Creato da casadecolmeia il 17/08/2010
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La vecchia foto

Post n°15 pubblicato il 12 Novembre 2010 da casadecolmeia
 
Foto di casadecolmeia

Mi è sempre sembrato incredibile come sia possibile ricordare fatti accaduti quando si hanno 3-4-5 anni di età. Eppure è così, e non  si tratta di ricordi sbiaditi, sono ricordi vivi e nitidi, dettagliati.   
Basta una vecchia foto trovata casualmente mentre si cercano altre cose, ed è come se da quella foto uscisse un fluido particolare, qualcosa che va ad inserirsi nella casella mentale che contiene quel particolare attimo di vita e quella cella si accende, si risveglia, emana senzazioni, profumi, colori, attimi di luce straordinariamente viva, e tu sei lì, vecchio bambino di 5 anni, sei lì che giochi sulla sabbia, ne senti i granelli tra le mani, ne vedi il colore, senti le voci, la voce di mamma che mi parla in dialetto, la paletta rossa e  le formine verdi, il secchiello giallo...sono impegnato a costruire un castello di sabbia, ma il castello crolla subito.                    
Quanti castelli ci saranno nella mia vita, castelli costruiti senza fondamenta e quindi destinati a crollare per legge di natura, ma ogni  volta ci riprovavo, e ancora, e ancora...e ad ogni crollo imparavo qualcosa, da ogni insuccesso traevo esperienza, deriso a volte per la troppa testardaggine trovavo dentro di me la forza di resistere, di continuare a provare, all'infinito. E questa forza, nonostante tutte le avversità dell'ultimo decennio, fa ancora parte di me: è una scoperta recente e mi piace pensare che questa voglia di non cedere derivi dal bambino di allora.                                                        
                                                                          
Ero un bambino malato: per 4 anni avevo sperimentato tutte le malattie infantili, le bronchiti e le polmoniti. "Poverino, è nato da genitori  troppo anziani" era il ritornello che il parentado blaterava ad ogni istante. Quando non ero malato succedeva, di rado perchè la povertà  dovuta alla guerra aveva ridotto quasi alla fame i miei genitori, che la domenica si andasse al lago. La corriera partiva da qualche parte vicino a casa mia, mia madre riempiva la borsa col  pranzo al sacco, come allora si diceva, e dopo un paio d'ore la corriera ci lasciava sul lago, in una trattoria che aveva un pergolato dedicato alla povera gente, a chi si portava il pranzo al sacco; bastava ordinare un po' di vino per avere diritto a tavolo e sedie.       
Ma il pergolato dava sul lago azzurro dall'acqua fresca e limpida,  c'erano prati verdi per correre e sdraiarsi. C'era folla, c'era tutta la città che invadeva i prati, e bambini che correvano, urlavano, sca
ricavano la gioia del primo dopoguerra. I genitori ritrovavano,  dopo anni e anni di lutti di bombardamenti di angosce, la voglia di  parlare, e parlare era libertà. LIBERTA' !!                              
E quella ritrovata felicità si toccava con mano. Noi bambini non  potevamo capire perchè, ma eravamo felici, eravamo, senza saperlo, bambini liberi!                                                           
Di quei viaggi ricordo i monti che contornavano il lago, le prealpi  prima e le cime aguzze delle Alpi all'orizzonte, e barchette con il tettuccio, i remi, le scie lucenti che tracciavano il lago, ricordo di struggente dolcezza e beatitudine.                          
                                                                          
