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Previsioni per l'anno appena nato

Post n°196 pubblicato il 14 Gennaio 2008 da circololenci

Alessandro Robecchi

Un nuovo anno ci apre le sue braccia. Ma quali polemiche politiche, battaglie civili, crociate etiche ci attendono? Ecco in anteprima assoluta e planetaria quello di cui si discuterà nell'appena nato 2008.
Sicurezza: l'esercito può sparare sui cassonetti di Napoli? Perché sei sacchetti della monnezza sono stati interrogati e malmenati in caserma? Come mai una pattuglia ha manganellato addirittura un pacifico cassonetto della Caritas? Un giorno il supercommissario De Gennaro dovrà renderne conto al paese!
Etica: provarsi la febbre è eugenetica? Ampio dibattito lanciato da il Foglio.
Riforme: la bozza Bianco scappa con un ragioniere di Forza Italia. Delusione nel Partito democratico. Si parla di modello kazako corretto alla francese. Veltroni è più che ottimista.
Economia: Confindustria preoccupata per il calo di produttività dei morti sul lavoro. Le loro famiglie dovrebbero versare un contributo alle aziende.
Vaticano: è una provocazione laicista dire che la terra ruota intorno al sole. Cauto il Pd.
Economia: Le maggiori agenzie di rating internazionali fanno i complimenti all'Italia per il riordino dei conti, ma sollecitano garbatamente le organizzazioni umanitarie a inviare aiuti alimentari alla popolazione civile e piani di assistenza.
Etica: mettersi le supposte è sadomasochismo? Ampio dibattito su il Foglio.
Riforme: trova inaspettati consensi il modello elettorale della provincia del Guaranì, naturalmente corretto alla svedese. Veltroni è più che ottimista.
Economia: Sempre più famiglie italiane non riescono ad arrivare al 27 del mese. Indignazione di Montezemolo: «Non capisco il problema, basta prendere un aereo privato il 26 e si è sicuri di arrivare al 27!».
www.ilmanifesto.it

 
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Dopo la guerriglia, riprende la protesta

Post n°195 pubblicato il 10 Gennaio 2008 da circololenci

Dopo una notte di durissimi scontri, il quartiere di Pianura rimane completamente isolato. Clima teso, cortei, scuole deserte e blocchi. In serata migliaia in corteo. E i cittadini si dividono sul ricorso alla violenza
Francesca Pilla

