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9 marzo 1900, nasce Howard Hathaway Aiken

Post n°1802 pubblicato il 09 Marzo 2014 da tanksgodisfriday
 
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Dipartimento

  di fisica di Harvard, 1936. Il capo dipartimento Frederick Saunders ascolta la proposta del giovane professore di Fisica e Comunicazioni, Howard Hathaway Aiken: una macchina per automatizzare i lunghissimi calcoli necessari a risolvere equazioni differenziali.
«Mah, non è un'idea nuova, in soffitta c'è qualcosa del genere. Fattela mostrare da Carmelo Lanza.»

Lanza, uno dei tecnici di laboratorio, ha analizzato quegli ingranaggi di bronzo regalati ad Harvard dal figlio di Charles Babbage, molti anni prima. Sono parti della Macchina Analitica che Babbage ha progettato quasi un secolo prima, ispirandosi alle macchine tessili del francese Joseph Marie Jacquard, senza riuscire a portarla a completamento.
Aiken vede negli ingranaggi di Babbage la conferma che la sua idea non è sbagliata. La storia dei calcolatori è a una svolta.

Chi è Howard Hathaway Aiken

Howard è nato il 9 marzo del 1900 nel New Jersey, a Hoboken, da una coppia di immigrati tedeschi, Daniel H. Aiken e Margaret Emily Mierisch. Presto la famiglia si trasferisce a Indianapolis.
Il padre beve ed è manesco. A farne le spese è la mamma, che subisce continue violenze. Durante uno di questi episodi il dodicenne Howard prende un attizzatoio e costringe il padre a uscire di casa. Non si farà più vivo, lasciando moglie e figlio ad arrangiarsi.
Se la caveranno, Howard continuerà gli studi e contemporaneamente lavorerà per mantenere sé stesso, la mamma e la nonna (già, c'è pure una nonna).
Comincia installando telefoni per la locale società (più tardi si vanterà di aver installato tutti i telefoni del distretto a luci rosse di Indianapolis), poi, finito il liceo e sempre con mamma e nonna a carico, cambia città e lavoro: viene assunto a Madison dalla società che gestisce luce e gas. Il turno di notte gli lascia il giorno per studiare all'università, Electrical Engineering.
A 23 anni si laurea. Per i prossimi nove anni continuerà a lavorare nel ramo luce & gas, prima come tecnico, poi come manager. Ma non è la sua strada.

Quattro passi verso il computer

Nel 1932 Howard si sposta (sempre con mamma a seguito) a Chicago, per studiare fisica. Insoddisfatto dei programmi di Chicago, dopo nemmeno un anno passa a Harvard.
Nel 1938 si laurea, con una tesi sulla Conduzione di cariche elettriche distribuite nello spazio. Ma già nel 1935 ha cominciato ad insegnare Fisica a Comunicazioni nella stessa università.
Proprio preparando la tesi, alle prese con i lunghi e complessi calcoli necessari a risolvere le sue equazioni, Howard si convince che una macchina calcolatrice sarebbe di gran sollievo, e comincia a elaborare l'idea.
Cosa dovrebbe fare questa macchina? In estrema sintesi, nelle sue stesse parole, quattro cose:

  • dove le macchine calcolatrici utilizzano solo numeri positivi, le macchine scientifiche devono essere capaci di utilizzare indifferentemente anche i negativi 
  • quelle macchine scientifiche devono poter utilizzare funzioni come logaritmi, seni, coseni e un gran numero di altre funzioni 
  • il computer sarebbe più utile per gli scienziati se, una volta messo in moto, risolvesse il problema per numerosi valori numerici senza intervento prima che il calcolo sia finito 
  • e la macchina dovrebbe contare le linee invece delle colonne, che è più in accordo con la sequenza di eventi matematici 

Partorita l'idea, c'è da realizzarla.