Non avevo mai visto il mare. Certo, ne avevo sentito parlare, ma come di qualcosa lontano, di inaccessibile alla povera gente come noi.         
Poi una zia ricca che presta il denaro a sua sorella povera, la sorella povera è mia madre, povera di soldi ma straordinariamente ricca di amore. E il bambino, io, che ha bisogno di cure, viene portato al mare perchè il mare lo potrebbe guarire, e il mare non può che essere quello tanto decantato nel nord...immagino i consigli delle amiche, del parentado tutto, dei conoscenti. Vada lì..no meglio là..ma ci vuole troppo tempo..noooo...il viaggio è troppo faticoso per un bambino malato. Immagino mia madre che come sempre fa di testa sua,  la immagino scrivere una lettera alla pensione con quella sua grafia particolarissima che tanto ho amato, la immagino preparare la valigia, comprare il costume di lana per me e per lei, mi immagino sul treno sbuffante vapore e fumo, le stazioni, il cambio di treni, poi la valigia con le povere cose che viene trascinata per l'antico borgo: siamo finalmente arrivati al mare di Liguria.                                          
                                                                          
Tempo fa ho scritto da qualche parte questa frase: "Ho visto il mare  per la prima volta a 5 anni...e quasi ci annegavo". E' vero, lo ricordo intensamente perchè è una sensazione che poi mi  ha condizionato per tutta la vita. Anche oggi, dopo una vita di mare, devo vincere quella sottile angoscia che a volte mi prende improvvisa quando sono in mare.                                    
Il fatto è assolutamente banale: il bambino che non ha mai visto il mare arriva sulla spiaggia con il suo costumino di lana nuovo nuovo con la manina in quella di mamma che lo porta sotto l'ombrellone e gli fa tutte le raccomandazioni del caso. Ma il bambino, come tutti i bambini del mondo, corre via curioso verso quell'acqua dove piccole onde spumeggianti aspettano il suo arrivo. Lla sabbia scotta e corre veloce, entra in acqua dove la buchetta maliziosa si è messa apposta lì per fargli perdere l'equilibrio. Il bambino cade a testa in giù, la faccia nell'acqua...e beve, scopre con sbigottimento che l'acqua è salatissima, tossisce e nel tossire ribeve e ancora ancora. Ha paura, la paura dell'ignoto che attanaglia, gli manca il respiro, spalanca gli occhi che bruciano al contatto col sale...beve di nuovo. Sente i polmoni scoppiare, la paura è ormai terrore...sta succedendo qualcosa di terribile che non poteva certo immaginare.                           
Due mani forti lo sollevano, lo prendono in braccio, lo distendono sulla sabbia bagnata dove si forma un capannello di persone. Le mani forti gli massaggiano i polmoni, il bambino vomita. Arriva la mamma che immagino bianca come cera. Ricordo perfettamente le sue parole "Cominciamo bene..." in dialetto. Poi si pente, lei è mamma sempre, lo è sempre stata, mi prende    in braccio e mi culla. Piango e sto male, mi vergogno di tutta quella gente che parla di me e che mi mette al centro dell'attenzione. Io sono un bambino timido, schivo, malato. Mi stringo forte a mamma che mi porta sotto l'ombrellone, mi coccola...mi addormento.                  
                                                                          
Sfioro con la mano destra la vecchia foto, poi ci metto sopra la mano per sentirla bene, avverto i pori della carta ormai consunta che sembrano dilatarsi pian piano al tepore della mia mano, e una sensazione di        
presenza...sì, presenza: sono lì, sono seduto su quel patino dove un fotografo mi ha installato contro voglia, sto facendo i capricci  perchè lui vuole mettere il patino in mare e io non voglio, io ho paura. Il mare ormai mi fa paura, non ci voglio più entrare nell'acqua.   
Non ero un bambino capriccioso, ero un "bravo bambino" come diceva  sempre la mamma, anche se spesso nel lettino per tutte quelle malattie che si susseguivano, non ero solito fare capricci. Ricordo anzi molto bene come mi davano fastidio i capricci di mia cugina, che aveva la mia stessa età e passava molto tempo a casa mia. Lei era benestante grazie al lavoro del padre che faceva l'allevatore, era abituata ai capricci che poi mia zia troncava di  netto con una sculacciata.                                                
Ma quel giorno, nell'antico borgo ligure, ero arrabbiato davvero: non volevo la foto che la mamma voleva portare a casa per il papà, non sopportavo il fotografo che voleva mettermi in mare. Infine il compromesso: la foto     
si, va bene anche il patino, ma sulla sabbia! Credo che il fotografo si fosse ormai spazientito ed abbia scattato subito la foto fregandosene di inquadratura e sorrisi: ne è uscita una foto bruttina, con un bambino imbronciato che finge di remare sulla sabbia!                     
                                                                          