Napoli Al calar della sera sale la tensione a Pianura e iniziano nuovi scontri. Sono migliaia i manifestanti scesi in strada. Dopo 12 giorni di proteste, sono cresciuti di numero e sempre più agguerriti. Ieri erano divisi in tre gruppi che presidiavano l'ingresso di Quarto di via dei Pisani, i cancelli della discarica e le barriere del piazzale di via Montagna Spaccata, ognuno manteneva le proprie posizioni. Scontri leggeri, niente rispetto alla notte di martedì quando il rione è stato messo a ferro e fuoco. Polizia e carabinieri fino a sera non hanno nemmeno cercato di entrare nel sito ma appena tentato di aprire varchi e governare il quartiere con lancio di lacrimogeni, contatti e cariche accennate. La paura però alimenta la determinazione e i gruppi restano chiusi a testuggine: «C'è l'esercito nascosto da qualche parte - dice convinto un uomo - qui alla fine ci massacrano». Effettivamente a contrada Pisani la strada che già ospita una montagna di rifiuti ricoperti di vegetazione è lunga e stretta, se le forze dell'ordine dovessero piombare da entrambe le entrate potrebbe essere un macello.
Ma al momento il prefetto Alessandro Pansa e il questore Fiorolli stanno mantenendo un profilo basso, tentando interventi chirurgici. Così nel pomeriggio quando dal ministero dell'Interno hanno dato l'ordine di mettere fine all'isolamento di Quarto ci sono stati lunghi momenti di nervosismo, ma nessuna carica pesante. Sono stati lanciati solo una serie di lacrimogeni, la folla ha indietreggiato e una pala meccanica ha eliminato gli ostacoli e riaperto la strada principale.
Ma quanto potranno durare le buone maniere se dal commissariato e dal governo hanno ordinato di riaprire la discarica a tutti i costi? Il problema esiste, anche perché non appena gli sbarramenti vengono rimossi gli abitanti li ripristinano. Giocano in casa e si potrebbe andare avanti per settimane, mesi. La situazione generale è resa più instabile anche per l'ampiezza dell'area di scontro. Infatti i dimostranti sono arrivati a sequestrare un bus e darlo alle fiamme a Pozzuoli, distante diversi chilometri dal sito vero e proprio. Mentre a Monterusciello sono stati assaliti due poliziotti, finiti in ospedale. Per questi incidenti è stato fermato un giovane.
A Pianura invece ormai sembra saltato tutto, anche la razionalità. Non è solo un quartiere in lotta, ma anche abbrutito dalle barricate di monnezza, dalla rabbia, dall'esasperazione di chi non capisce bene cosa sta succedendo nei piani alti. Dopo la notte di guerriglia i pianuresi hanno introiettato il complesso del nemico, nel quartiere vige l'autarchia. «Che cazzo guardi a fare!» , urla un giovane a un altro solo per capire se si tratta di uno dei suoi o di uno «straniero». C'è chi esulta perché è quasi come vivere allo stadio tutti i giorni: «Se caricano chiudo il negozio e mi butto nella mischia». Chi vuole vedere i politici e gli amministratori morti o in galera: «Bassolino deve pagare anche fisicamente, Pecoraro si deve dimettere, La Iervolino doveva venire con noi, così non serve a niente». Ma la maggior parte degli abitanti sono preoccupati: «Se continua così qui ci scappa il morto», dice con il volto scuro il barista dell'ultimo caffè aperto prima dello sbarramento.
Negozi chiusi e scuole deserte, nessuno in strada, in metà rione c'è il coprifuoco. La lunga strada che porta a via Montagna spaccata porta tutti i segni della battaglia in corso. Cassonetti rovesciati, alte colline di immondizia, il gabbiotto di una pompa di benzina incenerito. Un gruppo di giornalisti stranieri «embedded» continua a fare servizi nascosti dalle forze dell'ordine a qualche km di distanza da Contrada Pisani. Hanno paura di entrare, nemmeno fossero in Iraq, dopo che martedì notte sono stati malmenati operatori e giornalisti Rai, Sky e Mediaset. Alcuni manifestanti hanno anche sequestrato le cassette con le immagini degli scontri e rotto le telecamere. Una notte di follia e di confronto con polizia e carabinieri, che hanno sgomberato i diversi blocchi e sono stati accolti con bombe carta e molotov da una folla fuori controllo. Alla fine una sola persona è stata fermata: un ragazzo di 25 anni che ha sequestrato e dirottato un autobus che è poi stato dato alle fiamme.