Mark I, II, III e IV

Dopo il colloquio con il prof. Saunders, Aiken riesce ad ottenerne uno con George Chase, direttore della Ricerca alla Monroe Calculating Company. L'idea piace a mr. Chase, ma la Monroe non accetta di affrontare l'investimento. Così è Chase stesso a presentare Aiken a un matematico consulente della IBM, che gli procura un incontro con Thomas Watson, il boss della IBM.
Stavolta è fatta, la IBM accetta di investire. Serviranno 250.000 $ e quattro anni, dal 1939 al 1943, perché l'Automatic Sequence Controlled Calculator, per gli amici Mark I, veda la luce.
Dal lato suo, l'università di Harvard non brilla per preveggenza: accorda ad Aiken un finanziamento pari a un quarto del suo stipendio annuo, in cambio di un'opzione su un quarto del tempo di calcolo della macchina.

Una volta completato, Mark I è un bel mostro da quattro tonnellate e mezza, alto due metri e quaranta e lungo sedici, per una profondità di mezzo metro. I suoi 765.000 componenti elettromeccanici sono collegati da centinaia di chilometri di cavi.
Mark I viene spostato dal laboratorio IBM di Endicott, vicino New York, ad Harvard, dove sarà impiegato per una decina d'anni, prima per scopi bellici (la seconda guerra mondiale è ancora in corso), poi per fini didattici.

Non è veloce, ma lavora giorno e notte per sette giorni a settimana, una sirena avverte quando si inceppa. Memorizza fino a 72 numeri di 23 cifre, con relativo segno più o meno, esegue tre addizioni al secondo, mentre per un logaritmo o un seno impiega poco più di un minuto.
Andrà meglio con i suoi successori, Mark II (1947), III e IV (1952). A questo punto il calcolatore è diventato decisamente più veloce, avendo incorporato via via diverse tecniche e tecnologie. L'architettura è rimasta però la stessa: dati e istruzioni sono su memorie separate, è l' architettura Harvard, ancora utilizzata all'interno dei microprocessori (i cosiddetti core).
L'altra architettura, quella di von Neumann, nata più o meno contemporaneamente, prevede invece una sola memoria per dati e istruzioni, ed è quella utilizzata ancora oggi e da sempre nei pc.

Un'infelice predizione, ma forse non fu lui

Aiken è ricordato oggi per due motivi: la famiglia di calcolatori Mark (e quindi la nascita dell'era moderna del calcolo), e un'infelice predizione, sulla quale, in verità, i biografi non sono d'accordo.
Intanto c'è chi la attribuisce ad Aiken e chi la mette in bocca a Thomas Watson. C'è, però, anche chi mette in dubbio che sia mai stata realmente pronunciata.
Premesso questo, ecco la predizione:
«Only six electronic digital computers would be required to satisfy the computing needs of the entire United States.»
Oggi ci sono più di sei computer negli Stati Uniti, ma anche se quella frase fosse stata realmente pronunciata da uno dei due, credo che nulla toglierebbe comunque alle doti di visione di entrambi.

Buona domenica.

[Tutti i post su compleanni.]

 

 
 
 

29 febbraio 1860, nasce Herman Hollerith

Post n°1799 pubblicato il 28 Febbraio 2014 da tanksgodisfriday
 
Foto di tanksgodisfriday

Il

  nome di Herman Hollerith suonerà sicuramente familiare agli informatici di una certa età; per intendersi, a quelli che, come me, quando hanno cominciato erano solo vagamente consapevoli di entrare in un nuovo mondo.

In quel tempo, al momento di scrivere un Programma per il Calcolatore (non era ancora un computer o un server), si cominciava preparando un Diagramma di flusso (non era ancora un flow-chart) con carta e matita. Si proseguiva con gli stessi attrezzi a scrivere in Fortran le istruzioni (più tardi le avrei chiamate code lines). Poi ci si sedeva alla macchina perforatrice, per tradurre le istruzioni in schede perforate

Successivamente si depositava il pacchetto di schede in un vassoio all'entrata del Centro di calcolo e si attendeva per un congruo numero di ore di ritrovare in un secondo vassoio il tabulato prodotto dal programma e il pacchetto di schede.
Sembra sia passata un'eternità.

