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Non intendo sollecitare investimenti.
Chiunque utilizzi spunti derivanti dalla mia analisi  agisce a proprio rischio e pericolo.

 

 

 

 

 

 

 

 

Messaggi di Novembre 2014

Deutsche Bank outlook 2015

Post n°1774 pubblicato il 28 Novembre 2014 da Lucky340
 
Tag: outlook
Foto di Lucky340

ROMA (WSI) - Deutsche Bank presenta il grafico della performance degli asset nel corso del 2014. Il grafico è contenuto all'interno del report "The House View" di "Deutsche Bank Research", in cui la divisione di ricerca della banca tedesca, oltre a fare il punto della situazione, annuncia di aver tagliato l'outlook sulla crescita globale causa "il momentum più debole, specialmente al di fuori degli Stati Uniti".

Detto questo, è scritto nel rapporto, "continuiamo a ritenere che la crescita, nel 2015, sarà superiore a quella del 2014".

Nella sezione outlook economico, Deutsche scrive che il tasso di crescita del Pil globale è stato rivisto lievemente al ribasso al 3,6% per il 2015, ma risulta di fatto superiore a +3,1% nel 2014 e +3% nel 2013. La crescita degli Stati Uniti è vista robusta a +3,5%, contro il +2,3% del 2014.

Taglio delle stime invece per l'Eurozona, appena +0,8%, e appena al di sopra della crescita del 2014. "No recessione, ma la ripresa sarà debole e non equilibrata".

Riguardo ai mercati emergenti, anche in questo caso, stime riviste al ribasso, esattamente da +5,2% a +4,7%, causa la minore crescita della Cina.

All'interno del rapporto, presentato anche l'outlook sulle banche centrali. Sulla Fed: primo rialzo dei tassi nel giugno del 2015, ma aumenta il rischio di un ritardo fino al settembre del 2015 e il timing dipende dai dati. Il focus si è spostato dal mercato del lavoro all'inflazione.

Bce: il QE arriverà nel primo trimestre del 2015, ma la mossa della Bce si confermerà tardiva.

Bank of England: primo rialzo dei tassi sarà posticipato al terzo trimestre del 2015.

Banca centrale della Cina: ulteriori tagli dei tassi nel 2015.

Bank of Japan: continua a dimostrare impegno a raggiungere il target di inflazione.

Esiste una probabilità media che:

1) la crisi torni in Europa: la Bce fallisce nel suo intento di porre termine al basso tasso di crescita; bassa inflazione; o perdita di fiducia dei mercati nella Bce; aumento di tensioni politiche, lenti passi in avanti per le riforme, perdita di disciplina fiscale.

2) che ci sia un atterraggio duro per la Cina.

3) che si verifichi un sell off sui mercati.

4) che l'Abenomics fallisca in Giappone.

Sull'operatività sui mercati, Deutsche Bank consiglia di essere "long sullo S&P, long sul Nikkei, short sull'euro, short sullo yen. Probabile volatilità a breve termine".

Riguardo al grafico del 2014, esso si riferisce ai ritorni degli asset da inizio anno e da quando l'indice S&P 500 ha testato il picco lo scorso 18 settembre, prima dell'ultima fase di sell off.

Sempre nel grafico si fa riferimento ai rialzi segnati dall'azionario cinese con il lancio del link Hong Kong-Shanghai, che ha revocato le restrizioni sul trading dei titoli azionari tra i due mercati; agli indici del Giappone e della Germania che hanno sottoperformato e agli asset della Grecia che hanno scontato la presenza di rischi politici.

Il grafico della banca tedesca mette anche in rilievo che il reddito fisso continua a outperformare in un mondo di rischi di disinflazione; e ancora che l'euro scende sulla scia della Bce, il rublo è zavorrato dal calo dei prezzi del petrolio e le commodities scendono a causa del dollaro (più forte).

Riferimento nel report anche all'Italia, dove "è preoccupante la debolezza strutturale". Il "processo di riforma rimane molto lento e la recessione potrebbe indebolire Renzi, mettendo a rischio ulteriormente le riforme". Ancora, "minori concessioni da Bruxelles riguardo al deficit".

da http://www.wallstreetitalia.com

 
 
 

Nuovi record per Dow e S&P alla vigilia del Thanksgiving

Post n°1773 pubblicato il 27 Novembre 2014 da Lucky340
 
Foto di Lucky340

NEW YORK (WSI) - Chiude all'insegna dei record la Borsa Usa con investitori che domani saranno in vacanza per il Giorno del Ringraziamento e venerdi' lavoreranno solo mezza giornata.