Nelle strade gli abitanti litigano tra loro sul ricorso alla violenza. «Stiamo facendo la figura degli animali. Pensano che siamo camorristi, invece qui è tutta gente perbene», si lamenta una robusta donna biondo platino. «Ma che dobbiamo fare signò - risponde un ragazzo - quelli ci attaccano e noi rispondiamo». «Ma dove sono i facinorosi? - urla un uomo sulla trentina - ho due figli a casa, la mattina vado a lavorare e la sera sono qui a combattere». «Non sono d'accordo - interviene una giovane sullo scooter - dobbiamo essere pacifici». «Così ci schiacciano - risponde il fidanzato - guarda che lo faccio anche per te».
Si muovono con precise strategie gli uomini di Pianura. Sono loro che tengono il comando, mentre le donne siedono davanti al sito. Hanno chiuso tutta l'area intorno all'ex discarica. Fortificazioni composte da cancelli e blocchi di cemento. Di fronte a una delle entrate c'è una roulotte capovolta dove è stato srotolato uno striscione con le foto di Prodi, Bassolino, Iervolino e Pecoraro e la scritta «La camorra non siamo noi, siete voi il tumore».
Proprio lì ieri mattina è stata organizzata una rumorosa conferenza stampa dalla Rete campana rifiuti e ambiente, insieme con l'Assise di palazzo Marigliano. Al telefono Beppe Grillo, che ha detto ai pianuresi di essere dipiaciuto per non poter partecipare alla protesta : «Questi cassoni di politici vanno tolti da lì - ha esortato i napoletani - Questa è una emergenza creata per fare inceneritori sovvenzionati dalle tasche dei cittadini». Anche qui però sono scoppiati i malumori tra un gruppo di manifestanti che accusavano gli attivisti di farsi pubblicità e la maggior parte degli abitanti dei Pisani, soddisfatti per l'aiuto e la solidarietà resa.

 
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I Sioux rompono con la Casa Bianca

Post n°194 pubblicato il 27 Dicembre 2007 da circololenci

La tribù indiana straccia i trattati
firmati con il governo di Washington
e rifiuta la cittadinanza americana
WASHINGTON
Gli indiani Lakota, vero nome dei Sioux, ai quali hanno appartenuto in particolare i grandi capi Toro Seduto e Cavallo Pazzo, hanno stracciato i trattati firmati dai loro antenati con gli Stati Uniti più di 150 anni fa. Lo hanno annunciato i rappresentanti della tribù.

«Noi non siamo più cittadini degli Stati Uniti d’America e tutti quelli che vivono nelle regioni dei cinque Stati compresi nel nostro territorio sono liberi di unirsi a noi» ha dichiarato il loro rappresentante Russel Means, in una conferenza stampa a Washington.

Means ha dettp che passaporti e patenti saranno consegnati a tutti gli abitanti del territorio che rinunceranno alla loro nazionalità statunitense. Una delegazione di responsabili Lakota ha dichiarato lunedì in un messaggio indirizzato al dipartimento di Stato che si ritirano unilateralmente dai trattati firmati col governo federale americano, alcuni sottoscritti più di 150 anni fa. I trattati rappresentano «parole senza valore su carta senza valore» e sono stati «violati ripetutamente al fine di rubare la nostra cultura, la nostra terra e i nostri costumi» dicono i responsabili della tribù.

«Abbiamo firmato 33 trattati con gli Stati Uniti che non sono stati rispettati» ha dichiarato da parte sua Phyllis Young, una militante della causa indiana che ha collaborato a organizzare la prima conferenza internazionale sui diritti indigeni nel 1977.