Continuo a tenere la mia mano sulla vecchia foto in bianco-nero, ormai quasi color ocra, guardo i dettagli: il costumino di lana, un improvviso flash... era verde! il costumino da bagno era verde, anzi, per la precisione, verde muschio ! e io sto facendo le smorfie a mia madre, mia madre non si vede nella foto, ma è lì, sulla destra con il costume di lana nero, che mi fa cenno di sorridere.                             
Poi fu improvvisamente necessario cambiare pensione. Ricordo ripide scale che mi portavano in una cameretta piccola dove c'era un letto in  ferro battuto. Lì dormivo con mamma. Immagino che i soldi non bastassero  
e che per prolungare il soggiorno mamma avesse trovato un alloggio più economico.                                                          
                                                                          
Sl, ero un bambino malato, ma quelle malattie infantili mi hanno reso forte. Dai sei anni in poi difficilmente mi sono ammalato, anche  quando sudavo nel gioco in mezzo alla neve che a volte cadeva copiosa ed io avevo pantaloni lunghi maglione e sciarpa al collo e fuori era sotto zero ma io non sentivo nulla il divertimento era giocare a  pallone nel campetto dell'oratorio con la neve in terra e i fiocchi che scendevano lenti e solenni il divertimento era il giocare a nascondino nella fitta nebbia autunnale che annullava le cose.            
Non ho avuto grandi malattie, ho toccato l'ospedale una sola volta per un problema rapidamente esauritosi.  Mi piace pensare che sia il mare che mi ha guarito, anche se è indubbio che al mio ritorno dalla Liguria hanno dovuto operarmi di tonsille con urgenza. Mi piace comunque pensarlo, credere che quella prima volta davanti all'immensità blu io sia guarito completamente da tutto.          
                                                                          
Ho rivisto il mare dieci anni dopo, in Toscana, passando sul lungomare con la mia bicicletta nuova fiammante. Su quelle spiagge di Toscana, ho incontrato ragazzine dai primi rossori, come succede a tutti i ragazzi di quell'età. Il mare induce al romantico, alle confidenze, all'innamoramento, alla serenità, alla gioia.                         
                                                                          
Non sapevo certo allora, non immaginavo nemmeno lontanamente, che la vita mi avrebbe regalato il mare. Accadde così, casualmente: una delle tante lettere inviate in cerca di lavoro, la risposta per un colloquio informativo, un colloquio tecnico con tema le onde del mare. E, inverosimilmente, io, che non  sapevo nulla del mare e che certo non era nelle mie preferenze, venni assunto, e immediatamente, lo stesso giorno! ed eccomi lì a bordo, senza sapere niente di mare, senza aver mai messo piede su una barca,  senza saper nuotare, sbattuto in mare, subito, nemmeno il tempo di organizzare i pensieri.    
E giornate di vomito sulla nave che cavalcava le onde, e la grinta che mi faceva tutto sopportare, la determinazione di riuscirci, il cercare di autoconvincermi che il male era solo psicologico, era paura, era ricordo di quel giorno di tanti anni prima sulla spiaggia di Liguria. 
E il vomito finì quando la paura scomparve. E il rollio cominciò ad essere sopportabile, la mente cominciò a ragionare, comincia a innamorarmi di quello spazio sconfinato sempre vivo e tumultuoso, comincia a godermi quelle calme tra una mareggiata e l'altra quando l'onda lunga cullava la nave. Con entusiasmo e sorpresa capii che quello era il "mio" lavoro, la vita che volevo senza saperlo, le emozioni nuove di cui avevo inconscio bisogno.   
             