Nel finale il Dow (+0,07% a 17.827 punti) e lo S&P (+0,28% a 2072 punti) crescono, aggiornando rispettivamente il 30esimo e il 47esimo massimo storico dell'anno. Sale anche il Nasdaq +0,33% a 4.773 punti.

A trascinare i rialzi i settori telecom e hi-tech, mentre frenano la corsa le azioni petrolifere. Il petrolio a gennaio ha perso 40 centesimi, lo 0,5%, a 73,69 dollari al barile, alla vigilia della riunione dell'OPEC. Nel frattempo, i Treasury restano positivi grazie alla buona domanda registrata all'asta di titoli a 7 anni. Il rendimento del titolo benchmark si attesta in calo al 2,23%, quello del trentennale al 2,94%. Sui mercati valutari, l'euro avanza a 1,2511 dollari mentre il biglietto verde cala a 117,74 yen.

La seduta odierna è stata contrassegnata da una serie di dati macro in chiaroscuro. Si parte dalle richieste settimanali dei sussidi di disoccupazione che, per la prima volta da settembre solo saliti sopra quota 300.000 mila. Nell'ultima settimana il dato è aumentato di 21 mila unità salendo a 313 mila.

Deludono le spese per i consumi: nel mese di ottobre il dato ha segnato un aumento dello 0,2% contro lo 0,3% atteso dagli economisti. Inferiore alle stime anche il reddito personale che è cresciuto ad ottobre dello 0,2%. Gli analistii avevano previsto una crescita dello 0,4%.

Meglio delle attese invece la crescita gli ordini di beni durevoli, in aumento ad ottobre dello 0,4%. Gli economisti avevano previsto un calo dello 0,6%. Il dato di settembre è stato rivisto al rialzo, da -1,3% a -0,9%. Ma la vera sorpresa e' stato l'incremento delle spese nella difesa (+45%), senza le quali il dato sarebbe sceso dello 0,6%.

Altra sorpresa positiva è arrivata dal settore immobiliare: le vendite di case nuove negli Stati Uniti nel mese di ottobre hanno registrato un aumento dello 0,7% rispetto al mese di settembre, pari a 458mila unita'. Il dato reso noto dal dipartimento del Commercio e' leggermente superiore alle attese, che erano per un +0,6%, anche se ci si aspettava la vendita di 470mila unita'. Su base annua, nel mese di ottobre le vendite di nuove case sono aumentate dell'1,8%.

La Federal Reserve sembra dunque destinata a restare paziente prima di alzare i tassi di interesse, visti poi l'outlook globale debole e pressioni inflative contenute in Usa.

Si avvicina il mese di dicembre: da segnalare che lo S&P 500 ha segnato un rally in questo mese negli ultimi sei anni. L'indice è scambiato a un valore pari 17,2 volte gli utili attesi delle società su di esso quotate, in rialzo rispetto a 15,5 dell'ultimo mese. La calma è apparentemente tornata sui mercati, con "l'indice della paura" Chicago Board Options Exchange Volatility (o VIX), sceso -12% negli ultimi quattro giorni di contrattazioni, al minimo in due mesi, dopo essere balzato a un massimo in più di due anni, lo scorso 15 ottobre.......

da http://www.wallstreetitalia.com/

 
 
 

Senza risposte Opec, petrolio verso $60

Post n°1772 pubblicato il 26 Novembre 2014 da Lucky340
 
Foto di Lucky340

NEW YORK (WSI) - Se i paesi membri dell'Opec non riusciranno a trovare un accordo nel meeting previsto per questa settimana, e se soprattutto non decideranno di tagliare la produzione in modo significativo, i prezzi del petrolio potrebbero scivolare fino a $60 al barile. I futures sul Brent crude sono scesi -34% dal mese di giugno, fino a toccare il minimo in quattro anni a $76,76 al barile lo scorso 14 novembre.

Interpellati da Reuters, ora diversi gestori di fondi che puntano sulle commodities ritengono che in mancanza di un taglio dell'output di almeno 1 milione di barili al giorno, le quotazioni della materia prima potrebbero scivolare ulteriormente.

"Il mercato si interrogherebbe sulla credibilità dell'Opec e sulla sua influenza sui mercati globali del petrolio, se non ci fosse alcun taglio", ha commentato Daniel Bathe, di Lupus alpha Commodity Invest Fund. Ciò, a suo avviso, potrebbe far scendere il Brent fino a $60. "Il cambiamento verso posizioni speculative negative su base netta dovrebbe accelerare il tonfo dei prezzi", ha aggiunto.