Alcuni capi Lakota si sono recati in delegazione presso le ambasciate di Bolivia, Cile, Sudafrica e Venezuela e intendono intraprendere una missione diplomatica in diversi paesi nel corso dei prossimi mesi, secondo quanto hanno annunciato.

Il territorio Lakota si situa nel nordovest degli Stati Uniti e comprende regioni del Nebraska, del Dakota del Sud e del Dakota del Nord, del Montana e del Wyoming.

I Lakota sono stati la sola tribù a infliggere una sconfitta all’esercito americano. Una delle loro figure leggendarie, il capo Toro Seduto (Sitting Bull) è noto per aver sconfitto il generale Custer nella battaglia di Little Big Horn nel 1876 nel Montana.
www.lastampa.it

 
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Usa, Sioux stracciano trattati

Post n°193 pubblicato il 27 Dicembre 2007 da circololenci

Nipoti di Toro Seduto, 'non siamo piu' cittadini americani'

 (ANSA) - WASHINGTON, 20 DIC - Gli indiani Lakota, il vero nome dei Sioux, si sono ritirati dai Trattati conclusi dai loro antenati con gli Usa piu' di 150 anni fa.Lo hanno annunciato ieri rappresentanti della tribu', la stessa a cui appartennero i grandi capi Toro Seduto e Cavallo Pazzo. 'Non siamo piu' cittadini degli Stati Uniti d'America e tutti coloro che vivono negli Stati sui quali si estende il nostro territorio sono liberi di unirsi a noi', ha dichiarato un loro rappresentante a Washington.

da www.ansa.it

 
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Con la nascita del Banco del Sur l'America Latina è meno ricattabile

Post n°192 pubblicato il 12 Dicembre 2007 da circololenci

Brasile, Argentina, Venezuela, Bolivia, Ecuador e Paraguay firmano a Buenos Aires il trattato istitutivo: è l'alternativa al Fondo monetario e alla Banca mondiale
Maurizio Galvani

La sede principale è a Caracas, altri due uffici invece sono a Buenos Aires e a La Paz (Bolivia). Nasce il Banco del Sur che inizierà la sua attività ufficiale a partire dal 2008 con un capitale pari a 7 miliardi di dollari. L'80% del suo valore sarà denominato in dollari mentre il restante 20% da monete locali. Sei paesi, Brasile, Venezuela, Argentina, Paraguay, Bolivia, Equador hanno firmato - nella capitale argentina - la costituzione di questa nuova banca. Alla Casa Rosada erano presenti il presidente brasiliano Lula, il venezuelano Hugo Chavez, il boliviano Evo Morales, l'ecuadoriano Rafael Correa, il paraguayano Nicanor Duarte e naturalmente Nestor Kirchner che, ha siglato l'accordo prima di cedere i poteri alla moglie Cristina Fernandez.
Dopo tre anni di «gestazione» e di intense trattative - portate avanti dal presidente Hugo Chavez - viene realizzata una banca regionale che è una vera alternativa sia al Fondo monetario (Fmi) che alla Banca mondiale (Bm); due istituzioni che - dopo il trattato di Bretton Woods del 1944 - sono sempre servite ad imporre linee di sviluppo economico dettate dal più forte (gli Stati uniti). Di coloro cioè che in questi organismi hanno sempre hanno avuto più potere di voto (e di veto) per la legge scritta che «chi ha più quote ha più peso politico».
Il primo atto del Banco del Sur è stato proprio quello di eliminare questo tipo di sistema, sostituendolo con il criterio di «una testa, un voto»: di ognuno, ovviamente, che farà parte del nuovo direttivo. La porta per ulteriori adesioni rimarrà sempre aperta in attesa di capire cosa vogliano fare il Cile - osservatore in questa storica riunione - e la Colombia. La quale, in primo momento, si era dichiarata interessata, poi sganciarsi. Viceversa, il mandatario uruguaiano, Tabaré Vasquez, ha spedito a Buenos Aires un uomo di fiducia ed è probabile che firmerà tra pochi giorni l'atto di costituzione del Banco del Sur.
Tra i compiti principali di questa nuova istituzione finanziaria c'è sicuramente la possibilità per i singoli paesi di non dover più ricorrere all'Fmi o alla Bm per avere prestiti. Si deve ancora discutere, invece, delle modalità con cui verranno dati i soldi: Evo Morales insiste affinchè il Banco del Sur sia un «prestatore di ultima istanza», mentre il presidente Luiz Inacio Da Silva lo interpreta come «un'istituzione finanziaria che deve volta per volta aiutare i programmi di sviluppo». Ancora in discussione il punto che riguarda il rimborso dei prestiti.
Molti definiscono la realizzazione del Banco del Sur «una vittoria della diplomazia del petrolio», promossa da Hugo Chavez. Ed è così. Tuttavia è anche un successo delle spinte all'integrazione regionale, in grado di affossare la strategia americana del mercato unico più noto come Alca (Area de libre comercio de las Americas). Il presidente Evo Morales ha detto anche: «E'un primo passo per arrivare ad avere una moneta unica».

