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Caro operaio,la tua morteè prevista: fa parte del gioco

Post n°190 pubblicato il 11 Dicembre 2007 da circololenci

Anubi D'Avossa Lussurgiu
«Conta più della speranza l'ira / e più dell'ira la chiarezza»: così scandivano i versi di Vittorio Sereni che abbiamo ripubblicato sulla nostra prima pagina bianca, venerdì, nel primo lutto per la strage della Thyssen Krupp di Torino. Chiarezza ci vuole, quando a ieri i lutti erano diventati quattro: di quella strage sola, senza contare gli altri morti ammazzati in poche ore tra gli operai del Bel Paese.
Questo sono tutti: operai ammazzati. Morire di lavoro questo significa: essere ammazzati, dallo sfruttamento. Dal lavoro, appunto, dal lavoro salariato: che tu lavoratrice, lavoratore esegui e che qualcosa e qualcuno comandano. Con questo lavoro tu crei ricchezza. Ne pagano la riproduzione - in verità, sempre più faticata. Ed è lo stesso lavoro che ti può distruggere. Può: dunque è naturale, previsto, che lo faccia. Perché già normalmente è così: nel lavoro che fa vivere la società chi lavora deve ogni giorno un po' morire.
In televisione, ogni tanto, a notte fonda, mandano in onda un film del 1971, di Elio Petri: La classe operaia va in paradiso . Vi recitò uno straordinario Gian Maria Volonté, nella parte di Lulù Massa, il protagonista, metalmeccanico: operaio massa, precisamente, mutante in figura esemplare di quella "classe selvaggia" che prese corpo nel '69 e arrivò a mettere in discussione il comando sul lavoro, l'organizzazione del lavoro e alla fine la stessa fabbrica e il lavoro salariato. Lulù Massa vive la sua mutazione a partire da un sanguinoso infortunio sul lavoro: e il suo specchio, la sua nuova verità sul lavoro diventa il vecchio compagno che va a trovare nel manicomio dov'è rinchiuso, per il lavoro.
Hanno detto che Lulù Massa non c'è più: non è vero. Certamente hanno cambiato cognome, ma i suoi figli e nipoti sono fra noi. Alcuni di nuovo in fabbrica, nella fabbrica automatizzata, informatizzata, in rete, qualcuno a contratto a tempo indeterminato a veder allontanarsi la pensione, qualcuno assunto a termine, o "in cooperativa", magari in apprendistato, a fare debiti: e tutti a raddoppiare i turni, in Fiat come in un'acciaieria. Altri sono andati sulle tracce di Lulù, non sono in fabbrica ma sono al lavoro: o in una manualità più infame della catena di montaggio, arrampicati su un'impalcatura accanto al compagno romeno; oppure con tutta la loro vita messa al lavoro, con o senza un contratto precario, ad alienarsi in uno studio di creativi o in un locale trendy o in una Notte Bianca o a schiantarsi su un motorino con la consegna nel portapacchi.
Hanno detto che la classe operaia è morta: non è vero, muore ancora, a grappoli, ogni giorno. Vive e muore, dovunque. Dicono che la sinistra è persa, specie da quando Lulù ha perso. Ed è vero: una sinistra ha vita solo se si ritrova fra le vite dei diversi Lulù d'oggi, se è nella viva vita. Della politica in crisi dicono che per uscirne dev'essere, appunto, nella vita. Ma quel che si vede è il potere sulla vita: a partire da paura e morte.

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