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Messaggi di Giugno 2017

Diventa quello che sei. L'Académie. Amata phegea

Post n°952 pubblicato il 26 Giugno 2017 da giuliosforza

Post 875

   Sempre più mi confermo nell’idea che chi trova una fede l’ha sempre avuta, chi la perde non l’ha mai posseduta. Si diventa ciò che si è, si è ciò che si diventa.
*
   Un antico amico, che ha donato alla Bolivia la sua giovane vita di ottantatreenne da oltre cinquanta anni consacrata a Dio, mi fa osservare che io sono un semipanteista con qualche incoerenza. Si sbaglia, io sono un panteista totale, con molte incoerenze.

*
   Ancora curiosità su Jean d’Ormesson: il suo nome completo è Jean Bruno Wladimir François-de-Paule, comte D’Ormesson. Notare il Francesco di Paola, da una cui sorella egli dichiara di discendere.
   Come i miei cinque lettori sanno, io sono un bruniano verace, e come Bruno “academico di nulla Academia”. Eppure una bella feluca bicornuta non mi sarebbe dispiaciuta: sedere fra “i comuni Immortali”, come celia uno di essi, Jean d’Ormesson appunto, è stata sempre una mia malcelata ambizione. Ma nessuno, giustamente, s’è mai sognato di …accademizzarmi, anche perché, oltre che non facilmente domabile ed appigionabile, in nessun campo ho fatto qualcosa di così degno da farmi meritare un tale riconoscimento. Io sono pieno di boria, ma in sostanza sono quella che volgarmente dicesi una mediocrissima schiappa. Schiappa suona parola volgarotta, ma senza la s. Con la s è una grossa scheggia di legno, di quelle che allorquando, come avveniva anticamente, si abbatteva un albero con l’ascia, e poi con l’ascia si sbozzava il tronco per farne una trave (una di quelle travi possenti che ancora sorreggono i vasti soffitti dei palazzi principeschi, ben più resistenti nei secoli di un volgare cemento armato), veniva raccolta per alimentare nei lunghi inverni la fiamma del focolare: una degnissima fine. Ardere, ardere, ardere, questo avrei voluto fare nella mia vita e questo sono forse un poco riuscito a fare, almeno come umile attizzatore degli incendi appiccati al mondo da Bruno Nolano e da Friedriech Nietzsche di Röcken. Se esistesse dunque una accademia degli incendiari, mi ci vedrei, e potrei anche occupare uno dei più nobili scanni. (“Non ditelo alla plebe, che non capirebbe, ditelo soltanto ai veri saggi: ho una profonda predilezione per coloro che aspirano alla fiamma, che aspirano al rogo” – Goethe, Divan).

   Il conte d’Ormesson diventò uno dei Quaranta dell’Académie Française a 48 anni, uno dei più giovani della storia dell’Istituzione, e ancora adesso, a 92 anni, ne occupa degnamente il seggio numero 12. Le pagine che nell’Autobiografia dedica all’Accademia, rispondendo da IO giudicato alle sollecitazioni dell’ IO giudicante sono divertentissime, e alcune ne trascrivo per lo spasso dei miei cinque lettori.