 
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La rabbiaoperaiagiustae sola

Post n°191 pubblicato il 12 Dicembre 2007 da circololenci

Maurizio Zipponi
Torino, manifestazione contro quattro omicidi di operai mentre altri tre combattono tra la vita e la morte. Nel corteo tra i lavoratori della ThyssenKrupp e i loro familiari c'è rabbia e dolore contro tutto e tutti.
Sono soli, disperati per il dramma, soli quando l'azienda gli comunicò la chiusura della fabbrica, soli quando per tirare avanti qualche mese devono accettare orari di lavoro disumani, soli quando non si fa più prevenzione e non si investe sugli impianti, soli quando pian piano i compagni di lavoro se ne vanno, i più esperti, quelli che conoscevano il pericolo dell'acciaio fuso.
Non possono più ascoltare comizi dal palco, discorsi di responsabilità, promesse o progetti politici semplicemente perché quando la vita non vale niente e chi ti uccide rimane impunito e comanda non puoi che lanciare un urlo lungo, insistente, assordante e poi chiuderti nel silenzio per non permettere a nessuno di entrare dentro il tuo dolore.
Siamo sull'orlo del baratro. Un filo dopo l'altro che lega la solidarietà con le forme dell'organizzazione sindacale e politica si sta spezzando. Lo Stato non esiste se non contro i lavoratori. Sento per la prima volta un brivido pesante un serio pericolo per la democrazia.
Un intero corpo sociale è espulso: precari e operai sono fuori e chi li uccide può dormire tranquillo.
Quando ci fu l'indulto arrivarono molte critiche tra cui quella che si sarebbero scarcerati anche coloro che avevano violato le norme di sicurezza. Andai subito a vedere, non c'era e non c'è un solo imprenditore in carcere per aver ammazzato un operaio.
Nemmeno quell'imprenditore di Bergamo che diede fuoco a che gli chiedeva la paga arretrata, nemmeno chi ha spostato il cadavere di un ragazzo dal cantiere alla strada per simulare un incidente.
1.300 morti, mi chiedo: è tutto fatalità, imprudenza, suicidi o ce ne è almeno uno che è stato ucciso per violazione di norme di sicurezza? Almeno per uno che ci sia un processo e qualcuno che va in galera. No, oggi non c'è. Il Governo, il Parlamento, le forze politiche devono dare subito risposte, devono reagire, lo possono fare: si possono impedire assunzioni precarie per lavori pericolosi, si può far funzionare la macchina degli ispettori, si possono chiudere gli impianti pericolosi, si può decidere che esiste in Italia un orario di lavoro massimo regolato per legge. Sono tutte misure che non costano.
Lo Stato deve dimostrare che esiste. E Prodi riceve Montezemolo, ancora una volta. Non i sindacati per un piano di emergenza dopo che la ThyssenKrupp ha emanato un comunicato vergognoso e Confindustria non ne ha preso le distanze. Non si può far trascinare nel fango le Istituzioni da chi non ha la dignità morale nel dire cosa fare o non fare, non ha il coraggio di dire che tante imprese che rispettano le norme di sicurezza subiscono concorrenza sleale da chi abbassa i prezzi a scapito della vita di chi lavora.
Noi, noi Sinistra che ieri ci siamo detti portatori di un progetto per rappresentare il lavoro oggi lo dobbiamo dimostrare cambiando qualche cosa, subito, per affermare che oltre l'urlo e il silenzio esiste il pianto e la solidarietà che permettono di ricominciare a lottare insieme.
www.liberazione.it

 
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Caro operaio,la tua morteè prevista: fa parte del gioco

Post n°190 pubblicato il 11 Dicembre 2007 da circololenci

Anubi D'Avossa Lussurgiu
«Conta più della speranza l'ira / e più dell'ira la chiarezza»: così scandivano i versi di Vittorio Sereni che abbiamo ripubblicato sulla nostra prima pagina bianca, venerdì, nel primo lutto per la strage della Thyssen Krupp di Torino. Chiarezza ci vuole, quando a ieri i lutti erano diventati quattro: di quella strage sola, senza contare gli altri morti ammazzati in poche ore tra gli operai del Bel Paese.
Questo sono tutti: operai ammazzati. Morire di lavoro questo significa: essere ammazzati, dallo sfruttamento. Dal lavoro, appunto, dal lavoro salariato: che tu lavoratrice, lavoratore esegui e che qualcosa e qualcuno comandano. Con questo lavoro tu crei ricchezza. Ne pagano la riproduzione - in verità, sempre più faticata. Ed è lo stesso lavoro che ti può distruggere. Può: dunque è naturale, previsto, che lo faccia. Perché già normalmente è così: nel lavoro che fa vivere la società chi lavora deve ogni giorno un po' morire.
In televisione, ogni tanto, a notte fonda, mandano in onda un film del 1971, di Elio Petri: La classe operaia va in paradiso . Vi recitò uno straordinario Gian Maria Volonté, nella parte di Lulù Massa, il protagonista, metalmeccanico: operaio massa, precisamente, mutante in figura esemplare di quella "classe selvaggia" che prese corpo nel '69 e arrivò a mettere in discussione il comando sul lavoro, l'organizzazione del lavoro e alla fine la stessa fabbrica e il lavoro salariato. Lulù Massa vive la sua mutazione a partire da un sanguinoso infortunio sul lavoro: e il suo specchio, la sua nuova verità sul lavoro diventa il vecchio compagno che va a trovare nel manicomio dov'è rinchiuso, per il lavoro.
Hanno detto che Lulù Massa non c'è più: non è vero. Certamente hanno cambiato cognome, ma i suoi figli e nipoti sono fra noi. Alcuni di nuovo in fabbrica, nella fabbrica automatizzata, informatizzata, in rete, qualcuno a contratto a tempo indeterminato a veder allontanarsi la pensione, qualcuno assunto a termine, o "in cooperativa", magari in apprendistato, a fare debiti: e tutti a raddoppiare i turni, in Fiat come in un'acciaieria. Altri sono andati sulle tracce di Lulù, non sono in fabbrica ma sono al lavoro: o in una manualità più infame della catena di montaggio, arrampicati su un'impalcatura accanto al compagno romeno; oppure con tutta la loro vita messa al lavoro, con o senza un contratto precario, ad alienarsi in uno studio di creativi o in un locale trendy o in una Notte Bianca o a schiantarsi su un motorino con la consegna nel portapacchi.
Hanno detto che la classe operaia è morta: non è vero, muore ancora, a grappoli, ogni giorno. Vive e muore, dovunque. Dicono che la sinistra è persa, specie da quando Lulù ha perso. Ed è vero: una sinistra ha vita solo se si ritrova fra le vite dei diversi Lulù d'oggi, se è nella viva vita. Della politica in crisi dicono che per uscirne dev'essere, appunto, nella vita. Ma quel che si vede è il potere sulla vita: a partire da paura e morte.