Oggi in quell'antico borgo ligure c'è un porticciolo che allora non c'era e che ora  viene ampliato; ora ci si arriva con l'autostrada nel paesino, ha, come tutte le autostrade una sigla, ma è nota come "autostrada dei fiori".  
Ecco il cartello di uscita, freccia a destra, rallento, aspetto con pazienza al casello dove una breve coda di auto è in attesa, scendo fino alla vecchia Aurelia a picco sul mare, la percorro lentamente cercando gli antichi ricordi.                                  
Il mare, oggi, è Mediterraneo vero. 
Due curve in discesa, un'altra, ampia, sulla sinistra: ecco Punta Aspera, ecco laggiù in fondo il litorale, l'immenso cantiere, il nuovo molo che allarga smisuratamente il bacino portuale per le nuove esigenze turistiche. Un enorme cartello con il disegno del nuovo porto e il  nome dei progettisti. C'è anche il mio nome. 
                                                    
Sono tornato qui, oggi, mezzo secolo dopo. La vecchia foto in mano: ho cercato, analizzato, confrontato. Ho ritrovato, cosa non facile,  il posto esatto dove stavo per affogare, dove un fotografo impaziente aveva scattato una foto a un bimbo smorfioso su un patino.
Mi siedo sulla sabbia umida, giacca e cravatta d'ordinanza... e mia madre è lì con me...e mi tiene per mano.                          
                                                 

 
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Davanti al camino

Post n°14 pubblicato il 01 Novembre 2010 da casadecolmeia
 
Foto di casadecolmeia

Una sera d'autunno davanti al camino... solo. Fuori il vento si è finalmente calmato, dopo aver diffuso nel vasto giardino le foglie rosse e gialle dei liquidambar.
Metto sul giradischi un vecchio disco di vinile: pianoforte, il mio Debussy che da tanto non ascolto...la fiamma vivace riscalda la stanza, la fa vivere, disegna attimi di luce sulle pareti bianche...mi verso un armagnac, me lo sono meritato dopo questi giorni di folle attività. Lo sorseggio con gusto mentre il pianoforte va dritto al cuore.
Il cognac induce alla meditazione, alle riflessioni....uno scoppiettio, una fiamma birichina evidenzia un vecchio libro lassù, nell'ultimo ripiano della libreria, come per destare la mia attenzione su ciò che non voglio ricordare.
Prendo il libro, lo sfoglio a caso già sapendo che si aprirà proprio a quella pagina ormai consunta...leggo (*).

<"Ti ricordi?" ci diremo l'un l'altro, stringendoci dolcemente, nella calda stanza, e tu mi sorriderai fiduciosa mentre fuori daran tetro suono le lamiere scosse dal vento.
Ma tu - ora mi ricordo - non conosci le favole antiche dei re senza nome, degli orchi e dei giardini stregati.
Mai passasti, rapita, sotto gli alberi magici che parlano con voce umana, nè battesti mai alla porta del castello deserto, nè camminasti nella notte verso il lume lontano lontano, nè ti addormentasti sotto le stelle d'oriente, cullata da piroga sacra.
Dietro i vetri, nella sera d'inverno, probabilmente noi rimarremo muti, io perdendomi nelle favole morte, tu in altre cure a me ignote.
Io chiederei: "Ti ricordi?", ma tu non ricorderesti
.>

Mi fermo, non posso continuare. Lascio cadere il libro sul tappeto mentre la mente è percorsa dagli spiriti delle foreste,  dai folletti degli alberi, dalle fate che abitano i boschi, dal galoppare sfrenato di cavalieri invisibili, da bauli colmi di mappe che portano a tesori sconosciuti, dalle sirene del mare, dai maghi buoni della mia fanciullezza felice, tutti lì, tutti presenti ad affollare ancora la mia mente di bimbo.

E mi sento in colpa per non ....
Mi alzo, metto altra legna sul camino, cerco di distrarmi osservando la pioggia che cade nel pozzo e riga il vetro della finesta. Ma il libro è lì, altre pagine vogliono essere lette.