   «Una sera della primavera del 1973 - un anno o due dopo l’uscita della Gloria dell’Impero- suona il mio telefono di casa. Era Morand, frettoloso come al solito. Faccio appena in tempo a rispondere che, sullo sfondo di un rumore di treno, si avvia una conversazione veloce e frammentata. ?Hai mandato la lettera?’ ‘Quale lettera?’ ‘La lettera di candidatura’. ‘Di candidatura a cosa?’ All’Académie’. ‘All’Académie?’ Non ci penso proprio’ ‘Mandala’. E riaggancia. Montherlant si era dato la morte con un veleno e un colpo di pistola in una data indimenticabile: il giorno dell’equinozio d’autunno, 21 settembre 1972. Ubbidii a Morand e mi candidai al seggio rimasto vacante in quai de Conti per la scomparsa dell’autore della Regina morta, del Gran maestro di Santiago e di Service inutile. Non mi sarebbe dispiaciuto parlare sotto la Coupole della grandezza di Roma, delle delizie dell’alternanza e di battute che mi avevano colpito: ‘Apritevi, porte della notte! Le porte si aprono. E dietro non c’è nulla’. Oppure: “In prigione! In prigione per mediocrità!’. Oppure: ‘Scorrete, torrenti dell’inutilità!’.Ma venni quasi subito a sapere che per il seggio di Monthérlant aveva in mente di presentarsi anche Claude Lévi-Strauss, che conoscevo ancora poco ma per il quale provavo una grande ammirazione. Claude Lévi-Strauss mi trattò con una cortesia stupefacente, come se fossi un suo pari. Non lo era. Mi ritirai.Poche settimane prima di Monthérlant, in una data anch’esse indimenticabile e assolutamente catastrofica per un personaggio pubblico – il 14 agosto 1972, nel pieno delle vacanze estive quando tutta la Francia pensa solo alla spiaggia e ai bagni – era morto un altro grande scrittore: Jules Romains.….Mi candidai al seggio di Jules Romains nel giugno 1973. Fui eletto in settembre. Mme Jules Romains, la seconda moglie dell’autore dei Copains, si chiamava Lise…Fu così gentile da regalarmi il mantello di suo marito.

   IO: Ci parli un po’ della Coupole del quai de Conti, traditore e mentitore bicornuto (accenno alla feluca, nota mia), dei suoi riti, dei suoi discorsi, delle sue bugie e delle sue liti, delle famigerate visite accademiche, alle quali, immagino, si sarà adeguato anche lei…
   IO: ho fatto quanto si doveva. Anche con un’ombra di ironia, non nei confronti dell’istituzione, ma di me stesso. Nessuno mi ha costretto a presentarmi all’Académie. Non mi ci hanno portato di forza, con le manette ai polsi. Nei confronti dell’Académie sono stato spesso critico. Non quanto Paul Valéry: ‘L’Académie è composta dalle più abile persone prive di talento e degli uomini di talento più ingenui’. Ancora da candidato ho raccontato alla radio o alla televisione la storiella dei due accademici che si incontrano; ‘Come sta il nostro collega Tizio?’ chiede il primo. ‘Oh! E’ mezzo rimbambito’ risponde l’altro. ‘Ah, replica il primo. Allora sta meglio’. Ma serbo solo buoni ricordi dell’Académie e mi guarderò bene dal dirne qualcosa di male.Al quai de Conti ho trovato anzitutto degli amici, forse quasi una famiglia. In pochi posti, gliel’assicuro, mi sono divertito così tanto. Lì le conversazioni sono sempre vivaci e molto libere, a volte persino brillanti.       All’Académie Française ho passato più di quarant’anni. Me lo ricordo benissimo che cosa pensavo da giovane degli accademici incanutiti nel loro mestiere: non erano cose tenere e loro avevano l’età che io ho adesso. Cerco di non sputare nel piatto dove mangio e al tempo stesso di non farmi delle illusioni sull’immortalità accademica. Lei, signore delle grandezze e delle cerimonie, se lo ricorderà certamente che cosa diceva Jean Cocteau: ‘Siamo immortali per la durata della nostra vita. Poi ci trasformiamo in seggio’». A questo punto d’Ormesson si diffonde, in maniera sempre spassosa, a parlare di molti suoi colleghi, della loro opera, dei loro pregi e dei loro difetti, dei loro tic, della loro storia pregressa, in alcuni dei quali compromessa col tragico periodo pétainiano, per altro mai rinnegato, delle reciproche invidie e cattiverie, piccolezze, manie… Passa a fare l’elenco dei grandi Accademici del passato, dal 1635, quando il cardinale di Richelieu la fondò per tenersi buoni gli artisti e gli intellettuali, ai giorni nostri, parla dei grandi esclusi Molière Rousseau Baudelaire, della grande rivoluzione da lui operata, facendo ammettere all’Académie la prima donna della sua storia , Margherite Yourcenar. «Diciamo, una volta di più, le cose come stanno; a torto o a ragione i miei stimabili colleghi non ne volevano sapere a nessun costo di una donna. L’Académie è una tribù. La tribù aveva i suoi riti. Non c’era alcun regolamento che vietasse l’accesso delle donne in seno alla vecchia istituzione. Ma c’era qualcosa di più forte del regolamento. Era la tradizione… Fu una battaglia durissima. Sono pariti insulti da tutte le parti. Mi trattavano come un mascalzone. Un collega mi ha accusato di sostenere la candidatura di una donna per farmi pubblicità». 
   Non mi diffonderò oltre, solo vi inviterò ancora una volta alla lettura dell’autobiografia d’ormessoniana, uno dei libri più belli, esilaranti, brillanti, ironici ed autoironici, insomma geniali, che vadano in giro in questo periodo di terribile secca, anche intellettuale. Un nobilissimo libro di un nobile di nome e di fatto capace di arrecarvi aliti di frescura nella canicola.