www.liberazione.it

 
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Stati generali, tutto okFinalmente è nata la Sinistra

Post n°189 pubblicato il 11 Dicembre 2007 da circololenci

Ieri, il lavoro in nove seminari-assemblee, dove protagonisti - quasi simbolicamente - sono stati soprattutto
i movimenti e le associazioni. Oggi assemblea plenaria, dove interverranno i leader dei quattro partiti promotori

Stefano Bocconetti
E sulla stessa lunghezza d'onda anche Fabio Mussi. A lui l'entusiasmo lo porta a fare un'affermazione impegnativa. Che in realtà non sarà condivisa da tutti. Questa: « Sono sceso dal treno dei diesse per prendere un altro cammino che sfocia nel progetto di una sinistra unita che serve all'Italia». Ed in questo cammino, per lui, «la federazione sarà solo il primo passo verso un grande partito di sinistra, a sinistra del Pd».
Dichiarazioni fatte davanti alle telecamere e ai microfoni. Ma fatte anche davanti a migliaia di persone che affollano ogni spazio libero. Frasi che suscitano altri dibattiti, tanti fuori programma. Esattamente come le domande dei giornalisti sul "caso" - meglio: sul presunto caso - Ingrao. Proprio ieri su un autorevole quotidiano è apparso il resoconto di un colloquio con l'anziano leader. Nel quale spiegava le sue critiche ad un processo unitario che giudica ancora debole. Da qui, avrebbe fatto discendere la scelta di non partecipare agli Stati generali. C'è sorpresa. In molti, però, c'è la convinzione che Ingrao sarà comunque della partita. Lo dice per esempio il ministro Ferrero: «Avrei preferito che Ingrao fosse qui ma lui fa parte del progetto visto che qui siamo solo al primo passaggio. Avrei preferito che fosse qui ma credo che si possa aprire un dialogo». Una convinzione che diventa una certezza quando si sparge la voce che Ingrao stamane sarà comunque qui, agli Stati generali.
E in questa situazione - appunto in un ambiente di «caos creativo» - diventa difficile anche per i cronisti raccogliere notizie. Qualcosa di più si sa della commissione che sta scrivendo la carta dei valori, appunto il "manifesto" della nuova formazione. Si sa che l'espressione utilizzata - quasi certamente - per definire la cosa nata ieri pomeriggio sarà quella di «nuovo soggetto, unitario, plurale e federale». Una formula che dà per scontata l'esistenza dei partiti. Cosa sulla quale hanno insistito ancora ieri i segretari delle quattro formazioni. Il ministro Pecoraro Scanio ha voluto fare di più, spiegando che non si può parlare di partito unico neanche per il futuro perché «nel terzo millennio occorre inventarsi forme politiche nuove, in grado di superare la vecchia logica del secolo scorso».
Ma questo, più o meno, già si sapeva. Qualcosa di più, dalla miriade di incontri - formali e informali - svoltisi ieri, è venuto fuori sul resto delle cose sul tappeto. Sulle modalità di organizzazione, per dirne una. Si è saputo così che a metà gennaio, la "Sinistra/l'arcobaleno" promuoverà un seminario. Aperto, anche questo aperto al contributo di tutti. Con all'ordine del giorno un argomento preciso, stavolta: le forme, le modalità del nuovo «soggetto». Come dovrà organizzarsi nelle province, nel territorio. Come si coordinerà in Italia, chi lo dovrà rappresentare. Magari anche se dovrà esserci qualcuno a parlare in suo nome. Dovrà decidere sul "come" ci si potrà iscrivere. Sì, perché dalle riunioni di ieri sembrano superati anche gli ostacoli che si frapponevano fin qui alle adesioni individuali. In base a questo schema, insomma, anche i tanti - i più a giudicare dalla giornata di ieri - che non hanno in tasca una tessera dei quattro partiti promotori potranno entrare a far parte della nuova forza. Dal seminario di gennaio in poi ci saranno gli iscritti alla "Sinistra/Arcobaleno".
Ancora: sembra ormai certo che a fine febbraio - il 23 e il 24 - la "cosa" rosso e verde andrà a consultare la sua gente. Accuratamente i protagonisti evitano la parola "primarie", evitano di parlare di voto. In ogni caso, però, ci sarà «un pronunciamento popolare». Le persone, insomma, dovranno dire un sì o un no sulle cose decise fino a quel punto. Innanzitutto sulla carta dei valori, sul programma fondamentale del nuovo soggetto.
Detto questo, non tutto è marciato con la stessa velocità. Nei documenti finali - almeno così si è potuto capire - non c'è un impegno vincolante a presentarsi insieme a tutti i prossimi impegni elettorali. A cominciare dall'ormai prossima stagione di rinnovo delle amministrazioni di questa primavera. Ci sarebbe solo un'indicazione di massima, che punta a far presentare unite le quattro formazioni laddove sia possibile. Su questo, Rifondazione e la Sinistra democratica di Mussi hanno molto insistito. Ma ancora non c'è nulla di nero su bianco. Le cose, comunque, potrebbero cambiare nelle prossime ore.
Qualcuno che ha partecipato a questi incontri - difficili, difficilissimi - dice anche che non è affatto detto che il percorso cominciato a «quattro si concluda con gli stessi protagonisti». In alcune delle forze politiche, le più piccole, potrebbero riaffacciarsi tendenze "solipsistiche". In queste sale, in queste sale che sembrano un formicaio, girava per esempio con insistenza la voce che i verdi vorrebbero correre da soli per le provinciali a Roma. Anche col parere contrario di Paolo Cento. Ma è davvero tutto aperto. E come dice sempre la stessa persona che ha partecipato agli incontri «molto dipenderà da cosa succede».
Molto dipenderà da come queste migliaia di persone riusciranno a pesare nel processo. Ieri la voglia, di più: il bisogno, di unità era visibile, era palpabile. Con centinaia di persone che si accaloravano, discutevano nei workshop su come intervenire nelle periferie o su come comportarsi in Parlamento al momento del rinnovo della missione in Afghanistan. Discutevano aspramente, senza chiedersi reciprocamente prima a quale gruppo appartenessero. Tutti erano sinistra.
E quanto e come queste persone riusciranno a "pesare", lo si saprà anche stamattina. Quando i nove seminari si uniranno in una sola sala. E' stata prenotata quella da settemila posti ma già si sa che non basterà, probabilmente sarà allestito un maxischermo in un'altra parte della Fiera. Oggi, insomma, ci sarà assemblea plenaria. Parleranno i leader dei partiti, Giordano, Mussi, Diliberto, Pecoraro Scanio, parleranno i rappresentanti dei movimenti. I dirigenti sindacali. Parlerà chi ha già dato vita a cinquantasei "cantieri" della sinistra, al lavoro da mesi in tutto il paese. Parleranno i tanti amministratori della sinistra. Parlerà Nichi Vendola, il Governatore della Puglia. Ieri, Vendola era già alla Fiera. Lo hanno accolto con entusiasmo, con abbracci, strette di mano, slogan. Caos nel caos, insomma. Creativo.

