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Compromessi e trasformismi

Post n°93 pubblicato il 08 Marzo 2018 da claudionegro50
 

Ho lavorato per molti anni nella politica, e mi rendo perfettamente conto che in un Partito ci sia una pulsione all'autoconservazione, del ruolo istituzionale dei dirigenti, della continuità degli apparati, della salvaguardia anche economica della struttura. E' anche giusto: è parte di ciò che consente a un Partito di essere qualcosa di più di un comitato elettorale e di provare a confrontarsi con la Storia.

Il che implica la capacità del Partito a fare compromessi quando è richiesto dalla sua esistenza stessa, o quando è necessario per svolgere la funzione di governo del Paese. A proposito: il fatto che i gruppi dirigenti degli attuali partiti usino il termine "inciucio" al posto di "compromesso" ci permette di misurare la decadenza, anche sul piano semantico, della cultura politica del Paese.

Ciò premesso, vorrei fare qualche considerazione su due aspetti del recentissimo dibattito post elezioni.


Primo: in un quadro di tripolarismo perfetto, capisco che qualunque soluzione di alleanza non possa essere esclusa a priori, e vada valutata anche sul piano tattico e magari anche dell'interesse del Paese (preoccupazione che a dire la verità mi pare un po' sfumare oltre la linea dell'orizzonte). Ma ci deve essere un criterio almeno un po' oggettivo per valutare se vale la pena o no. Nell'ipotesi di un qualche accordo PD - 5Stelle sarebbe bene metterlo a fuoco: la Presidenza di una Camera? Qualche Ministro? Posti importanti di sottogoverno? Perchè no? Anche attraverso queste cose passano gli equilibri politici che poi determinano le scelte concrete. Ma in cambio di che? L'abrogazione della Legge Fornero? L'abrogazione del Jobs Act? L'istituzione del Reddito di Cittadinanza? Ci sono dei provvedimenti che hanno segnato la strategia di governo del PD, universalmente conosciuti (e fuori dai Bar dello Sport anche apprezzati) che non possono essere negoziati, se non si vuole rimettere in discussione la scelta strategica riformista che è il brand del PD. Brand spendibile anche nei prossimi anni, se non viene svenduto. Magari su questioni come queste è meglio tenere il punto, anche perché la politica non finisce con queste elezioni.


Secondo: vedo un infervoramento nei media che fanno capo ai salotti dei media e della finanza in favore del dare un'opportunità ai 5 Stelle, e un implicito appello al PD a consentirlo. Dopo avere speso chilometri di editoriali contro il populismo e la spesa pubblica, i congiuntivi di Di Maio e l'impresentabilità di Salvini, ora diventano pensosi interpreti dell'esigenza di confrontarsi coi 5 Stelle o addirittura entusiasti scopritori del ruolo di "nuova sinistra" per Grillo (aveva ragione De Benedetti...). Capisco Confindustria, che non è un partito e deve pure campare, e in fondo si limita a dire che si tratta di partiti democraticamente eletti, il che è vero. Mi rendo conto che per gli imprenditori sarebbe un guaio enorme sia l'abrogazione delle leggi sul lavoro sia nuove elezioni tra qualche mese, proprio mentre la ripresa cresce.

Ma esiste un compromesso che contempli il mantenimento del Jobs Act e della Fornero, la rinuncia al reddito di cittadinanza e alla lotta all'Euro in cambio della distribuzione di contropartite politiche? Se qualcuno ce l'ha venga fuori, altrimenti è meglio che ciascuno si assuma le proprie responsabilità di fronte ai cittadini, all'Unione Europea, ai Mercati. Ne parliamo tra qualche anno (o tra qualche mese...).

 

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