C'è poi chi, come Doug King, responsabile degli investimenti presso RCMA Capital, prevede che il Brent possa scendere fino a $70, anche in caso di taglio della produzione da parte dell'Opec di 1 milione di barili al giorno. Se invece non ci fosse alcun taglio, i prezzi scenderebbero "ulteriormente e velocemente", con i prezzi del contratto scambiato a New York (WTI) in calo fino a $60".

Da segnalare che nella sessione di venerdì i futures sul petrolio scambiati a New York hanno chiuso a $76,51, e il Brent appena al di sopra di $80.

Per Doug Hepworth di Gresham Investment Management "affinché i prezzi tornino sopra quota $80, è necessario un taglio significativo, qualcosa di simile a 2 milioni di barili al giorno. E la manovra dovrebbe essere accompagnata da una ritrovata disciplina tra i membri non sauditi". .....

 
 
 

Petrolio: la guerra dello shale oil

Post n°1771 pubblicato il 25 Novembre 2014 da Lucky340
 
Foto di Lucky340

Qualcuno comincia a sudare freddo. Il prezzo del petrolio in rapida discesa è un vantaggio per molti ma per altri può diventare un grosso guaio. In prima linea ci sono diverse società statunitensi specializzate nell’estrazione dello shale oil, cioè il greggio contenuto in sabbie bituminose o rocce argillose. E’ un processo non nuovo ma che negli ultimi anni è esploso soprattutto negli Usa, assicurando al Paese una sostanziale autonomia energetica e una produzione che si avvicina ormai ai 9 milioni di barili al giorno. Le riserve nel sottosuolo americano vengono stimate in quasi 60 miliardi di barili, ma oltre a creare importanti problemi ambientali lo sfruttamento dello shale oil è anche costoso. Le stime sono diverse o non sempre concordi, ma si può dire che indicativamente l’attività è certamente redditizia finché il prezzo del petrolio – quello preso a riferimento è il brent, quello del mare del Nord utilizzato come parametro per fissare i prezzi di due terzi degli scambi globali – rimane sopra gli 80 dollari al barile. Cioè il valore attuale. La soglia “del dolore”, quella dove iniziano i guai per molti dei produttori di shale oil, è tra i 70 e i 60 dollari al barile.

Negli ultimi anni sul settore sono piovuti investimenti per centinaia di miliardi di dollari. Quel che più conta le società coinvolte li hanno finanziati indebitandosi abbondantemente. I mercati, grazie anche alle politiche ultra espansive della banca centrale americana, erano invasi di capitali in cerca di rendimenti, i tassi erano (e sono) bassi e, soprattutto, negli ultimi anni il divario tra le remunerazioni pagate dalle obbligazioni ad alto rischio e quelle più sicure è stato particolarmente sottile. Detto in altri termini, nonostante comprare titoli di queste aziende fosse piuttosto rischioso i rendimenti pagati agli investitori erano molto bassi. Emettere obbligazioni e indebitarsi per avviare produzioni era insomma un affare. Secondo i dati dell’agenzia di rating Fitch, dal 2009 l’emissione di strumenti finanziari ad alto rendimento da parte di società energetiche è cresciuta del 148%, con un valore dei titoli in circolazione che ormai supera i 210 miliardi di dollari. Stando ai dati più recenti il rapporto tra debito e margine operativo lordo (la differenza tra i ricavi di un’azienda e i costi che sostiene per produrre) nell’industria dello shale oil supera quota 3, a fronti di valori dell’industria petrolifera che raramente vanno oltre il 2. Un rapporto superiore a 3 è considerato una prima “spia rossa” sulla capacità di un’azienda di far fronte a tutti i suoi debiti.

Sarebbe comunque sbagliato affermare che il settore è a rischio crac. Sia perché ci sono aziende finanziariamente più solide, sia perché i costi estrattivi variano da campo a campo e stanno progressivamente diminuendo. Poche settimane fa il dipartimento statunitense dell’energia si è premurato di far sapere che solo il 4% dei campi di shale oil in Texas, North Dakota e altri Stati ha necessità che il petrolio sia sopra gli 80 dollari per ripagare gli investimenti sostenuti per la produzione. Un big del settore come Eog resources ha fatto sapere che riuscirebbe a estrarre petrolio dai suoi campi in Texas facendo profitti anche con il barile a 40 dollari.