<Ma almeno, questo sì almeno, vorrei rivederti. Sia quel che sia, noi staremo insieme in qualche modo, e troveremo la gioia. Non importa se di giorno o di notte, in un paese sconosciuto, in una casa disadorna, in una squallida locanda. Mi basterà averti vicina. Io non starò qui ad ascoltare - lo prometto - gli scricchiolii misteriosi del tetto, nè guarderò le nubi, nè darò retta alle musiche o al vento. Rinuncerò a queste cose inutili, che pure io amo. Avrò pazienza se non capirai ciò che ti dico, se parlerai di fatti a me strani, se ti lamenterai dei vestiti vecchi e dei soldi.
Non ci saranno la cosiddetta poesia, le comuni speranze, le mestizie così amiche all'amore.
Ma io ti avrò vicina. E riusciremo, vedrai, a essere abbastanza felici, con molta semplicità, uomo con donna solamente, come suole accadere in ogni parte del mondo.
Ma tu - adesso che ci penso - sei troppo lontana, centinaia e centinaia di chilometri difficili da valicare. Tu sei dentro a una vita che ignoro, e altri uomini ti sono accanto, a cui probabilmente sorridi.
Probabilmente non riesci più a ricordare il mio nome. Io sono ormai uscito da te, confuso tra le innumerevoli ombre.>

Chiudo il vecchio libro, osservo la fiamma allegra del camino che non riesce più a trasmettere quel calore di cui ora avrei bisogno. E mi accorgo che tanto tempo è passato, tante incomprensioni, tante burrasche per pochi istanti di felicità...

ma mi manchi...mi manchi.

(*) Dino Buzzati, La Boutique del mistero

 
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Turismo responsabile?

Post n°13 pubblicato il 26 Ottobre 2010 da casadecolmeia
 
Foto di casadecolmeia

Dedicato alla signora veneta che ha voluto donare un paio di infradito rosa di plastica a una bambina felice di 6 anni di età, che mai aveva visto scarpe perchè in quell'isola-paradiso fuori dal tempo nessuno le aveva mai portate...la bambina non le voleva, non sapeva che farsene. La bionda giovane abbronzatissima signora ci rimase malissimo, s'arrabbiò, cominciò ad alzare la voce. L'amica strafica superlucida di abbronzante sulle bianche tette commentò: sei scema a regalare sandali a una scimmietta...
La bimba, impaurita dal tono della signora, le prese a malavoglia e scappò via, ma dopo mezzora tornò circondata da molte bimbe della stessa età, posò accanto alla signora un cesto di piccoli succosi magnifici profumatissimi ananassi.e in dignitoso silenzio si allontanò.

Più tardi si sentirono grida, assurde in quel paradiso di sorrisi e di mare. Mi alzai incuriosito e m'incamminai sulla sabbia corallina verso l'evidente litigio: 15-20 bambine stavano strappandosi di mano le infradito di vile plastica rosa! ecco il risultato del dono "civile", eccolo lì...chi possedeva le infradito sarebbe stata superiore alle altre, fine dell'uguaglianza, fine dell'amicizia, rancori, divisioni...me ne andai maledicendo l'oscena stupidità dell'italica signora.

Mattina dopo, alba. In un tripudio di folle arcana antica bellezza scendo a fare il bagno nel verde entusiasmante dell'oceano prima di andarmene in ufficio: sul bagnasciuga una ciabatta rosa, ormai inutilizzabile, andava e veniva col gioco dell'onda...

 
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Bauxite

Post n°12 pubblicato il 13 Ottobre 2010 da casadecolmeia
 
Foto di casadecolmeia

Son tornato in Italia, mi documento su ciò che è avvenuto in questi giorni, leggo questa notizia: "Disastro ecologico in Ungheria: l’avvelenamento è dovuto allo sversamento di fanghi rossi, ossia residui tossici della bauxite utilizzata per la produzione di alluminio. Nel disastro, almeno 8 persone sono rimaste uccise e 150 ferite, dopo essere entrate in contato con i fanghi tossici.  In ospedale sono ricoverate ancora 45 persone. I liquami sono defluiti anche nelle acque di alcuni affluenti del Danubio, uno dei quali, il Marcal, è ormai considerato morto dagli esperti.
Allora mi ricordo un vecchio post...lo ripropongo qui.