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Chàirete Dàimones!Laudati sieno gli dei, e magnificata da tutti viventi la infinita, semplicissima, unissima, altissima et absolutissima causa, principio et uno (Bruno Nolano)

 
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Pellegrinaggi. Ancora su D'Ormesson

Post n°951 pubblicato il 15 Giugno 2017 da giuliosforza

 Post 874

Nelle mie zone in questo periodo impazzano i pellegrinaggi, vivacissimi di colori e di canti urlati a piena gola, al Santuario montano (e ‘grottesco’, nel senso, absit iniuria, che è ricavato in una grotta, scavata a metà pendice sud del Monte Autore, sulle cui pareti è rozzamente dipinta da secoli una effigie trinitaria da sempre veneratissima -ci vorrebbe la penna del D’Annunzio del Trionfo della Morte per descrivere adeguatamente l’invasamento che possiede le ‘Compagnie’, giunte a piedi dia più remoti paesi del Lazio centrale e meridionale, e delle ‘plebi’ pellegrinanti che le compongono: di fronte a Vallepietra Casalbordino impallidisce) della Santissima Trinità. Ho spesso anche su queste pagine irriso consimili tradizioni e la loro ‘volgare ’ teatralità. Ma ora ci ripenso. Al di là dell’aspetto religioso (e superstizioso, la superstizione appartenendo essa stessa in qualche maniera alla sfera del sacro) dell’evento, che merita rispetto. in epoca di globalizzazione feroce ogni peculiare tradizione assume grande importanza: rappresenta una auspicabile salvaguardia delle individualità etniche al cospetto di un fenomeno che rischia di appiattire le sante diversità che stanno al mondo come l’individuo sta al gruppo, che di individui si determina e si sostanzia.Griderò dunque anch’io a squarciagola con le folle invasate (non son forse un dionisiaco?): evviva la Santissima Trinità!
*
Ancora su D’Ormesson.
Dei testi di cui sto mandando avanti la lettura, l’autobiografia di Jean D’Ormesson (quella che, romanzata, semplicemente coi nomi delle persone e dei luoghi cambiati e con qualche lecita operazione fantastica, è sostanzialmente già tutta in A Dio piacendo) rischia di essere il più interessante. In essa, i cui eventi appartengono a un periodo di storia da me convissuto (appena otto anni di differenza corrono tra me e lo scrittore francese) non solo ho conferma di notizie già a me note ma altre ne apprendo assai curiose circa personaggi che ho frequentato ed eventi di cui sono stato testimone. Innamorato per tante ragioni (anche afferenti alla mia vita privata) della Calabria, mi è avvenuto spesso di sostare a Paola , la città di quel Francesco che intese restaurare il primitivo spirito francescano, e a tal fine fondò un ordine religioso, quello dei Minimi, che ebbe larga diffusione in Italia e nel mondo. Francesco di Paola, vissuto a cavallo fra il XV e XVI secolo, fu famosissimo e veneratissimo per i molti miracoli che gli si attribuivano, il più noto e caratteristico dei quali fu l’aver attraversato lo stretto di Messina, in barba ad un pescatore che gli aveva negato un passaggio, scivolando sulle onde sul suo mantello, ragion per cui è invocato come protettore dei pescatori (perché non, in particolare, dei…surfisti?). Francesco visse gli ultimi venticinque anni della sua vita in Francia, chiamatovi da Luigi XI per farsi curare dai suoi numerosi malanni. Una sua sorella, che l’aveva seguito, avrebbe sposato, stando a D’Ormesson, un suo antenato, dando origine al ramo della nobile stirpe cui egli appartiene. Jean è una persona seria e documentata, e perciò credibile. La sua ironia non prevede il mendacio. Leggo: l’attuale Costanza romena non è che l’antica Tomi di Tracia, ove morì l’esiliato Ovidio. Ora si dà il caso che la vicenda ovidiana sia splendidamente romanzata dal romeno anche lui esiliato Vintila Horia nel famoso libro Dio è nato in esilio, scelto dai lettori per il premio Goncourt, poi negatogli per l’opposizione di alcuni membri ottusi dell’allora ultrarossa giuria. In quella occasione inviai a Horia, anche a nome del Circolo culturale giovanile ‘Giovanni Papini’ , una lettera di solidarietà alla quale ripose con un lungo scritto, redatto in perfetto italiano, che conservo tra i miei più cari cimeli. Leggo che predecessore di suo padre come ambasciatore in Brasile fu il ‘pio’ Paul Claudel, uno degli scrittori, col Gide maudit celebrato alla sua morte da Civiltà Cattolica come ‘avvelenatore di anime’, a me più cari, non tanto per essersi convertito, come egli stesso narra, al suono dell’organo in una notte di Natale a San Pietro (era in quel tempo ambasciatore presso la Santa Sede), ma per aver scritto, tra l’altro, quell’Annonce faite à Marie in cui il personaggio centrale Viviane ‘avverte’, nella notte di Natale, ‘le cose esistere in sé’. Quel Claudel che, sempre in Brasile, aveva voluto come addetto culturale il grande musicista Darius Milhaud. E leggo del Castello avito di Saint- Margeau, che nel romanzo diventa Plessis-lez-Vaudreuil, dei castelli della Loira forse il solo da me non visitato, ma più di una volta scoperto come ambientazione di alcuni episodi della serie televisiva Une femme d’honneur, reso in italiano il Comandante Florent la cui protagonista , la bella e brava Corinne Touzet in arte Isabelle, ha fatto e continua a fare compagnia (incredibile dictu!) ai miei ozi pomeridiani. E leggo di Buñuel e di Dalì’ e del loro Chien andalou (riferimento a Garcia Lorca?). E leggo dello zio Wladimir, negli anni Cinquanta ambasciatore presso la Santa Sede, rappresentante del Governo francese alla beatificazione, nel 1955, del Fondatore dei Frères Maristes des Écoles Marcellin Champagnat, alla quale ebbi anch’io modo di assistere.E leggo… Si parva licet, mi par di star leggendo la mia autobiografia!