Per ora i bilanci trimestrali delle società del settore non presentano cifre preoccupanti, ma i dati si fermano a settembre, quando la discesa dei prezzi del greggio era appena iniziata, e le eventuali magagne inizieranno a emergere con i numeri relativi all’ultima parte dell’anno. Stretti tra interessi da pagare – in aumento – e prezzi del petrolio in calo, rimanere in utile può diventare complicato. Gli operatori cercano di sminuire il problema, ma sui mercati qualche campanello di allarme ha già cominciato a suonare. Lo scorso 16 ottobre, in concomitanza con la discesa del greggio sotto gli 80 dollari al barile, il rendimento di un bond da 450 milioni con scadenza 2020 emesso da Sand Ridge è balzato al 10,2% a fronte di un valore medio del comparto delle obbligazioni societarie ad alto rendimento del 6,4%. La Sand Ridge è una società attiva anche nello shale oil, vale in Borsa poco meno di due miliardi di dollari e negli ultimi tre mesi ha visto il valore dei suoi titoli calare del 30%. Anche un’altra società del settore come Magnum Hunter ha accusato a Wall Street una flessione simile. La Magnum capitalizza circa 900 milioni di dollari e ha debiti a lungo termine per una cifra analoga, su cui paga un interesse del 10%: ogni anno 80 milioni di dollari vanno nelle tasche dei suoi creditori. Pochi giorni fa il gruppo ha comunicato un aumento dei ricavi inferiore rispetto alle attese e lo scorso ottobre, dovendo rifinanziare un debito in scadenza per 340 milioni, ha pagato il 7,5% in più rispetto all’indice Libor a fronte della maggiorazione del 5% del prestito originario. Molto focalizzata nello shale oil è anche la Sanchez Energy, che nei tre mesi ha accusato una flessione del titolo di oltre il 45%. Con un petrolio a 80 dollari al barile la società rimane profittevole, sotto questa soglia potrebbero iniziare i problemi.

Come sempre quando si tocca l’argomento petrolio, fioccano teorie geopolitiche più o meno attendibili. Secondo alcuni osservatori ci sarebbe un vero e proprio disegno strategico dell’Arabia Saudita, che starebbe di proposito spingendo i prezzi al ribasso per far andare fuori mercato le produzioni americane. Altri osservatori ritengono questa visione poco plausibile poiché il costo di questa strategia potrebbe essere sopportabile per Riyad ma troppo doloroso per molti altri membri dell’Organizzazione dei Paesi esportatori di petrolio (Opec). E’ quanto ha sostenuto per esempio, in un’intervista a Bloomberg, Archie Dunham, presidente del gruppo energetico Chesapeake (-12% in Borsa negli ultimi tre mesi). Secondo Dunham l’Arabia “sta facendo una grande scommessa”. “Se riusciranno a far scendere il barile a 60 o 70 dollari, allora gli Usa rallenteranno. Ma le conseguenze per altri Paesi Opec saranno catastrofiche”.

da http://www.ilfattoquotidiano.it

 
 
 

Fed e banche centrali stanno acquistando futures S&P

Post n°1770 pubblicato il 25 Novembre 2014 da Lucky340
 
Foto di Lucky340

NEW YORK (WSI) - E' un trader veterano, di quelli che fanno trading da una vita; un trader anche indipendente da almeno 23 anni, che racconta le proprie esperienze scrivendo un articolo in uno dei siti più noti della stampa americana. Ha iniziato a fare trading di cereali presso la piattaforma CBOT, è stato operativo in quella CME e successivamente ha puntato sui mercati dei futures sullo S&P. La sua opinione è ben precisa: sono le banche centrali che stanno alimentando, in questo momento, la corsa dei titoli azionari.

Il trader scrive che ormai gli indici di Wall Street continuano a oscillare almeno da un anno attorno a livelli critici, spesso senza logica e senza reazioni "normali" nel momento in cui tali livelli critici vengono superati. "Ciò lascia pensare che, in molte occasioni, esiste solo un buyer, che agisce nel momento in cui i prezzi salgono fino a raggiungere determinati livelli; questo buyer acquista tutti i sellers".

Continuando: "dopo quest'anno e soprattutto se si considera il balzo del Dow Jones di 1.900 punti, e l'assenza di reazioni una volta superato questo limite, sono sicuro al 100% che questo unico buyer sia la nostra Federal Reserve o altre banche centrali, che hanno l'obiettivo di stimolare la nostra economia, acquistando direttamente futures sugli indici azionari".

