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Messaggi del 16/01/2015

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Post n°521 pubblicato il 16 Gennaio 2015 da enodas

 

 

 

Era apolide. Nel senso che non ebbe mai passaporto. Non poteva essere presente quando i suoi dipinti venivano esposti. Non poteva osservare i dipinti presentati dai suoi contemporanei, se non per immagini riportate. Eppure giunse talvolta a soluzioni estremamente simili.
Ma sorattutto, non doveva essere una personalità semplice. Il suo sguardo passa attraverso un foglio di carta ed un segno a matita, profondo entro abissi sconosciuti, come in una successione di ritratti che trascendono il volto dell'uomo e lo caricano di significati, di simboli appunto, dell'artista eroe che sacrifica se stesso. Si apre così, sui ritratti, nel corso di una breve esistenza - poco più di quarant'anni appena, la mostra su Giovanni Segantini. Si apre su una delle parole chiave, Simbolismo, filone da cui declinano molte delle opere in mostra. A partire da se stesso. Ciò che veniva rappresentato era più di una figura, ma una concatenazione di idee, una reazione emotiva, uno sguardo oltre.
E prosegue, per temi, intrecciati alla vita, di Segantini. Di sala in sala, si entra nel mondo milanese, si attraversano gli sguardi dei ritratti, si osservano le nature morte. Fino ai grandi paesaggi, lontano dalla città, quindi verso le montagne, tutti accostati a dei bozzetti, ripresi come variazioni di uno spartito su cui stendere la melodia definitiva, alcuni addirittura modificati, stravolti, colore sopra colore, figura sopra figura. C'erano poi le suggestioni letterarie, quelle di un periodo in forte trasformazione, il progetto per l'Esposizione di Parigi ed infine il tema della maternità. Un'ossessione, un solco profondo, nella vita di un uomo rimasto orfano in tenera età.
Non doveva essere una personalità semplice. Passato di mano da bambino, recluso per vagabondaggio, infine avviato alla nascente fotografia. Il disegno, la pittura, lo salvarono e lo fecero emergere prepotentemente come figura di spicco e sensibilità cristallinia. Riflettendo sulle emozioni e sui significati intrinsechi, sulla potenza del colore, sui tratti brevi ed intensi con cui essi venivano applicati.
E questo mi é piaciuto della mostra, l'avermi fatto conoscere ed approfondire un nome che non conoscevo raccontandomi al tempo stesso una storia, quella dell'uomo accanto a quella della fine di un secolo e l'ingresso nel Novecento, periodo critico di passaggio culturale. Lungo una serie di dipinti intensi e di grande bellezza, che recavano un'unica, profondissima, firma.

 

 

E' un colore intenso e pastoso. Più mi avvicino, più diventa denso, spesso. E' un azzurro fatto di rosa, di verde, di blu.
E' uno sguardo assorto e silenzioso. E rimanendo a fissarlo appare chiaro che é ciò che accade dietro, oltre una finestra, la riflessione stessa di quegli occhi fissi in un punto nel vuoto.
E' quasi un cerchio, quello che si disegna sull'acqua. E nella luce crepuscolare sembra quasi risplendere il suono di una campana, lontano, in un silenzio che ha colore. Riflessi in movimento. A fronte di infinite variazioni, una accanto all'altra. Riflessi nell'acqua, in un cerchio perfetto, ed una scena umile e tenera che risplende.
Risplende. Come la luce. Una luce luminosa, calda, che prende corpo. Attraverso quel colore, così fitto, così spesso, e quei tratti, uno sull'altro, strato su strato. Nei paesaggi più ampi, su vette irraggiungibili, o dentro il focolare degli umili, quando una fiamma risplende sul volto di due madri messe a confronto. E la tenerezza di questo legame, profondo, può trasformarsi in cruda allegoria di figure al limite del fantastico, o declinare sull'abbraccio della vita, prima di tornare a quel mondo semplice  di luminosa umiltà.

 

 

"Giovanni Segantini (1858-1899), uno dei più grandi artisti europei di fine Ottocento, ebbe in Milano una vera e propria patria dello spirito, una città di riferimento per tutta la sua breve vita. Anche a seguito del trasferimento nei Grigioni, infatti, Milano continuerà a restare il fulcro della parabola segantiniana e piazza favorita per l’esposizione delle sue opere.
Il suo avventuroso pellegrinaggio dai colli della Brianza alle creste granitiche dell’Engadina narra la storia straordinaria della creatività culturale che si sviluppò nelle valli tra l’Italia e la Svizzera all’inizio del secolo scorso.
[...]
Nell’anno che precede l’Expo, la mostra è una straordinaria celebrazione della “milanesità” dell’artista: un’intera sezione è dedicata proprio agli esordi milanesi del pittore, che con il suo ingresso all’Accademia di Brera diede il via a un promettente e fecondo percorso artistico. Pittoreschi scorci dei Navigli rievocano lo splendore della Milano di fine Ottocento.
Non mancano sezioni dedicate alla natura morta e al ritratto. "Costume grigionese", "La mia Famiglia", "Ritratto della Signora Torelli" e alcuni autoritratti, non sono in mostra solo per permettere allo spettatore di ripercorrere i legami affettivi dell’artista, ma soprattutto per testimoniare la sua indubbia potenza di ritrattista.
Immancabile, poi, il percorso dedicato a Natura e vita nei campi. Un nutrito numero di quadri, tra i quali possiamo citare i bellissimi "Sul balcone" e "L’ultima fatica del giorno", esalta il ruolo della montagna nella sua opera pittorica, che offre in mostra uno spaccato del paesaggio alpino, con le sue scene di vita nei campi, i suoi costumi caratteristici e una peculiare rappresentazione della società contadina.
La sezione Natura e Simbolo, nella quale si possono ammirare i celeberrimi "Mezzogiorno sulle Alpi" e "La raffigurazione della Primavera", esplora il dualismo iconografico caro a Segantini: una fusione tra i due opposti che determina la ricchezza del suo linguaggio.
Infine, a ideale conclusione del percorso della mostra, una sezione dedicata al tema della maternità ospita "L’Angelo della vita" e "Pascoli di primavera", capolavori delle istituzioni milanesi: la Galleria d’Arte Moderna e la Pinacoteca di Brera.
Una nutrita raccolta di lavori provenienti da numerose e importanti istituzioni museali europee e statunitensi, a cominciare dal Museo Segantini di St. Moritz, che si fa testimone, attraverso il cammino artistico, della stessa vita del maestro: dall’infanzia trascorsa nella vivace metropoli post-unitaria, al trasferimento sulle Alpi svizzere, uno degli ultimi, incontaminati, paradisi naturalistici."

(dall'Introduzione alla mostra)


[...]


 

 
 
 
 
 

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