www.liberazione.it

 
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Thyssenkrupp Disastro colposo per la strage di Torino

Post n°188 pubblicato il 11 Dicembre 2007 da circololenci

Gianluca Gobbi
Torino

Ore 16.30. Di fronte all'ingresso dell'acciaieria il capannello di persone che osserva i mazzi di fiori lasciati per tributare il personale saluto alle vittime di queste morti assurde e orribili viene come risvegliato dal suono di alcuni clacson. Si presenta nel modo più fragoroso una ventina di motociclisti: quando i primi scendono dai loro bolidi cromati depositano un mazzo sormontato dal messaggio «con rispetto, i bikers», poi un minuto di silenzio fino all'applauso liberatorio. Il loro capo abbraccia due lavoratori della ThyssenKrupp e raccomanda di salutare Toni, ossia Antonio Boccuzzi, l'operaio che ha cercato disperatamente di strappare alle fiamme Antonio Schiavone, di 36 anni, Roberto Scola, di 32, Angelo Laurino di 43 e il 26enne Bruno Santino.
Le tute dei motociclisti sono completamente ricoperte di stemmi e motti: una ragazza sembra accarezzare con lo sguardo quello che in effetti è particolarmente adatto all'occasione, perché recita «meglio morire con toppe da valorosi piuttosto che vivere ben vestiti da vigliacchi». E come definire se non valorosi lavoratori che, per difendere il proprio posto, hanno trasformato in normale lo «straordinario», ormai due sinonimi nell'imbarbarito lessico produttivo. Intanto parcheggia la sua auto a pochi metri e deposita il suo mazzo Isabella, che spiega di essere qui «perché soltanto chi sa cosa significhi lavorare in fabbrica svegliandosi alle 4 del mattino può capire cos'è successo alla ThyssenKrupp». Lei lavora in un'azienda straniera che ha da poco dimezzato il numero di lavoratori, «e so già che mi aspetta la messa in mobilità». Si guarda intorno domandandosi sconcertata perché non ci siano molte persone qui in corso Regina Margherita, «e se non arrivano neppure adesso, anche queste morti cadranno in fretta nel dimenticatoio». Intanto Ciro Argentino, il lavoratore che era il migliore amico della prima vittima, Antonio Schiavone, ragguaglia i (pochi) curiosi sullo stato di salute degli altri operai in condizioni disperate.
Il primario dell'ospedale Maria Vittoria ha lasciato intendere che per Giuseppe De Masi non c'è più nulla da fare. Sempre critiche, al centro grandi ustionati di Genova, le condizioni di Rosario Rodinò, il lavoratore che si era visto cambiare il proprio turno poche ore prima del tragico incendio. Grave anche Rocco Marzo, ricoverato alle Molinette, il più esperto dei feriti con i suoi 54 anni, tanto che tra poche settimane sarebbe andato in pensione. Invece il lavoro che ha compiuto per una vita - divenuto letteralmente «usurante» per cause che spetta alla magistratura accertare - gli ha strappato anche il privilegio di potersi godere il meritato periodo di riposo. A chiedere di lui con particolare partecipazione è un ex lavoratore ThyssenKrupp, dei tanti (loro, sì) pensionati che in questi giorni sono passati di fronte all'acciaieria o in uno degli ospedali dove sono ricoverati gli operai. Per undici anni ha lavorato con Rocco in un'altra acciaieria, «facevo il gruista, con enormi responsabilità soprattutto quando ho cominciato a manovrare i comandi: un mio errore avrebbe significato la catastrofe», ma quando comincia a rievocare ricordi della sua esperienza di lavoro con il collega si commuove e si defila.
Nel frattempo è arrivato Antonio Boccuzzi, che abbraccia tutti coloro che si avvicinano a lui, «scusate ma ho bisogno del contatto fisico: di notte mi sveglio spesso, mia moglie mi chiede perché e io non posso che rispondere che ho negli occhi quelle scene drammatiche e l'inferno intorno ai miei amici» e le parole lasciano ancora una volta spazio alle lacrime. Lucido il racconto di uno dei lavoratori della squadra d'emergenza di turno alla ThyssenKrupp la notte della tragedia, che preferisce restare nell'anonimato specificando di non aver ancora reso testimonianza al procuratore Raffaele Guariniello. «Quando ho visto svilupparsi il piccolo incendio (che purtroppo è la regola per questo tipo di lavorazioni) sono sceso immediatamente da quella specie di pulpito che ospita la nostra postazione, ma purtroppo i tre estintori presenti sulla linea 5 non funzionavano: due erano scarichi e dal terzo è uscita una piccola quantità di CO2. Il telefono d'emergenza era fuori uso, così ho risalito le scale schiacciando i pulsanti del comando che in automatico ha messo in movimento gli enormi bomboloni di riserva. Ne è scaturito un gran fumo ed è stato praticamente tolto ossigeno al fuoco».
Un sistema di sicurezza aggiunto a seguito dell'incendio che nel marzo 2002 aveva investito una parte più ampia dello stabilimento senza fortunatamente causare feriti, ma che comunque è entrato in funzione troppo tardi a causa del malfunzionamento degli estintori. L'inchiesta del procuratore aggiunto Raffaele Guariniello ha portato alle prime tre iscrizioni nel registro degli indagati: i capi d'imputazione per i quali procede la Procura sono omicidio colposo e disastro colposo per individuare eventuali responsabilità: penali di alti dirigenti e civili della stessa ThyssenKrupp. Alla magistratura si affidano i torinesi, sotto choc per il manifestarsi in un colpo solo di tutte le contraddizioni che funestano il mondo del lavoro. Domani sarà lutto cittadino, con sciopero generale di otto ore e corteo con partenza da piazza Arbarello alle 10, quando i mezzi pubblici si fermeranno per due minuti e per cinque minuti i negozi spegneranno le insegne e abbasseranno le serrande. I consiglieri comunali devolveranno il gettone di presenza alle famiglie delle vittime ed anche i taxisti hanno organizzato una colletta.
I sindacati, viste le richieste di lavoratori e consigli di fabbrica, istituiranno un conto corrente per raccogliere fondi a sostegno di chi è stato depredato dell'amore ma anche del reddito, e continuano a chiedere che lo stabilimento non riprenda a lavorare, sollecitando una campagna per una vera sicurezza nell'industria.

 
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Sinistra Arcobaleno, «puntiamo al 15%»

Post n°187 pubblicato il 10 Dicembre 2007 da circololenci

I leader: «Competeremo da sinistra col Pd». Ingrao: «Unitevi». Giordano: «Lavoriamo per liste comuni»

 

Ingrao all'assemblea della Sinistra - L'arcobaleno
ROMA - Non è un partito ma un "soggetto unitario", non ha la falce e il martello nel simbolo (o forse, come dice Diliberto, ne ha due), vuole competere da sinistra con il Partito Democratico di Walter Veltroni puntando a raccogliere il 15% dei voti, e dice che non intende far cadere il governo di Romano Prodi, a cui chiede però una "svolta" a gennaio. È la Sinistra - l'Arcobaleno, nata ufficialmente alla Fiera di Roma dopo due giorni di assemblea e tenuta a battesimo al canto di "Bella Ciao" (intonata dai leader di Rifondazione Comunista, Pdci, Sinistra Democratica, mentre i Verdi hanno preferito non cantare).