Per il trader, il balzo del Dow Jones è stato di fatto orchestrato" e non ci sono stati a suo avviso altri buyer a parte la Fed. "Nessun dietront? Mi state prendendo in giro!? Inoltre, i giorni di trading presentano volumi (di scambio molto bassi) e i punti massimi intraday dei prezzi mostrano che non si verificano reazioni ai margini...appena un po' di tics dai massimi. Questa manipolazione dei prezzi riflette che loro (le banche centrali) vogliono rimuovere tutte le operazioni short, al punto che non servirà neanche più tentare e, alla fine, tali operazioni saranno molto poche. E ciò significa che è un gruppo di trader molto intelligenti, esperti di finanza comportamentale, forse reduci da un desk del tipo di Goldman, a controllare questo gioco, e non qualche rappresentante del Tesoro o della Sec, che non comprende queste dinamiche".

Delirio di un trader? Lui firma l'articolo con il nome "Moses" e lascia anche un indirizzo email. Mozkickurbutt@yahoo.com . Parla di un mandato americano che ha attivato il "Plunge Proctection" (Protezione contro il tonfo), permettendo alla Fed di intervenire nei mercati azionari. Ci sarebbe anche un "trattato" a tal proposito, che risale al 1988 e che può essere letto da tutti. LEGGI. E un memo futuresmeno mostra come il Chicago Mercantile Exchange cerci di stimolare le banche centrali in generale a utilizzare i loro futures sull'azionario. (Lna)

da http://www.wallstreetitalia.com/

 
 
 

Bond europei, tassi scendono su livelli mai visti prima

Post n°1769 pubblicato il 25 Novembre 2014 da Lucky340
 
Foto di Lucky340

MILANO (WSI) - Le droghe delle banche centrali o per lo meno le promesse di un nuovo piano di allentamento monetario fanno bene al mercato del debito fisso, con i prezzi dei titoli di Stato europei che sono lanciati in rimonta.

Nonostante il rallentamento del passo delle Borse, i prezzi dei bond avanzano e spingono in ribasso i tassi di interesse, che sono scivolati ai minimi di tutti i tempi.

Le prospettive di un programma di allentamento monetario, un quantitative easing all'europea sta facendo salire le richieste per il debito governativo di di Spagna, Italia e Irlanda.

I tassi sono scesi su livelli che non si sono mai visti. Il titolo decennales spagnolo è sceso al 2% per la prima volta dalla nascita del'euro, attestandosi all'1,975% dal 2,019% di venerdì. In Italia i Btp sono calati dal 2,2% al 2,155%.

I bond irlandesi decennali rendono solo l'1,47%, in flessione dall'1,497% di venerdì scorso. In Austria i titoli sono scesi sotto l'1% mentre in Francia rendono l'1,10%.

La ripresa dei prezzi è incredibile se si confronta con i livelli visti all'apice della crisi del debito italiano nel novembre di tre anni fa, o nel 2010, uando l'Irlanda ha chiesto aiuti esterni dopo che gli interessi avevano oltrepassato il 7%, considerata soglia di non ritorno oltre cui non sarebbbe stato possibile finanziarie il debito.

Il calo dei rendimenti sono anche un segnale che gli investitori si aspettano una crescita anemnica e un'inflazione bassa nell'area euro.

Al contrario, i bond considerati bene rifugio per eccellenza come i Treasuries Usa e i titoli governativi britannici rendono al momento più del 2%.

Venerdì Draghi ha detto che la banca avrebbe fatto "tutto il possibile per far si che i prezzi al consumo e le aspettative sull'inflazione crescano il prima possibile".

Anche se le misure di stimolo sono appena cominciate - vedi piano di acquisto di Abs - le parole sono state interpretate come un segnale che la Bce possa espandere il suo programma di acquisto di titoli sovrani emesso dai governi dell'area euro.

(DaC)

da http://www.wallstreetitalia.com

 
 
 

L’Abenomics è viva e vegeta

Post n°1768 pubblicato il 23 Novembre 2014 da Lucky340
 
Foto di Lucky340

Sul Telegraph A. E. Pritchard sostiene che i molti che già danzano sulla tomba dell’Abenomics stanno cantando vittoria troppo in fretta. La caduta del Pil nel terzo trimestre è solo un incidente di percorso e non incide sulla sostanza dell’Abenomics, che sta portando il paese fuori dalla trappola della deflazione verso una crescita economica che non si vedeva dagli anni ’80.

 

di Ambrose Evans-Pritchard, 17 Novembre 2014

L’Abenomics è viva e vegeta. La caduta del Giappone nella sua quarta recessione dal 2008 è una brutta sorpresa per il premier Shinzo Abe, ma non ci dice quasi nulla sulla vera sostanza del suo blitz di reflazione.

