Creato da giuliosforza il 28/11/2008
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Trunken muss wir alle sein

Post n°914 pubblicato il 27 Giugno 2016 da giuliosforza

Post 843
Leggo nel Diario di Benjamin Constant una lode di Vincenzo Monti, fra noi per lo più irriso (basti pensare all'acido epigramma foscoliano: Questi è Vincenzo Monti cavaliero / gran traduttor dei traduttor d'Omero). Così invece il Losannese del disinvolto voltagabbana di Alfonsine: "Vado a Coppet, dove Madame de Staël è di ritorno. E vi giunge con me Vincenzo Monti. Egli ha una magnifica figura, dolce e fiera ad un tempo. Le sue declamazioni di versi sono interessantissime. Egli è un vero poeta, focoso, violento, debole, timido e incostante; un Andrea Chénier italiano, sebbene egli valga assai più di Chénier" (Diaro, p.137)
Esagerato. A meno che queste parole non celino del sarcasmo.
Amo Chénier, il martire della Terreur che scrisse: Sur des pensers nouveaux faisons des vers antiques, che è la summa dell'ars poetica che preferisco, quella che salva dalle imposture dei falsi neoteroi.
*
Così sinteticamente in quarta di copertina di una delle tante traduzioni italiane è presentato il capolavoro lirico goethiano, l'Östwestlicher Divan:
"Composto tra il 1814 e il 1827, Il Divano occidentale orientale è l'unico canzoniere del diciannovesimo secolo che si possa avvicinare, per ricchezza, densità e profondità di orizzonti, ai Fiori del male di Baudelaire. Goethe stesso lo definì come "contemplazione serena della mobile attività terrena, che si ripete sempre in cerchio o a spirale, inclinazione che ondeggia tra due mondi, tutto il reale spiegato e risolto nel simbolo". Con grande eleganza, e con un metodo compositivo allusivo e combinatorio, Goethe costruisce un libro concepito come un avventuroso e sperimentale viaggio poetico nei generi - Massime, Riflessioni, Parabole - e nei temi - Amore, Paradiso, Nulla - che molto deve alla tradizione dei Divani lirici arabi e persiani. Cambiando registro, tono e musicalità di sezione in sezione e di verso in verso, la traduzione di Ludovica Koch e Ida Porena è straordinariamente mutevole e insieme fedele nel rendere in italiano questo indimenticabile capolavoro".
Io ne posseggo l'edizione francese Aubier (1950) nella traduzione, con testo originale a fronte e una ricchissima serie di dotte annotazioni, del prof Henri Lichteberger della Sorbona. E non vi dico il piacere di una lettura che riserva sempre nuove sorprese, tanto, sotto i tuoi occhi, il poetico dialogo fra Atem e Suleika (una vera e propria amorosa tenzone) vive e si trasforma, sempre in nuove e più alte e sottili forme evolvendo, in un testo in cui lirismo misticismo pensiero pensante e poesia poetante si fondono e nel quale ogni metafora rimanda a un'altra sicché un caleidoscopio si genera di metafore di metafore rimandantisi e intrecciantisi senza posa come tu fossi immerso in un processo eterno di invenzione e reinvenzione.
Dall'Östwestlicher Divan sono tratti i versi che leggo in uno dei numerosi cartigli incollati sulla facciata interna della mia porta d'ingresso a ricordarmi, con Goethe Beeth Mann Hesse Lutero Nietzsche D'Annunzio... di dedicare, nulla dies sine linea, ogni giorno un momento di meditazione agli autori di cui più s'è alimentata la mia vita spirituale.

Trunken müssen wir alle seyn!
Jugend ist Trunkenheit ohne Wein;
Trinkt sich das Alter wieder zu Jugend,
So ist es wundervolle Tugend.
Für Sorgen sorgt das liebe Leben
DobbiamUnd Sorgenbrecher sind die Reben.

(Dobbiamo essere tutti sempre ubriachi! / La giovinezza è una ebbrezza senza vino; / il vecchio trincando ridiventa giovane, / è una virtù meravigliosa. / Alle preoccupazioni ci pensa la cara vita / e gli scacciapensieri sono le viti).

Le sbornie cui Goethe accenna son certo metaforiche, ma anche reali. Egli è un bevitore raffinato e incallito, vizio, o virtù, che passerà al figlio Augusto premortogli, di cirrosi epatica, a Roma nel 1830.
Non c'è bisogno di ricordare che l' Il faut être toujours ivres di Baudelaire è la traduzione letterale del primo dei versi sopra riportati.

E a proposito di sbornie, reali e metaforiche.
Sopra l'archetto in mattoni rossi della porta dell'osteria del mia paese era scritto in vernice nera su intonaco bianco: Chi beve poco è un agnello, chi beve giusto è un leone, chi beve troppo è un maiale. Firmato Mussolini.
Tutti i frequentatori dell'Osteria del Grottino, contadini artigiani boscaioli, reduci da tre guerre e da una massacrante giornata lavorativa di venti ore e tutti avvinazzati, non tenevano conto del moralistico richiamo ducesco. Ogni sera una sbornia, fra canti di guerra, del lavoro e d'amore, unico sfogo a una vita di stenti e di bestiali fatiche. Io, piccino, m'univo a quei canti, finché non venivo richiamato a casa dalla mamma infuriata. Su La scuola del Grottino scrissi per un giornale romano un articolo poi incluso in Studi Variazioni Divagazioni, che intendo riproporre in uno dei prossimi post.
_______________________

Chàirete Dàimones!
Laudati sieno gli dei, e magnificata da tutti viventi la infinita, semplicissima, unissima, altissima et absolutissima causa, principio et uno (Bruno Nolano)

 

 

 
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