Creato da Franzhi il 13/06/2006

Racconti a pezzi

Racconti Liberi a Puntate

 

 

LAVORI IN CORSO

Post n°46 pubblicato il 05 Aprile 2007 da Franzhi

Non me l'aspettavo, ma dopo:

  • aver vinto il premio speciale "Isimaro" Aprile 2007 ;
  • essere stato invitato da Scrittoripercaso a partecipare al suo blog,

ho bisogno di riflettere un pò. Ogni tanto ci vuole...

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A presto

 
 
 

Depressioni carsiche 8 - The End

Post n°45 pubblicato il 25 Marzo 2007 da Franzhi
 

Per risalire dobbiamo issarci a forza di braccia lungo la corda che ci aveva consentito la discesa. Non è per niente facile, intorno è tutto scivoloso. Il primo a riemergere è Ernie, lo spingiamo su dal culo, finchè trova un appiglio, appena fuori dal buco che ci ha inghiottiti. Poi è la volta di Pietro e Giorgio, alla fine tocca a me, mi tirano su prendendomi per le braccia, siamo di nuovo nell’antro dell’inizio. Quegli stessi raggi che filtrando da in cima, attraverso le fenditure della grata, prima apparivano eterei, sembrano ora di una consistenza densa, quasi palpabile. Risaliamo uno alla volta la scala che ci riporta fuori, sembra la fine di un brutto sogno. Il bello delle grotte, dice Pietro, è quando esci.

Penso che ha ragione, ma credo anche che passerà un bel po’ di tempo prima che io rimetta piede lì dentro. Oltre a questo, non abbiamo nient’altro da dirci. Ci ripuliamo alla meglio e ci cambiamo i vestiti, marroni di argilla. Prima di rientrare a casa per una doccia purificatrice ci fermiamo a bere un goccio vicino al monumento ai ragazzi del ‘99, quattro grappe senza vezzi per festeggiare la quasi riuscita della spedizione. Pietro e Giorgio sparano qualche cazzata seduti con la schiena appoggiata al muro, imitando l’atteggiamento dei vecchi ubriaconi con la pancia, ma dura poco. Ernie ci saluta ed io non ho voglia di dar corda alle loro scempiaggini. Poi si lasciano cullare dal defluire dell’adrenalina e dal ricordo della grappa, e calano in un silenzio meditativo, ciascuno per proprio conto. Risaliamo in macchina. Non siamo molto loquaci nemmeno oggi.

Non è cambiato tanto da quella domenica di ritorno da Duna Verde, ma fa più fresco, i finestrini sono chiusi e possiamo sentire i Pink Floyd dall’autoradio. Lasciamo giù Pietro, che come sempre capita da qualche mese a questa parte, se ne andrà a dormire e spegnerà il cellulare con la speranza che arrivi presto lunedì. Poi saluto Giorgio, con le solite frasi che non vogliono dire niente. Penso che ormai sarei in grado di costruire un dialogo con lui senza averlo di fronte. Ho la sensazione che dalla terrazza di Duna Verde alla grotta sul Montello non è cambiato niente, stiamo solo peggiorando un po’, sempre più sperduti nei meandri dei nostri ingranaggi cerebrali ingolfati di granelli di sabbia, grumi di argilla, mojito e birre.

Parcheggio la macchina e, mentre chiudo il cancello di casa, penso che è strano, ma non saprei davvero dire come siamo passati da quella terrazza alla grotta che ci ha risputati fuori laceri, pieni di fango e tuttavia ancora fermi, ciascuno al suo punto di partenza. Eppure, le cose sono andate proprio così, senza una spiegazione logica.

The End

 
 
 

Depressioni Carsiche 7

Post n°44 pubblicato il 18 Marzo 2007 da Franzhi
 

Ernie non ricorda questo bivio e non sa da che parte andare, il che conferma le mie tacite considerazioni sul suo ruolo di guida principiante. Ne approfittiamo per riposarci un po’ e dare un’occhiata intorno. Pietro scopre una stanza un po’ più piccola, terribilmente buia. Ci accomodiamo su due scalini di fango, spegniamo le pile e accendiamo una sigaretta nella pancia della terra. Avremo fatto forse cinquecento metri, strisciando e camminando curvi a quaranta metri sotto la crosta, ma siamo stanchi come dopo il primo tempo di una partita di calcio. Ormai abbiamo tutti i piedi bagnati e i capelli impiastricciati di fango, come le mani e i vestiti. Sento il mio respiro e quello degli altri riprendere, un po’ alla volta, un ritmo regolare. Poi è solo il crepitio della brace, unico punto luminoso danzante da una mano all’altra, arancione intenso, nel nero che ci avvolge.

