormai internazionalmente definito “impiegato contabile” ma tutti noi italiani abbiamo imparato a mitizzare con la faccia del ragionier Ugo Fantozzi.

        Il ragioniere, a dispetto del significato etimologico della parola, non ha quasi mai il tempo di ragionare; deve prendere decisioni importanti, anche tre o quattro contemporaneamente, nel più breve tempo possibile. Tutto quello che fa quotidianamente è dovuto, mentre se poco poco gli sfugge qualcosa viene subito additato come nulla facente o menefreghista. Quando però improvvisamente viene a mancare, tutto il mondo ricade in testa al datore di lavoro che, solo per orgoglio, finge di non fregarsene niente, ma in realtà gli rode dentro e va in tilt!

        Credo comunque che ragionieri si nasce o lo si diventa fin da piccoli: le caratteristiche tipiche sono l’ordine, la precisione, la puntualità e la pignoleria e soprattutto una dose infinita di pazienza e accondiscenza verso gli altri. Forse anche un po’ di timidezza e di modestia! Ecco, diciamo che si tratta di persone così miti, tranquille e forse troppo educate tanto da risultare perfino spente e senza stimoli o ambizioni. In realtà, il ragioniere è un freddo calcolatore che si pone in ogni momento di ogni giornata lavorativa la seguente domanda: vale la pena eseguire una determinata azione? I costi da sostenere eguagliano i benefici ottenibili? Che risultato massimo posso raggiungere? Insomma, il ragioniere non fa mai niente per niente e ad ogni azione assegna un valore tangibile.

        Notoriamente il ragioniere è cattolico e va regolarmente a messa ogni domenica dove sente dire sempre che bisogna essere più buoni, bisogna saper perdonare il prossimo ed è convinto che il prete si rivolga sempre a lui.  Egli in cuor suo sa che è buono e che finirà certamente in paradiso, ma non sa che anche lì lo aspetterà un ruolo di subordine:  sarà sempre un contabile!

Rarissimo che il ragioniere possa anche diventare un politico né tanto meno un sindacalista: innanzitutto perché non ha tempo da perdere e poi perché la sua cultura liberale lo porta inevitabilmente a non avere troppa fiducia nelle istituzioni.

        Comunque paga le tasse e rispetta le leggi: ad esempio, quando è in auto si ferma al semaforo rosso, mette sempre la cintura di sicurezza, usa l’auricolare per il telefonino, fa passare il vecchietto sulle strisce pedonali e naturalmente si guarda attorno e si sente sempre osservato come un extraterrestre!           

Insomma, la vita del ragioniere è quella classica del gregario, del portatore di borracce del ciclismo o del calciatore mediano (vedi l’Oriali di Ligabue!) che deve correre fin quando ne ha anche per il giocatore di talento.

Fuori dal lavoro, tolta finalmente la maschera che ogni giorno è costretto a mettersi per unificarsi agli altri e passare il più possibile inosservato, il ragioniere ha una seconda vita fatta di intensi rapporti intersociali: raramente è bello, ma risulta sempre un simpaticone pieno di allegria che con maestria riesce a trasmettere anche agli altri; organizza gite, scampagnate, viaggi, partite di pallone ed è sempre in perfetta forma fisica. Addirittura eccelle in alcune attività ma non si prende mai troppo seriamente perché sa che il suo tempo libero a disposizione durante la settimana lavorativa è sempre scarso!

A volte il ragioniere, per ambizione o per cultura personale, trova anche il tempo per laurearsi, ma si è così abituato negli anni a farsi chiamare “ragioniere” che quasi si vergogna a fregiarsi del titolo di “Dottore”, provando un certo disagio verso i colleghi.

Il ragioniere non è un vendicativo ma non dimentica niente: annota, registra e cataloga tutto. Il suo spirito di sacrificio, la sua praticità e la tolleranza verso i suoi superiori lo porta inevitabilmente ad accumulare nel tempo delle enormi tensioni interne che producono quella sindrome da stress di cui soffre abitualmente; però c’è sempre un limite a tutto e, quando quel limite viene raggiunto, smette all’improvviso di ragionare e istintivamente fa emergere tutto quello che ha sopportato per troppo tempo dentro. E finalmente trova il coraggio per togliersi quegli scomodi sassolini che aveva nelle sue scarpe, fino a far venire un dubbio, ormai tardivamente, persino al suo datore di lavoro che tanto lo aveva osteggiato fino a costringerlo ad andarsene: “forse quello lì non era proprio coglione come pensavo!”.

Se per caso notate in vostro figlio adolescente una certa predisposizione alla carriera di ragioniere o comunque una sua semplice vocazione anche per gioco, il consiglio è quello di cercare immediatamente di distoglierlo, facendoli presente che ci sono tanti bei mestieri e anche l’astronauta in fondo, con un po’ di sacrifici e con qualche raccomandazione, può essere un mestiere più semplice… Cercate con il dialogo di ragionarci!

Nella piccola impresa ma, specialmente nel nostro sud anche nella media e grande industria, la figura del ragioniere viene mistificata con quella del “tutto-fare” che va dal portinaio fino al delegato in banca, passando per il ruolo di centralinista, segretario, autista, addetto ufficio acquisti, ufficio vendite, ufficio del personale e talvolta anche operaio specializzato. Solo a tempo perso e in genere il sabato mattina, notoriamente il giorno del riordino dell’ufficio, il ragioniere tenta a bocce ferme di far quadrare i conti, sistemando tutte le operazioni contabili, solamente abbozzate durante la settimana. Infatti, non è casuale che spesso i finanzieri pigri si presentano in azienda il lunedì mattina per sequestrare i documenti!

Il tutto rientra sempre nella ricca busta-paga di impiegato d’ordine e di concetto che il datore di lavoro, con visibile dispiacere, mensilmente è costretto ad accreditare, continuando a pensare che tutto sommato non è proprio giusto al mondo d’oggi, con tutte le tecnologie di cui si dispone, pagare un ragioniere per tenere in ordine due carte e riscaldare una sedia!

Capita a volte che i ragionieri dopo un po’ di esperienza e molta gavetta cominciano a farsi un’idea opposta a quello del loro datore di lavoro e iniziano a pensare che dopotutto, a parte i soldi che inevitabilmente ci vogliono per fare l’imprenditore e a parte una buona idea per sfondare nel mercato, non è che poi fare l’imprenditore sia un’attività così complicata: basterebbe trovare un buon ragioniere e il cerchio si chiuderebbe!

 

 

 

 

 

 
 
 
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