Le schede perforate hanno popolato per anni i miei incubi peggiori, grazie alla quantità di prova-riprova di programmi in quell'inverno-primavera del 1976, in cui completai la tesi di laurea.
Il centro di Calcolo era quello di Fuorigrotta a Napoli, ospitato nel parco di Edenlandia. Ricordo che bisognava prestare estrema attenzione a non sbagliare cancello di entrata.
Hollerith, Herman per gli amici, era il nome indissolubilmente legato alle schede perforate, per esserne stato l'inventore, molti, ma molti anni prima.

Correva il 1880 e negli Stati Uniti si preparava il Censimento decennale. È infatti dal 1790 che, ogni dieci anni, negli US se ne fa uno. I dettagli sono resi pubblici solo 72 anni dopo, per motivi di privacy. Oggi, ad esempio, si possono leggere i dettagli fino al censimento del 1940.
Il nostro Herman, appena ventenne, viene arruolato come statistico. Anche se fresco diplomato, ha una buona esperienza di meccanica, e si rende subito conto che velocizzare l'operazione di memorizzazione e conteggio dei dati raccolti porta a porta sarebbe di enorme valore economico, consentendo di tagliare costi umani e tempi di esecuzione: l'analisi dei dati del 1880 finirà nel 1885, per farsi un'idea.
Il prossimo censimento è nel 1890, quindi il nostro Herman si mette all'opera.

L'ispirazione gli è stata fornita dal suo mentore all'Ufficio Statistico, John Shaw Billings, che gli procura anche un'altra ispirazione, tramite sua figlia Kate Sherman Billings.
Ma se con Kate non caverà un ragno dal buco, nonostante tenti di far colpo in tutti i modi, l'altra ispirazione si rivela vincente.
Agli inizi del secolo, il francese Joseph Marie Jacquard ha inventato un nuovo tipo di telaio per la tessitura, che è in realtà un vero calcolatore meccanico, concettualmente in anticipo di un paio di secoli. Il "programma", cioè le istruzioni di tessitura, sono memorizzate in un nastro perforato che viene "letto" mentre scorre, così guidando l'azione del telaio. 

Ecco l'ispirazione suggerita dal dott. Billings: memorizzare un'informazione nella presenza o assenza di un buco.

C'è però un altro passo fondamentale da compiere. Le informazioni sarebbero memorizzate, l'una dopo l'altra, in un nastro abbastanza lungo. Se devo correggere un'informazione dopo che l'ho perforata, ne viene fuori un pasticcio, devo buttar via tutto il nastro.
Se, invece, abbandonassi il nastro e adoperassi una scheda per ogni elemento da memorizzare, una per ogni persona censita, il problema sarebbe risolto. Senza contare che schede singole possono essere anche raggruppate facilmente secondo determinati criteri, ulteriormente semplificandone l'analisi.
Lo spunto pare che gli nasca in treno, quando un giorno si trova a guardare con attenzione il biglietto che ha tra le mani, appena perforato dal controllore.

Herman Hollerith sviluppa l'idea: ci fa una tesi di laurea e un prototipo per la gara che dovrà scegliere nuove tecnologie per il censimento del 1990.
La prova consiste nel trascrivere e tabulare un campione di dati di 10.491 abitanti di St Louis, presi dal censimento precedente.
Si presentano in tre: William C. Hunt, che propone la trascrizione con colori differenti delle varie informazioni; Charles F. Pidgin, con delle schede di colori diversi, per poter identificare rapidamente il tipo di informazione cercato; il nostro Herman, con le schede perforate a lettura elettrica, e una macchina tabulatrice per poter contare le schede con una certa caratteristica comune.
Stravince Herman, il suo sistema consentirà di estrarre più informazioni in un tempo molto inferiore.