 
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"Un immenso desiderio di festa"

Post n°947 pubblicato il 03 Giugno 2017 da giuliosforza

Post 873

Diario di tre giorni di Fuoco. “Desiderio immenso di festa”.

31 Maggio, ore 9

Dopo un anno il Wagner del foulard, come èdegli Immortali, ringiovanisce, io declino ma non mollo. Domani andremo dalVate (che, ne 'Il Fuoco', di luicelebrò da par suo morte ed esequie a Venezia) al Vittoriale a vivere un altrogiorno insieme, auspice l‘imaginifico’ Giordano Bruno Guerri.

(Questoconciso  messaggio, trasmesso, su fb, eraaccompagnato, di qui il suo senso, da una foto che mi ritrae con un foulardmusicale rosso, acquistato or sono trent’anni a Salisburgo, fermato da unanello  ritraente il Lipsiense. Senzaessa foto, che qui non mi riesce di riprodurre, il messaggio risulta criptico).

31 Maggio ore 21

"Non c'è via più sicura per evadere dal mondo chel'arte, non v'è legame più profondo con esso che l'arte". 
Così sul piedistallo di un bel bronzo moderno raffiguranteuna 'Venere sdraiata' situato lungo la gardesana occidentale di fronte al GrandHotel di Gardone, ai piedi del Vittoriale. Il detto è attribuito dallo scultorea Goethe, e nulla di più verosimile. Sto per salire dal Vate, per un incontrodi studi e d'arte ('Un immenso desideriodi festa') che si svolgerà al chiuso e all'aria aperta, nella magia di un giardinorestituito da Guerri a tutto il suo splendore, fino a notte alta nella quale lanuova illuminazione competerà col fulgore stellare.

