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« Filippa FilippazziMessaggio #421 »

Post N° 420

Post n°420 pubblicato il 08 Gennaio 2008 da liberante

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È che mi affeziono.

Alle cose, mi affeziono e quando per un motivo o per un altro si rompono e sono da buttare ci sto male. Lo so che sono oggetti ed uno mica deve farsi intrappolare in questi labirinti di romanticheria. Lo so che l’abitudine crea una dipendenza psicologica che è facile scambiare per sentimento. Eppure l’altro giorno, mentre mettevo in un sacchetto la macchinetta del caffè che, nonostante tutti i miei tentativi di aggiustarla, si rifiutava di fare un caffè che non fosse una brodaglia puzzolente, avevo le lacrime che mi pungevano il naso. Il primo giorno dell’anno l’ho smontata, pulita, decalcarizzata, lavata con l’aceto, rimontata e poi il mattino dopo l’ho accesa. Le ho anche parlato “dai, fai la brava, fammi un caffè decente, non mi abbandonare” e poi le ho dato una piccola pacca di incoraggiamento sul serbatoio. È venuta fuori la solita fetecchia, goccia a goccia, senza la bella schiumina, semifredda, ed assolutamente imbevibile, anche per una come me che beve il caffè lungo lungo. L’ho spenta. Ho pensato che dovevo buttarla via. Dopo due giorni mi sono decisa e l’ho messa nel famoso sacchetto, con un accenno di pianto.

È che mi affeziono.

Non tanto all’oggetto, ma a quello che ho vissuto. Da circa dieci anni è stata la compagna dei miei risvegli, fedele ed affidabile. Nelle mattine in cui non sapevo da che parte andare a sbattere e tutto era solo dolore e rancore, mi regalava un attimo di benessere. Ma c’era nei risvegli della domenica, quelli belli, della famiglia intorno al tavolo e lei faceva schiumosi cappuccini e grandi tazze di caffè nero per me. E c’era sempre in tutte le mattine di tutti i giorni in cui il primo atto che mi riattaccava alla realtà era il primo sorso di quell’amaro liquido nero e bollente che scioglieva i grumi del sonno.

È che mi affeziono.

Sarà una specie di sindome dell’abbandono, ma faccio una gran fatica a buttare via le cose quando non servono più. E quando finalmente mi decido lo faccio con la rabbia e la velocità di chi non ne vuole più sapere niente.

È che mi affeziono.

E mi viene in mente il sentimento che mi lega al mio blog, anzi ai miei due blog, che è molto simile all’affezione. Un’affettuosa abitudine? Un abitudinario affetto? Passa il tempo e mi rendo conto che arriverà il momento in cui scrivere qui mi annoierà o mi darà fastidio o comunque questo giocattolo si romperà e diventerà inutile. Penso che ci soffrirò, almeno un po’, e non so se avrò il coraggio di cancellarlo, di metterlo in un sacchetto della pattumiera e di buttarlo via. Perché anche se può sembrare assurdo mi ci sono affezionata, per abitudine, certo anche per abitudine, ma non solo. Perché mi ha dato molto, e continua a darmi emozione. È una parte di me e se sono riuscita a capire qualcosa in più di me stessa lo devo a questa smania di raccontare e raccontarmi, di rielaborare ricordi che credevo nemmeno di avere, di scavare per portare alla luce la mia parte scura. Perché mi ha dato molto, molto più di quanto pensassi. Mi ha fatto incontrare delle persone splendide e se credo ancora nell’amicizia è merito loro. L’amicizia mi ha salvato quando niente altro poteva salvarmi e il mio essere sola non è più solitudine.

È che mi affeziono.

Punto.

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Ruggineblu
Ruggineblu il 09/01/08 alle 21:59 via WEB
bella che sei :)
 
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Antonio Gramsci "La Città Futura" (1917)   

 

" Odio gli indifferenti: credo come Federico Hebbel che “vivere vuol dire essere partigiani”. Non possono esistere i solamente uomini, gli estranei alla città. Chi vive veramente non può non essere cittadino, e partigiano. Indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti. L’indifferenza è il peso morto della storia. E’ la palla di piombo per il rinnovatore, è la materia inerte in cui affogano spesso gli entusiasmi più splendenti, è la palude che circonda la vecchia città e la difende meglio delle mura più salde, meglio dei petti dei suoi guerrieri, perché inghiottisce nei suoi gorghi limosi gli assalitori, e li decima e li scoraggia e qualche volta li fa desistere dall’impresa “eroica”. L’indifferenza opera potentemente nella storia. Opera passivamente, ma opera. ".......

..... continua qui  

 

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