Una volta affermata la sua idea, Herman (che nel frattempo ha sposato Lucia Beverly Talcott, da cui avrà sei figli: Lucia, Nannie, Virginia, Herman, Richard, e Charles) fonda nel 1896 la Tabulating Machine Company, un'azienda per la produzione di macchine per la tabulazione di dati.
Più tardi, nel 1911, la TMC si fonde con altre due società: la Computing Scale Company e la International Time Recording Company. Dalla fusione nasce la Computing Tabulating Recording.
Ancora tre anni e in azienda arriva un nuovo General Manager, Thomas Watson, che in una decina d'anni porta la società all'eccellenza. Nel 1924 la CTR cambia nome e diventa la International Business Machines Corporation, meglio nota come IBM.

Tutto fondato su dei buchi, verrebbe da dire.

Buon venerdì.

[Tutti i post su compleanni.]

 
 
 

Nicole-Reine Lepaute, ovvero le Calcolatrici

Post n°1782 pubblicato il 05 Gennaio 2014 da tanksgodisfriday
 
Foto di tanksgodisfriday

Il

  cinque di gennaio del millesettecentoventitré, nel palais du petit Luxembourg, Marie Anne Langlois dà alla luce una bimba, Nicole Reine, per la gioia del papà, Jean Etable, domestico della defunta Madame la Duchesse de Berry.

La Duchesse, al secolo Marie Louise Élisabeth d'Orléans, se n'era andata appena ventiquattrenne qualche anno prima, nel 1719, chiudendo un periodo di eccessi di ogni genere per il palais du Luxembourg, cominciati ancor prima che il marito Charles, duca di Berry e zio del futuro re Luigi XV, morisse per le ferite riportate in un incidente di caccia, nel 1714. Comunque anche la buonanima del duca s'era dato da fare per conto suo.

Ma torniamo alla nostra piccola Nicole Reine. Mentre cresce studiosa e piena di curiosità scientifiche (l'Astronomia è il suo pezzo forte, ed è bravissima nel calcolo), i suoi genitori le alleggeriscono il nome in Hortense.
"La belle Hortense" (probabilmente viene su anche carina) è poco più che ventenne quando al Palais arrivano i fratelli Lepaute, costruttori di orologi, per installarne uno di nuova concezione.
Tra lei e Jean André Lepaute è subito intesa su tutti i fronti: affettivo, certo, ma anche intellettuale, lei è un'Astronoma e lui un Orologiaio.

Che c'azzeccano? Da quando, nel 1714, il Parlamento inglese ha emesso il Longitude Act (20.000 sterline per chi avesse trovato un metodo preciso e affidabile per misurare la longitudine), si è aperta la competizione tra astronomi e progettisti di orologi.
Il metodo proposto dagli astronomi si basa sulla posizione reciproca dei pianeti e della Luna, con calcoli complicati a piacere.
Gli orologiai ribattono con un metodo molto semplice, almeno da raccontare: se a bordo ho un orologio con l'orario del punto di partenza e uno con l'ora locale, dalla differenza di orario tra i due orologi so che porzione della rotazione terrestre ho percorso, quindi so di "quanta longitudine" mi sono spostato. Tutto sta a progettare un orologio che sia preciso nel tempo e non risenta di umidità, temperatura, movimenti e inclinazione della nave.
È facile immaginare quanto fermento intellettuale e creativo si sia formato nel 700 intorno agli orologi.

Jean André non è in competizione per la Longitudine, ma è comunque un virtuoso dell'orologeria, al punto da diventare Horloger du Roi: sono suoi quello dell'Hotel de Ville, degli Invalides, del Palais Royal.
Con l'aiuto delle conoscenze d Astronomia e di calcolo di Hortense, che ha sposato nel 1749, costruisce un orologio astronomico (orario + posizione dei corpi celesti) che gli vale l'apprezzamento dell'astronomo Jérôme Lalande, dell'accademia Francese delle Scienze.