1 Giugno ore 17

Leggo Jean D 'Ormesson (Au plaisir de Dieu) in un posto di cui presumo esistano pochi altrialtrettanto suggestivi al mondo:  unaveranda, la cui esistenza fino ad oggi m’era stata stranamente ignota, circondante il retro della chiesa di SanNicola, la parrocchia del Vate a Gardone alto, giustamente per tale motivo dalui detta, apprendo, più bella fuori che dentro.  A sinistra è il Vittoriale immerso nel verde,di fronte  il lago ‘fallico’ visibile daRiva fino a Sirmione, a nord il  monteBaldo dominatore. Gli ultimi turisti sono partiti, lo spettacolo è per me solo,solitario come un dio, e per una eterea fanciulla contemplante, solitaria comeuna dea. Che al confronto la piccola siepe leopardiana? L' infinito dilaga inme, si fa me, e non mi spaura.

1 Giugno, ore 20

Si riaprono i cancelli del Vittoriale, e lafolla irrompe a popolare il colle delle Arche che fan corona a quella di Lui, iclivi dolci che ne discendono, le vallette amene, i ruscelli canori  dell'’acqua savia’ e dell'’acqua pazza’, daMaroni convogliati, per volontà del Poeta, a formare il recuperato laghettodelle danze, i viali che fra breve si illumineranno di nuova luce, le stanzeesoteriche della Prioria. Dopo la 'cena al volo' che dovrò…sorvolare, inizieràla festa musicale, che, anch’essa, non mi potrò consentire. E’ tardi per ilVegliardo, e troppa per lui la folla. E mentre attraverso pensoso il piazzaledalmata nella mia foggia di lino bianco (coppola, pantaloni, lunga sciarpa) perrecuperare l’uscita , un bimbo, sulle spalle al babbo che s’avvia, invece, insenso inverso all’ingresso per la visita notturna,  indicandomi esclama: D'Annunzio! Gli sorridoaffettuoso e me ne esco con un banale: magari! Eppure non forse..."ex ore infantium veritas'?...

2 Giugno ore 9.

Son forse un bipolare? Dopo le esaltazioni ledepressioni, dopo il Vate, Giobbe: "putredinidixi: pater meus es; mater mea et soror mea vermibus”.

Questele brevi note di diario. Ma il programma previsto per la sera e la notte èricchissimo. Alle 18,30 acquisizione di documenti e  donazioni di opere pittoriche ispirate allafigura e all’opera d’annunziana da parte dei maestri Miki Carone, IginioIurilli, Mauro Poponesi. Particolarmente significativa la restituzione alVittoriale, da parte della Biblioteca di Torino, di opere e documentitrafugati  da uno dei Presidenti, di cuiGuerri si rifiuta di fare il nome, succedutisi alla guida della Fondazione.  A seguire “Magnifiche Presenze. GiovanniPascoli e Gabriele D’Annunzio” a cura di Alessandro Adami presidente dellaFondazione Giovanni Pascoli e di Marco Bonini sindaco di Barga.

IlGemellaggio Barga-Vittoriale fu tenacemente voluto da Guerri nonostante la suaevidente anomalia: nulla di fatti di più distante, in apparenza, fra i duepoeti, fra il loro stile d’arte e di vita e le loro concezioni politiche. Dicoin apparenza, perché se il rapporto dialettico fra i due protagonisti avevamesso in evidenza, pur sempre nel grande rispetto e nella grande stimareciproci, le diverse concezioni estetiche, nell’opera altri aspetti emergevanoche li rendeva più che sodali consanguinei, vedi la dilatazione e l’affinamentodel linguaggio, il panismo naturalistico e cosmico, i temi della natura, predominantinel Poeta di Alcyone e in quello di Myricae, e, in politica, la identicaposizione circa le aspirazioni colonialistiche dell’Italia. Non irrivelante chefosse il mite Poeta di Myricae, il‘socialista dell’umanità’, a perorare a Barga la ‘sacrosante’ ragionidell’impresa libica col famoso discorso “Lagrande proletaria si è mossa”, antecedendo nei contenuti e nel tono ild’annunziano proclama interventista di Quarto dei Mille. Fu decisamente unpeccato che la prematura morte, sopraggiunta l’anno seguente, impedisse  al Poeta di San Mauro di Romagna di prenderposizione nel dibattito già in quegli anni accesissimo fra artisti eintellettuali circa la questione dell’interventismo. Pur se i doppi,tenerissimi, melanconici, nostalgici (sehnsüchtige)quinari de l’ora di Barga non sisarebbero, con tutta probabilità, trasformati in guerreschi decasillabi (s’ode a destra uno squillo di tromba / asinistra risponde uno squillo), probabilmente  una bella ode classica magari in latino, diquelle che gli fecero vincere più di un concorso internazionale e  gli consentirono di costruirsi Barga - Carmina … dant panem!)- gliel’avrebbededicata.