Il mini-crollo è dovuto principalmente ad uno shock fiscale una tantum nel mese di aprile. Abe ha sfidato gli avvertimenti da parte dei critici keynesiani e incautamente si è attenuto ai piani elaborati dal precedente governo di aumentare l’imposta sui consumi dal 5pc all’ 8pc.

L’essenza dell’Abenomics è la reflazione monetaria a oltranza per risollevare il paese dalla deflazione dopo due decenni perduti. Lo scopo non dichiarato di questa “prima freccia” è di abbassare i tassi di interesse reali e aumentare la crescita del PIL nominale al 5pc, ritenuto il minimo necessario per impedire alla traiettoria del debito giapponese di andare fuori controllo.

Si tratta di una formidabile sfida e alla fine potrebbe anche fallire. Il debito pubblico è già al 245pc del PIL. Il servizio del debito ammonta al 43pc delle entrate fiscali. La popolazione dovrebbe scendere da 127 milioni a 87milioni nel 2060. Data questa grave situazione, l’inerzia dell’era pre-Abe era imperdonabile.

Takuji Aida di Societe Generale ha detto che l’aumento delle imposte è stato un “diversivo inutile rispetto agli obiettivi di rilancio del signor Abe”, ma non avrà un effetto duraturo.

La contrazione del PIL giapponese dello 0.4pc nel terzo trimestre – a seguito di un declino dell’ 1.8pc nel secondo trimestre – è certamente imbarazzante dal punto di vista delle pubbliche relazioni, ma meno terribile di quanto non sembri.

Se corretto per gli effetti di calendario, il Pil è cresciuto dello 0.2pc. Gli ordini dei macchinari sono aumentati per il quarto mese di settembre al 2.9pc. Le vendite al dettaglio sono salite al 2.3pc. Fleming Nielsen di Danske Bank dice che questo inverno l’economia giapponese crescerà di nuovo ad un tasso del 3pc.

japan 1

Dal punto di vista politico Abe ha superato la debacle fiscale senza molti danni. Probabilmente a dicembre andrà a elezioni anticipate, stravincerà, e sospenderà i piani per un ulteriore aumento dell’imposta sulle vendite al 10pc il prossimo ottobre, scaricando una politica che comunque non gli era mai piaciuta.

La Banca del Giappone sta imparando – dopo una falsa partenza – come colpire nel segno. Il primo round di quantitative easing da parte del Governatore Haruihiko Kuroda è sostanzialmente fallito. Una larga fetta dei $ 75 miliardi al mese di acquisti di asset sono andati sprecati in un futile tentativo di aumentare le riserve bancarie e raddoppiare la base monetaria.

“Questo è completamente inutile. Non ha impatto sull’economia “, ha detto il professor Richard Werner dell’Università di Southampton, l’uomo che ha inventato il termine QE da consigliere della BoJ negli anni ’90. “Devono acquistare obbligazioni di fuori del sistema bancario.”

Tim Congdon di International Monetary Research ha detto che il QE è potente solo se gli asset sono acquistati da “istituzioni non bancarie”, come i fondi pensione e le assicurazioni sulla vita. Di norma, essi possiedono obbligazioni a lungo termine.

Ed è questo che sta succedendo sempre di più. Il pacchetto “Kuroda II” presentato il mese scorso aggiunge ulteriori 12 miliardi e più di dollari di stimolo, pesantemente ponderati sui titoli di stato a scadenza 7-10 anni. A Tokyo è un segreto di Pulcinella che la BoJ assorbirà grossi quantitativi di titoli in scadenza dal fondo pensione pubblico (GPIF) da 1.200 miliardi di dollari, in quanto in base alle nuove regole di portafoglio si sposterà sull’azionario. “Il secondo ciclo di stimolo dovrebbe essere molto più efficace”, ha detto.

Mr Congdon ha detto che l’aggregato monetario M3 in Giappone è cresciuto ad un ritmo di quasi il 5pc negli ultimi tre mesi (destagionalizzato), il che suggerisce che ci siano le basi per una forte ripresa nel periodo tra i sei e i dodici mesi successivi. “Se c’è un altro aumento dell’M3, il Giappone potrebbe godere di una crescita economica che non si vedeva dagli anni ’80”, ha detto.