Nel 1758 anche per la coppia Lapaute arriva una competizione, la offre la cometa di Halley.
Diversi anni prima, nel 1682, è apparsa una cometa, in cui l'astronomo Edmond Halley riconosce gli stessi dettagli descritti nelle comete comparse nel 1607 e, prima ancora, nel 1531.
Si tratta della stessa cometa - ipotizza Halley - che descrive un'orbita intorno al sole e passa quindi con regolarità. Il prossimo passaggio, prevede, è per il 1758, circa.
La sfida, la competizione è eliminare quel "circa" determinando esattamente quando passerà, attraverso il calcolo dell'orbita della cometa.

La base matematica la mette giù il matematico francese Alexis Clairault: la cometa disegna un'ellisse intorno al Sole, la cui traiettoria è alterata da Giove e Saturno, i soli pianeti a esercitare un'attrazione significativa.
Serve però fare una montagna di calcoli, per ricostruire l'orbita a partire dal passaggio del 1682. E guai a commettere anche un piccolo errore, da lì in avanti i calcoli porterebbero da un'altra parte.

Clairault coinvolge Lalande, che tira in squadra i coniugi Lepaute. In verità è lei, Hortense, la vera forza della squadra, con la sua abilità prodigiosa e precisione nel calcolo.
È una corsa contro il tempo, occorre completare il calcolo dell'orbita prima che la cometa sia avvistata. Lalande racconterà di sei mesi passati a calcolare, dal mattino fino alla sera, senza smettere nemmeno per pranzo.

Finalmente, nel novembre del 1758, Clairault annuncia il risultato del lavoro all'Accademie royal des Sciences: la cometa, ritardata dall'attrazione di Giove e Saturno, sarà avvistata a metà gennaio e sarà al perielio (il punto più vicino al sole) il successivo 13 aprile.
È quasi esatto. Agli inizi di dicembre la cometa viene avvistata e sarà all'apice con un mese di anticipo sulla previsione, il 13 marzo del 1759, ma l'errore commesso è accettabile, vista l'approssimazione con cui è stato possibile stimare la massa di Giove e Saturno.

Si tratta di un trionfo per Clairault. Lode a Hortense? No, Clairault divide gli onori con gli altri due, ma non con lei.
Il perché ha l'aspetto di una donna, Marie-Anne Gouilly, calcolatrice anche lei, femme fatale (un ufficiale si è fatto saltare le cervella per esserne stato rifiutato) e amante di Clairault.

L'omissione crea attrito tra Lalande e Clairault, ma non verrà mai rettificata.
Hortense si vendica a modo suo, raccomandando la rivale all'Académie de Béziers: "È un'ignorante, non va oltre l'addizione e i lavori che pubblica non sono farina del suo sacco".
Evidentemente anche Clairault, che pure ne apprezza la presenza nel letto, non deve averla giudicata all'altezza della sfida di calcolo. Comprensibile l'astio di Mlle Gouilly.

Hortense calcolerà ancora, anche se la vista è irrimediabilente compromessa. Prevederà con esattezza l'eclissi solare del 1764.

Il tempo si porterà via uno dopo l'altro gli attori principali: Clairault (1765), Hortense (1788) e Jean André (11 aprile 1789).
La Rivoluzione è alle porte, Lalande la attraverserà senza conseguenze, anzi rafforzando la sua carriera di astronomo. Se ne andrà nel 1807.

Buona domenica.

[Tutti i post su compleanni.]
[Nella foto Mme Lepaute, in vita e come cratere lunare a lei dedicato.]

 
 
 

Sir John Harrington

Post n°1616 pubblicato il 26 Ottobre 2010 da tanksgodisfriday
 
Tag: storia
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Alla
 prossima giornata negativa devo ricordarmi di rivolgere un pensiero grato a Sir John Harrington.

Nato in Inghilterra nel 1561, fu alla corte di Elisabetta I, compose poesie, scrisse trattati, coniò aforismi. Il più noto: «Il tradimento non ha mai successo, perché, quando ha fortuna, nessuno osa più chiamarlo tradimento».
Cinico, ma realista.