LA CARTA - «Siamo impegnati nella costruzione di un un nuovo soggetto unitario, plurale, federativo», che punta alla costruzione di una «sinistra politica rinnovata», recita la "Carta d'intenti" letta alla fine degli "Stati generali" della nuova formazione. "Sa" avrà come simbolo l'arcobaleno e non la falce e martello, che però spicca ancora sui distintivi di Rifondazione Comunista e del Partito dei Comunisti italiani. I principi a cui fa riferimento la nuova formazione sono "uguaglianza, giustizia, libertà", ma anche "pace, dialogo di civiltà, valore del lavoro e del sapere, centralità dell'ambiente" e ancora "laicità dello stato" e "critica dei modelli patriarcali e maschilisti", dice ancora la Carta, letta dal palco della Fiera alla presenza del segretario del Prc Franco Giordano, del leader del Pdci Oliviero Diliberto, del presidente dei Verdi, il ministro dell'Ambiente Alfonso Pecoraro Scanio, e del coordinatore di Sd, il ministro dell'Università Fabio Mussi.

"LANCIAMO UNA SFIDA AL PD" - Se Pecoraro Scanio ha detto esplicitamente nel suo intervento che Sinistra Arcobaleno deve «puntare a superare il 15% dei voti per essere una forza di governo», Giordano, che guida il partito più grande della federazione, ha aggiunto che «da oggi lanciamo una sfida sull'egemonia al Pd», il nuovo partito di centrosinistra nato dall'incontro di Ds e Margherita. «Lavoriamo per presentare alle prossime scadenze elettorali liste comuni con un simbolo comune», ha spiegato Giordano (il prossimo importante turno elettorale previsto è quello del 2009, con il voto per il Parlamento europeo, dove le quattro formazioni di "Sa" siedono attualmente in gruppi diversi). Il leader del Prc ha anche difeso la richiesta di una verifica di governo a gennaio, e ha detto che gli attacchi alla stabilità dell'esecutivo vengono non dalla sinistra ma da "voltagabbana" di centro, in chiara polemica con la senatrice del Pd Paola Binetti, che in settimana non ha votato la fiducia al governo sul decreto sicurezza per un passaggio relativo alla discriminazione degli omosessuali, ma anche con i liberaldemocratici di Dini e con l'Udeur. «Abbiamo rinconquistato un peso, non possiamo accettare che un voltagabbana di turno conti più di un terzo della coalizione» ha detto Giordano. E a proposito dei rapporti con il governo Prodi, il segretario dei Comunisti italiani, Oliviero Diliberto, ha ribadito il suo scetticismo sulla verifica: «Bisogna vedere i fatti concreti che ci verranno proposti. Prima della verifica c'è stato il programma elettorale, poi Caserta, poi il dodecalogo ma dopo di allora non è stato fatto nulla». «Allora è inutile vedersi - conclude - se poi non si rispettano gli accordi».

I leader della Sinistra Arcobaleno (Eidon)

INGRAO: UNITEVI - Grande protagonista della giornata di chiusura è stato Pietro Ingrao. Sciarpa rossa al collo e bastone in mano, è arrivato all'assemblea dopo la "diserzione" del sabato e il colloquio con 'La Stampa' in cui criticava il progetto di aggregazione con l'ala radicale per la sua eccessiva lentezza. Parole che non hanno però raffreddato l'affetto del suo "popolo": Ingrao è stato infatti accolto da una lunghissima ovazione delle migliaia di militanti presenti. «Io vi dico solo una cosa - ha scandito Ingrao ai presenti - unitevi, unitevi. Dovete fare presto perché la situazione urge e i problemi della vita quotidiana non possono ritardare».

VENDOLA - Applausi anche per Nicky Vendola. «Questo deve essere il nostro cimento del futuro - ha affermato il Governatore della Puglia -. Un parto, un partire, non so se un partito, ma certo una costituente, un soggetto che sappia leggere il cuore della nostra società. Una sinistra - scandisce Vendola - che non è un bignami di ciò che fummo. È doloroso uscire da se stessi, si teme di perdere il proprio patrimonio, ma oggi è necessario. C'è una poesia di Pasolini che dice che "il vento del futuro non cessa di ferire". Ecco, nel parto c'è il dolore, c'è sempre, ma c'è anche la gioia di una nascita». All'assemblea ha partecipato anche Fausto Bertinotti. Ai giornalisti il presidente della Camera ha riservato poche battute: «Sono molto contento, per imparare a nuotare bisogna buttarsi nell'acqua. Oggi mi pare ci sia un grande tuffo».

IRRUZIONE COMITATI - Durante i lavori c'è stato anche un fuori-programma: i 300 manifestanti del comitato "No Dal Molin", giunti da Vicenza per chiedere risposte sulla sospensione dei lavori per la costruzione della base Nato Usa, hanno fatto irruzione nella sala plenaria dove si sta svolgendo l’assemblea. I manifestanti hanno bloccato per un po' gli interventi previsti in scaletta e sono stati accolti dai militanti delle sinistre da fischi e applausi.

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