L’inflazione core è scivolata all’1pc, ai minimi da sei mesi a questa parte, ma è comunque ben lontana dalla deflazione cronica prima che il signor Kuroda prendesse le redini della BoJ, nella primavera del 2013. Egli dice che l’inflazione raggiungerà l’obiettivo della BoJ del 2pc entro la metà del prossimo anno.

japan 2

Kuroda insiste sul fatto che un “circolo virtuoso della ripresa economica” è in corso, con il tasso di disoccupazione sceso al 3.5pc. “Non c’è ristagno nel mercato del lavoro, con un aumento dei salari nominali già evidente da questa primavera” e ha detto che la riportata caduta dei salari reali è solo una distorsione statistica causata dall’aumento dell’imposta sulle vendite.

La politica monetaria funziona con i famosi tempi “lunghi e variabili”, e mai nessun paese importante dal dopoguerra ha mai tentato un esperimento così radicale nella creazione di moneta, o cercato così sfacciatamente di monetizzare una così gran parte dello stock di debito pubblico.

Abe dice che ha modellato la sua reflazione sulla rivoluzione monetaria di Takahashi Korekiyo, che ordinò alla BoJ di fare il tutto per tutto nel 1932, in mezzo al coro di scherno delle voci dell’ortodossia in tutto il mondo. Dicevano che Takahashi era destinato a fallire.

Il Giappone nel 1933 era già in ripresa, e dal 1934 in forte espansione. Quelli che oggi ballano sulla tomba dell’Abenomics forse stanno tirando le somme troppo in fretta.

da http://vocidallestero.it

 
 
 

SuperIndice_USA(LEI) in rialzo anche a ottobre

Post n°1767 pubblicato il 22 Novembre 2014 da Lucky340
 
Foto di Lucky340

Giovedi  20 novembre 2014

Il Conference Board Leading Economic Index ® il (LEI) per gli Stati Uniti è aumentato dello 0,9  per cento nel mese di ottobre  arrivando a  105,2 (2004 = 100), dopo  un aumento dello 0,7  per cento  in settembre e nessun cambiamento   nel mese di agosto.

 "Il LEI è salito bruscamente nel mese di ottobre, con tutti i componenti guadagnando costantemente negli  ultimi sei mesi", ha detto Ataman Ozyildirim, economista del Conference Board. "Nonostante un contributo negativo dei corsi azionari nel mese di ottobre, e il contributo minimo dato dai   nuovi ordini per beni di consumo e dalla settimana lavorativa media nel settore manifatturiero, il LEI suggerisce  che l'espansione negli Stati Uniti continua ad essere forte."

L'uscita dei  prossimi  dati  è prevista per  giovedi  18 dicembre  2014.

   ^^^^^^^

il LEI è uno dei nostri leading indicator preferiti  poichè:

a) La correlazione tra LEI e PIL è molto elevata  come ci dimostra  Northern Trust nel  grafico, in cui il LEI – anticipato di un trimestre – viene messo a confronto con l’andamento del PIL americano dal 1960 a oggi.

b)  la relazione  tra Leading Indicator e mercato azionario è molto stretta ,  risulta evidente la quasi perfetta correlazione tra le due serie di dati: i punti di massimo e di minimo vengono quasi sempre raggiunti nello stesso periodo.I dati del Leading Indicator anticipano di circa sei mesi i movimenti dell’economia e che la stessa cosa succede con i mercati azionari, Il Conference Board (CB), l’istituto privato che elabora l’indice, considera che un calo del 2% in sei mesi, con la contemporanea flessione della maggior parte dei componenti, possa segnalare l’arrivo di una fase di recessione tra i tre e i nove mesi dopo l’ultima lettura; e viceversa, un rialzo  del 2% in sei mesi possa segnare l'arrivo di una espansione tra i tre e i nove mesi dopo l’ultima lettura .

pertanto noi  continuiamo ad  usare le indicazioni fornite dai  Leading Indicator per  riuscire ad ottenere buoni risultati dall’investimento!

i dieci componenti del The Conference Board Leading Economic Index® sono ora :

Average weekly hours, manufacturing

 

Average weekly initial claims for unemployment insurance

 

Manufacturers’ new orders, consumer goods and materials

 

ISM Index of New Orders

 

Manufacturers' new orders, nondefense capital goods excluding aircraft orders

 

Building permits, new private housing units

 

Stock prices, 500 common stocks

 

Leading Credit Index™

 

Interest rate spread, 10-year Treasury bonds less federal funds

 

Average consumer expectations for business and economic conditions

 


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Wallstreet chiude alla grande

Post n°1766 pubblicato il 22 Novembre 2014 da Lucky340
 
Foto di Lucky340

Chiude in crescendo una settimana storica per la Borsa americana, il Dow Jones e lo S&P500, ritoccando giornalmente i propri massimi storici, terminano l’ottava su territori inesplorati.