Il faro è stato costruito dagli olandesi nel 1817. E' alto 31 m. E' monumento nazionale. E' il punto di riferimento delle navi che dall'Atlantico entrano nel fiume Demerara.
Non è particolarmente bello, tantomeno elegante; è dipinto a strisce verticali bianche e rosse e convive con una vecchia palma ormai spelacchiata che tenta disperatamente di raggiungere l'altezza del faro.
Voglio salirci. "Sorry, it's impossible sir", ma la testardaggine a volta è utile...unico divieto: non andare sul terrazzino, è in restauro.

M'affaccio cosi all'ultima finestra, nel caldo umido opprimente, fradicio di sudore dopo aver salito scalini malmessi. Sotto di me il Demerara scambia le sue acque fangose e turbolente con quelle dell'Atlantico ugualmente fangose. Più a nord l'Essequibo con il suo maestoso estuario di larghezza spropositata punteggiato di isole verdeggianti che pochi giorni fa ho attraversato timoroso in piroga, a ovest la "rain forest", la foresta pluviale dei miei sogni di bimbo. Amazzonia, e la mente scivola via, voglio imprimere nel cervello ogni dettaglio, ogni colore, ogni profumo, qualunque sfumatura. Difficile ipotizzare un mio ritorno in questo territorio, voglio perciò assaporare, gustare, guardare, memorizzare, capire. 
Mi vengono a cercare preoccupati che è ormai il tramonto...il funzionario del porto è scuro in volto, mi tratta male. Poi ricorda "Chi" mi ha fornito il permesso e subito ridiventa gentile.
Lo invito a venire con me. Gli regalo una bottiglia di rum locale, l'El Dorado, vecchio di 15 anni, uno dei più buoni rum che producono in zona, e subito diventiamo amici per la pelle. Mi racconta del suo lavoro, delle sue responsabilità, delle difficoltà di accesso al porto fluviale a causa dei banchi di fango che intasano la foce, delle navi di bauxite che fanno la spola tra il porto e le cave a cielo aperto. Alle mie curiosità su queste cave, s'infiamma improvvisamente al pensiero che dopo l'estrazione dello strato di bauxite, rimane una depressione priva di ogni vegetazione che interrompe la continuità del territorio, dell'impatto ambientale - dice proprio cosi "environmental impact"- che l'estrazione determina nell’alterazione della morfologia e della difficoltà di recupero del sistema ecologico pre-esistente.
Sorrido e gli verso un altro po' di rum, si rasserena.Chiacchera ancora a lungo, è ormai buio quando ci lasciamo. Torno nella mia camera d'albergo per godere di un po'di refrigerio prima di cena, mi sdraio sul letto.
Sono in uno dei paesi più poveri del mondo. Un modesto funzionario di un porto fluviale mi parla di impatto ambientale e della foresta che viene sciupata.. ne parla con passione e irruenza, anche se la bauxite è l'unica loro ricchezza, l'unico modo per far entrare nel paese un po' di cosiddetta valuta pregiata.

Oggi, dopo 15 anni, ho ritrovato casualmente una diapositiva molto datata e un po' sbiadita: un vecchio faro a strisce bianche e rosse, povero come la gente che l'ha costruito, ma che con dignità ha sempre fatto il proprio dovere. Sono andato subito in rete, basta cliccare sul portatile e son tornato laggiù in un attimo, ho sentito l'esigenza di rivedero: eccolo all'imboccatura del fiume, ancora accompagnato dalla sua palma sempre più spelacchiata. Sembra quasi ringiovanito...eccolo lì, riferimento certo per chi entra e per chi esce. Sorrido ai ricordi che il faro ha innescato: impatto sull'ambiente! e lo chiamiamo terzo mondo...e mi rendo improvvisamente conto che a quell'epoca la maggior parte di noi non conosceva nemmeno il significato del termine!