Giorgio dà l’ultimo tiro e d’improvviso tutto torna buio. D’impulso, come guidati da un istinto ancestrale, riaccendiamo le pile, riprendiamo a parlare. Il buio fa paura. Decidiamo di ripartire prendendo uno dei due tronconi in cui si biforca il cunicolo, secondo Ernie, non dovrebbe mancare molto. In effetti, la strada è quella giusta, ma quando ormai ci siamo, scopriamo che l’ultimo passaggio è riempito d’acqua fino all’orlo e dobbiamo desistere dal tentativo di entrare nella stanza grande. Simulando un dispiacere che trova la sua fonte nella certezza di non poter più proseguire, mi arrendo all’idea del dover tornare indietro. Inutile dire che non aspettavo altro! Avverto la smania di uscire impossessarsi di tutto me stesso, non sento più gli sfregamenti contro la roccia, i piedi inzuppati d’acqua, l’argilla sotto le unghie delle mani. Se potessi, correrei lungo questo budello umido e ruvido che mi avvolge cercando di trattenermi ancora un po’ a fargli compagnia. La sola consapevolezza d’esser sulla via del ritorno mi mette a mio agio, quasi di buonumore. Finalmente siamo di nuovo all’inizio del tunnel.(continua)

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Depressioni carsiche 6

Post n°43 pubblicato il 11 Marzo 2007 da Franzhi
 

Mi ritrovo dentro un cunicolo dal quale scendono gocce e spuntoni di stalattiti, devo andare avanti curvo lungo un sentiero stretto, ad ogni passo sento le pareti stringersi intorno alle spalle e alle cosce, il cuore mi batte a mille, non mi era mai successa una cosa del genere. Gli altri proseguono spediti, io mi do da fare per non perderli, ho paura di restare indietro. La mia pila è ben poco adatta a questo buio. Lo zainetto che ho sulle spalle striscia costantemente contro il soffitto del cunicolo nella mia andatura curva. Decido di toglierlo e lo indosso al contrario con la sacca che mi si appiccica alla pancia ogni volta che cerco di appiattirmi, per superare qualche passaggio più stretto degli altri. E pensare che Letizia mi aveva invitato a fare due passi con lei oggi pomeriggio! Intorno è tutta roccia buia coperta di fango. In molti tratti l’acqua scorre sotto i nostri piedi e dobbiamo camminare puntando gli scarponi contro la parete per non bagnarci. Ogni tanto si sente il tonfo di qualcosa che cade nel ruscello sotterraneo, piccole rocce e grumi di argilla mossi dal nostro passaggio. Capita che scivoliamo anche noi, allora ci chiamiamo, nell’oscurità per capire se è tutto a posto. A Giorgio si è già scaricata la pila. Pietro gli dice che è il solito coglione, poi lo fa passare avanti per illuminargli la via con la sua torcia. Ogni volta che succede qualcosa che non va, le viscere della terra assorbono una bestemmia. Giorgio blatera le sue solite frasi di circostanza. Da quando si è lasciato con Silvia, Giorgio dice solo frasi fatte, come se si fosse imposto di non pensare più. Io gli ho detto che secondo me non è una buona soluzione, lui mi ha risposto che ho ragione e poi mi ha salutato dicendomi “ciao vecchio”, tutto assorto nel suo nuovo ruolo con uno sguardo trasognato.

L’intento di Ernie è di farci raggiungere una stanza, come si dice in gergo, cioè un punto in cui la grotta si apre e compaiono le stalattiti e stalagmiti così come si presentano nell’immaginario comune. Lì dovremmo finirla con questi spuntoni, contro i quali stiamo sbattendo continuamente la testa e le ginocchia ormai da più di mezz’ora.