Secondoprogramma la serata al Vittoriale proseguiva, me assente, con la Cena al volo, l’accensione del secondotratto dell’illuminazione notturna e il Notturnaletener-a-mente che prevedeva, alle 22,30,sulla Regia Nave Puglia,l’esibizione della Banda Osiris (“Le dolenti note”), alle 23,30, alla Fontanadel Delfino, quella del pianista Andrea Vizzini (“Silent WiFi Concert), e alle00’30nell’Anfiteatro, quella di Cesare Picco, ospite Piné Cuardelli (“Cronology ofBach). Troppo alta per me la notte, per potervi assistere. Ma già da due ore,dalla finestrella del B&B Taverna prospiciente il lago, io confidavo alleonde placate del Benaco i miei notturni pensamenti, le mie senilimalinconie,  per una volta più pascolianoche d’annunziano. perché li recassero all’Ombra del Veronese ancora vagante, nel rimpianto di Lesbia, fra i ruderidella sua villa  di Sirmio, poene insularum  insularumqueocellus. E ripetevo ai silenzi i versi che mille anni orsono, in quellabenedetta scuola dalla quale l’esercizio della memoria (memoria minuitur nisi eam exerceas) non era esecrato e bandito,mandai a mente e che solo ora, alle soglie dell’Orco, posso veramente intenderee pacatamente gustare.

Almio cantuccio, donde non sento / se non le reste brusir del grano, / ilsuon dell'ore viene col vento /dal non veduto borgo montano: / suonoche uguale, che blando cade, /come una voce che persuade. / Tudici, E` l'ora; tu dici, E` tardi, /voce che cadi blanda dal cielo. / Maun poco ancora lascia che guardi /l'albero, il ragno, l'ape, lo stelo, / cosech'han molti secoli o un anno /o un'ora, e quelle nubi che vanno. / Lasciamiimmoto qui rimanere / fra tanto moto d'ale e di fronde; /eudire il gallo che da un podere /chiama, e da un altro l'altro risponde, / e,quando altrove l'anima è fissa, /gli strilli d'una cincia che rissa. / Esuona ancora l'ora, e mi manda /prima un suo grido di meraviglia / tinnulo,e quindi con la sua blanda /voce di prima parla e consiglia, / egrave grave grave m'incuora: /mi dice, E` tardi; mi dice, E` l'ora. / Tuvuoi che pensi dunque al ritorno, /voce che cadi blanda dal cielo! / Mabello è questo poco di giorno /che mi traluce come da un velo! Lo so ch'è l'ora, lo so ch'è tardi; / maun poco ancora lascia che guardi. /Lascia che guardi dentro il mio cuore, / lasciach'io viva del mio passato; /se c'è sul bronco sempre quel fiore, / s'iotrovi un bacio che non ho dato! /Nel mio cantuccio d'ombra romita / lasciach'io pianga su la mia vita! /E suona ancora l'ora, e mi squilla / duevolte un grido quasi di cruccio, /e poi, tornata blanda e tranquilla, / mipersuade nel mio cantuccio: /è tardi! è l'ora! Sì, ritorniamo / doveson quelli ch'amano ed amo. 

Dove sono ancheGabriele e Giovanni.


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Chàirete Dàimones!

Laudati sieno gli dei, emagnificata da tutti viventi la infinita, semplicissima, unissima, altissima etabsolutissima causa, principio et uno (Bruno Nolano)




 
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