Un faro biancorosso, pieno di dignità, che ha il sapore del rum bevuto in compagnia...si può voler bene a un faro? 

Dicembre 2008

Per chi non lo sapesse...

La Guyana esporta circa 1600 tonnellate /anno di bauxite, una roccia sedimentaria che costituisce la principale fonte per la produzione dell'alluminio. E' una roccia di colore che va dal rosso bruno al giallo caratterizzata dalla presenza di diverse specie mineralogiche tra cui prevalgono gli ossidi e gli idrossidi di alluminio e di ferro. In particolare, è ricca in metaidrossido d'alluminio ed in ortoidrossido. La quantità di idrossido di alluminio varia nei differenti depositi tra il 30 e il 75%. Da 4 tonnellate di bauxite si estrae una tonnellata circa di alluminio, ma il processo è energeticamente costoso: per una tonnellata di alluminio serve un'energia di 14.000 KWh.
Nel processo vengono prodotti residui fangosi tossici, i cosiddetti fanghi rossi, il cui trattamento costituisce ancora un problema.

Ho letto anche questo:
In India i Dongria Kondh, una tribù di circa 8.000 persone quasi tutte analfabete, sono riusciti ad avere la meglio sul colosso minerario Vedanta, una società da 8 miliardi di dollari che voleva sviluppare una miniera di bauxite nel territorio della tribù, nel suo luogo più sacro. La distruzione della foresta avrebbe portato con sè la scomparsa dello stile di vita e della cultura dei Dongria Kondh.
Survival International, movimento che si batte per i popoli tribali del mondo, riferisce che hanno inscenato numerose proteste e che due loro leader sono stati sequestrati e picchiati in un clima di crescente violenza.
Ora il ministro per l’Ambiente e le Foreste dello Stato di Orissa ha stabilito che il progetto di Vedanta per la miniera non può andare avanti.

Una grande vittoria, una piccola speranza....
 

 
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Congo

Post n°11 pubblicato il 03 Ottobre 2010 da casadecolmeia
 
Foto di casadecolmeia

Lasciami dire...a te, sconosciuto uomo nero d'Africa che per una misera manciata di dollari percorri le foreste del Congo con un sacco di 50 chili addosso...e nel sacco c'è il "coltan" e il coltan è oro per costruire i telefonini a noi civili...non ti accorgi che stai morendo?
Stai morendo tu, uomo..e tutti quelli come te che raspano la terra a mani nude per riempire sacchi su sacchi...
Sta morendo la foresta, stanno morendo gli animali più amati.Svegliati uomo nero, ritrova la tua dignità calpestata.

L'Africa muore, il continente più bello muore, il deserto avanza dal nord a ritmi impressionanti, la deforestazione sempre più accentuata, alberi secolari dal legno pregiato tagliati e esportati per farci il tetto del più prestigioso yachtclub ligure, le guerre e i genocidi di intere tribù, i guerrieri bambini con un mitra vero per giocattolo e l'ammazzare come gioco, l'Aids che ha decimato uomini e donne, giovani e meno giovani.

Eppure lo chiamavano "mal d'Africa": veniva spiegato in mille definizioni che girano tutte intorno al termine "nostalgia", ma è troppo limitativa questa parola perchè se non l'hai provato sulle tua pelle non puoi capire.Ma avere il mal d'Africa significava anche amarlo, AMARLO quel continente meravigloso...ma ora?

Lasciami dire...a te amico nero, capotribù del villaggio di Akassa, a te che mi hai accolto con un inchino di benvenuto nel tuo villaggio nel delta del Niger, a te che mi hai accompagnato tra le umide viuzze del villaggio seguito da uno stuolo di bambini curiosi e sorridenti, tra fitti mangri che attenuano il caldo atroce che devi subire e le poche palme che ti danno l'olio di cui necessiti per sopravvivere. A te che hai visto la civiltà del petrolio e ti sei fatto comprare per pochi dollari, a te dico: guarda la pellicola oleosa che riveste il tuo fiume immenso, e rifletti amico nero, tu che mi offri cocacola come bevanda che sei costretto a bere perchè il tuo villaggio è circondato da migliaia di chilometri di acque fluviali e acquitrinose imbevibili a causa del petrolio. Guarda le tue splendide figlie che vanno a fare le serve e le prostitute agli uomini delle compagnie petrolifere...come puoi permettere questo? Svegliati amico nero, riprendi in mano la tua vita.