Non so proprio spiegarmi come ci sono finito qui e perché ho accettato. Mentre sorprendo il mio pensiero insultare la mia spavalderia, penso alla fortuna che ha Sandro ad essere così obeso. Lui, che ogni tanto prende parte alle nostre missioni alternative, per di qua, anche se fosse venuto, non ci sarebbe mai passato e ci avrebbe aspettato fuori alla luce del sole. Gli altri, che sono tutti di corporatura magra e ben più piccoli di me, sgattaiolano davanti. Li sento che ridacchiano in fondo alla galleria, devo sforzarmi di tenere il loro passo veloce. Pietro sghignazza sempre ultimamente, dev’essere un modo di scaricare la sua tensione repressa contro Lisa. Lei ha pensato bene di farsi il primo che le è capitato a tiro dopo quattro anni che stavano insieme. Lo aveva fatto così, perché le andava. Pietro l’aveva mandata a cagare ma era rimasto vittima del suo ricordo, come Giorgio con Silvia. Io invece sono schiavo di un’illusione, non so se la cosa sia poi tanto diversa, in questa caverna opprimente che sembra infinita. La mia è solo una fissazione mi dicono tutti, sarà. Ad un tratto ci fermiamo… (continua).

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Depressioni carsiche 5

Post n°42 pubblicato il 06 Marzo 2007 da Franzhi
 

Io le grotte me le ero sempre immaginate come si vedono nei dèpliant, ampie, spaziose, scure sì, ma filtrate da una luce azzurrina, o gialla, tenue e debole, ma in qualche modo rassicurante. Nella mia ingenuità bambinesca i percorsi interni dovrebbero essere attrezzati, con tanto di passerelle e di guide per i turisti. Qua, la situazione è un po’ diversa. L’antro in cui ci troviamo è sufficientemente ampio da consentirci di muoverci in piedi senza problemi, però è fresco, quasi freddo, e umido e, soprattutto, non particolarmente accogliente. Mi ricorda i film di Kirk Douglas, in cui lui interpreta il ruolo di centurione e finisce sempre per azzuffarsi con qualcuno nelle caverne. Ma è più scuro, non ci sono torce alle pareti e i raggi di sole che filtrano sono pochi e spauriti, a guardarli sembra che la luce abbia perso il suo coraggio, qui sotto. Il fondo e le pareti son tutti rocce e argilla fangosa. Mi prende una strana ansia, forse soffro di claustrofobia e non lo sapevo. Pietro ha sempre idee del cazzo, penso, e Giorgio gli va sempre dietro! Mentre stiamo ancora cercando il pertugio che dovrebbe condurci alla meta definita da Ernie, dico che la cosa non mi piace. Ma gli altri non mi ascoltano, Ernie si atteggia da esperto con quella sua tuta indosso e la pila fissata in testa, attorno all’elmetto. Pietro e Giorgio sghignazzano eccitati come due cagnetti rognosi e non mi prendono in considerazione. Il loro ghignare rimbomba contro le pareti gocciolanti e si mescola allo scalpiccio annacquato dei nostri passi. Ultimamente non c’è molta sintonia tra noi, ho la sensazione che ci frequentiamo come si fa con un riparo di fortuna, che si usa quando serve e poi si lascia, non appena le cose iniziano ad aggiustarsi, ciascuno seguendo la sua strada. Li osservo che perlustrano l’area, mentre mi auguro che qualcuno abbia fatto sparire la via. Quando, invece, Pietro, esultante come se avesse appena segnato, trova il passaggio, scopro che dobbiamo infilarci attraverso un buco largo quanto le nostre teste. L’unico modo per entrare è infilarsi supini con i piedi in su e la schiena a grattare il fango che c’è per terra. A costo di fare la figura del caca sotto, dico che non me la sento, ma si vede che qui, sotto terra, oltre che alla vista viene meno anche l’udito. Gli altri ormai sono già tutti indaffarati ad intrufolarsi e in poco tempo vengono inghiottiti e spariscono alla mia vista. Sento delle voci che mi dicono dai, di non fare il minchione, che è bello, ne vale la pena. Respiro a fondo, mi butto a testa in giù e passo anch’io. (continua)

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