Sir John Harrington fu anche un precursore: consentì alla regina Elisabetta un'esperienza che avrebbe cominciato a diffondersi solo due secoli dopo, per diventare comune ancora un ulteriore secolo dopo: il cesso moderno, quello con lo sciacquone.
Lo chiamò Ajax. Niente a che vedere con l'omonima e recente tecnologia web, il termine deriva dalla contrazione di "a jakes", letteralmente "un cesso". Anche pragmatico, Sir John Harrington.

E dunque, eccoci alla gratitudine per il poeta ed inventore inglese di quasi 500 anni fa: se la giornata è decisamente negativa, metaforicamente classificabile come "di cacca", bene, so che un rimedio esiste, basta seguitare la metafora e azionare lo sciacquone.

Buon mercoledì, con l'augurio di non aver bisogno di rivolgersi alla memoria di Sir John Harrington.

[Nell'immagine: il brevetto del primo wc della storia.]

[Tutti i post su storia.]

 
 
 

L'Unità d'Italia

Post n°1507 pubblicato il 09 Maggio 2010 da tanksgodisfriday
 
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Quanti
 ricordano le vicende che portarono all'Unità d'Italia?
Sentimenti "padani" a parte, credo che il problema reale sia tutto qui: non conosciamo la storia.

Tutto sparito dalla memoria: i fermenti che percorsero la penisola, le ribellioni, l'incredibile avventura dei Mille, Roma capitale. E ancora: il terribile 1848, che scosse l'intera Europa con la sua Primavera dei Popoli. Una volta si diceva "faccio un quarantotto", proprio per indicare subbuglio e scompiglio.
Proprio quell'anno due tipi mettevano giù un programma che, nel bene e nel male, avrebbe cambiato la storia del mondo: Karl Marx e Friedrich Engels pubblicavano il Manifesto del Partito Comunista.

L'abbiamo studiato a scuola, o almeno avremmo dovuto. O quanto meno un prof di Storia si sarà sbattuto per interessarci all'argomento, sopraffatto da altro.
Una volta l'altro era solo il calcio, a braccetto con la scarsa voglia di studiare. Oggi si sono aggiunti: isole, fratelli più o meno grandi e guardoni, veline, tronisti. Insomma, qualunque cosa possa aiutare a passare dall'altra parte del video, unica vera residua misura del successo personale in questo paese.

Ma la storia cammina, non a tutti è sfuggito che l'Unità d'Italia non è completa.
Si, c'è chi la vorrebbe frantumare quell'Unità, in nome di fantasiose stirpi e di egoismi da condominio, più che territoriali. O forse il problema è che l'Italia è Un paese troppo lungo, come titola il saggio di Giorgio Ruffolo.

Ma c'è anche chi quell'unità vuole completarla, cancellando un'ultima macchia, la residua diversità sul nostro Suolo. Era già successo il 25 marzo, è capitato di nuovo ieri: stiamo saggiando la resistenza di san Marino.
In marzo si era trattato di un solo veicolo, ieri mattina, alle 11.20, "secondo quanto reso noto dalla Gendarmeria, è stato segnalato l'ingresso in territorio sanmarinese (al confine di Stato di Dogana) di alcuni veicoli dell'Esercito italiano". Ben "cinque mezzi marca Iveco, mod. Vm-90 su cui viaggiavano circa trenta militari in uniforme, del Reparto Lagunari 'La serenissima' di Venezia".

Naturalmente abbiamo dissimulato l'attacco. La versione ufficiale è che il navigatore GPS del capo-convoglio non ha tenuto conto dei confini di stato e ha indicato al pilota il tragitto più corto. Buono per chiunque, ma non per l'Esercito Italiano.
Direi che regge, è credibile. E però San Marino vigila, completare l'unità sarà dura.

Buona domenica e auguri alle mamme.

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