C'era una volta l'Africa, paradiso inimmaginabile prima dell'arrivo dell'uomo bianco, prima dello sfruttamento, della colonizzazione, dell'esportazione delle nostra supposta civiltà, dell'imposizione della nostra "grande democrazia" a popoli in cui la tribù era patria-famiglia-affetti-memoria-antenati.
Ora sta morendo...Africa addio! potrebbe essere il titolo di un film, e forse lo è, ma purtroppo è pura verità: il paradiso non c'è più!

 

Per chi non lo sapesse:

Il coltan è una specie di sabbia nera leggermente radioattiva formata dai minerali di colombite e tantalite dalla cui contrazione deriva il nome "coltan".
Dal coltan viene estratto il tantalio, un metallo raro, duro e resistente alla corrosione. E' usato per aumentare la potenza degli apparecchi riducendo il consumo di energia. Da componente indispensabile per la produzione missilistica e nucleare e per il settore aereospaziale, oggi è il "genere di prima necessità" più ricercato dai produttori di telefonia mobile. I cellulari per funzionare hanno bisogno dei microcondensatori al tantalio.
L'80% delle riserve mondiali di coltan si trovano in Africa e l'80% di queste sono in Congo (ex-Zaire), dove, nella regione orientale di Kivu, sono stati scoperti vasti depositi superficiali di sabbie ricche di coltan. 
Il coltan congolese è estratto da una massa di improvvisati minatori che scavano con pale e picconi o addirittura a mani nude il terreno per tirarne fuori la sabbia e portarla a spalla (anche per 50 Km attraverso la foresta come dimostrò non troppo tempo fa un documentario televisivo) ai centri di raccolta nella città di Goma e da lí in Rwanda.  Costosissimo sul mercato, rende ai minatori pochi dollari al sacco. Per nutrire questa massa di disperati, i cacciatori stanno sterminando la fauna selvatica.
Si stima che il trasporto sia quasi tutto illegale: i sacchi vengono caricati su piccoli aerei da turismo che atterrano ovunque ci sia una stradina sterrata o una pista improvvisata.In particolare, secondo una denuncia del WWF, due tra i luoghi piu' prestigiosi del nord del Paese sono in pratica devastati dall'estrazione del coltan: il Parco nazionale di Kahuzi-Biega e la riserva naturale di Okapi, la cui fauna è a rischio di estinzione. La popolazione di elefanti, ad esempio, è precipitata quasi a zero rispetto  ai circa 3.600 pachidermi censiti nel '96; nella sola parte settentrionale del parco di Kahuzi-Biega, sono rimasti meno di 200 gorilla; nel '96 erano il doppio.

Nell'aprile 2001 l'Onu, dopo aver preso atto che circa 1500 tonnellate del prezioso materiale erano state esportate illegalmente dall'Africa tra la fine del 1998 e l'estate 1999,  presentò un rapporto contro lo sfruttamento illegale dei giacimenti di coltan nel nord del Congo. Si stima che il traffico di coltan avrebbe fruttato ai guerriglieri circa un milione di dollari al mese, impiegati per finanziare la guerra contro il governo di Kinshasha.
Dopo la diffusione di queste notizie, diverse associazioni non governative belghe hanno lanciato una campagna di protesta con lo slogan ''niente sangue sul mio Gsm''.
Pensate che dopo il 2001 sia cambiato qualcosa? Sì...i minatori continuano a morire...

Per chi ne volesse sapere di più, basta digitare "coltan" su qualunque motore di ricerca.

 
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