I motivi di una tale euforia sono noti … l’economia va malissimo praticamente in tutto il mondo al punto che la Cina è stata costretta ad abbassare i tassi per cercare di stimolare la crescita.

Visto che noi, ormai da tempo, i tassi non possiamo più abbassarli, dato che sono già a zero, cerchiamo di immettere liquidità nel sistema in altro modo, e dato che neppure con il Tltro si riesce probabilmente Draghi sarà costretto a comprare direttamente titoli dello Stato.

Ribadisco che i mercati finanziari non reagiscono in maniera illogica, ma nel medio/lungo periodo non possono far altro che adeguarsi all’andamento economico, non dobbiamo dimenticare, infatti, che le azioni sono quote di società, ed il loro prezzo ne rappresenta il valore.

L’intervento di Draghi oltre a rinvigorire il mercato dell’equity ha avuto, naturalmente, un impatto diretto sui mercati valutari, l’euro è tornato sotto quota 1,24 nei confronti del dollaro.

Adesso, poi, nientemeno che Goldman  Sachs parla di parità fra la banconota verde e la moneta unica, per curiosità ricordiamo che l’ultima volta che le due principali valute mondiali avevano lo stesso valore eravamo a dicembre del 2002, cioè ben dodici anni fa, da nemmeno un anno avevamo in tasca gli euro.

Dow Jones (+0,51%) in una seduta che ha visto la riscossa dei minerari svetta Caterpillar (+4,27%) fin dall’apertura miglior titolo di giornata, alle sue spalle United Technologies (+1,36%) che torna su quotazioni che non vedeva dallo scorso luglio, ottime performances anche per i petroliferi: Chevron (+1,08%) ed Exxon Mobil (+1,03%)

Maglia nera a Microsoft (-1,48%) che ha risentito del downgrade arrivato da Jefferies, prese di profitto su Intel (-1,00%) e finisce in rosso anche Johnson & Johnson (-0,30%).

S&P500 (+0,52%) è Freeport McMoran (+3,57%) che, per una volta, guida I rialzi, davanti ad Abbvie (+3,33%), quindi Halliburton (+2,89%).

Qualche inevitabile presa di profitto per Time Warner (-0,67%), dopo una buona partenza finisce in rosso Comcast (-0,55%), stessa sorte per American Express (-0,25%).

Nasdaq (+0,24%) vola Ross Stores (+7,32%) che polverizza il precedente record storico atterrando su quota 89,30 dollari, i ricavi in crescita spingono Autodesk (+6,06%) ed anche in questo caso si tratta del nuovo massimo assoluto, infine è arrivato il rimbalzino per Vimpelcom (+2,93%)

Torna a scendere Tesla Motors (-2,38%), così come Netflix (-2,14%), terzo ribasso di fila, infine, per Expedia (-1,61%).

Giancarlo Marcotti su Finanza In Chiaro

 
 
 

Draghi: "bassa inflazione peggiora, faremo tutto il possibile"

Post n°1765 pubblicato il 21 Novembre 2014 da Lucky340
 
Foto di Lucky340

FRANCOFORTE (WSI) - "La situazione dell'inflazione nell'Eurozona è diventata sempre più difficile". Mario Draghi, numero uno della Bce, ha parlato a un congresso che si è tenuto a Francoforte e ha ribadito che l'Eurotower farà "tutto quello che deve per alzare l'inflazione e le aspettative d'inflazione il più veloce possibile".

D'altronde, la situazione economica dell'area euro resta "fragile" e le indagini sull'attività "suggeriscono che nei prossimi mesi è improbabile che si verifichi un rafforzamento della ripresa".

La Bce "deve stare molto attenta ad evitare che (la bassa inflazione) inizi a propagarsi nell'economia, in modi che peggiorino le prospettive di crescita economica e di inflazione" stessa, ha precisato Draghi.

Ancora, "se la traiettoria attuale della politica monetaria non dovesse rivelarsi sufficientemente efficace a raggiungere questo obiettivo, o se dovessero materializzarsi ulteriori rischi sull'inflazione, aumenteremo la pressione e allargheremo i canali tramite i quali interveniamo alterando ritmo, mole e composizione dei nostri acquisti" di titoli.

Fibrillazione sui mercati, Draghi cita tra l'altro espressamente le misure di quantitative easing messe in atto dalla Fed e dalla Bank of Japan, portando così gli investitori a scommettere sull'arrivo di un QE.

Un Draghi deciso, quello che parla al Congresso di Francoforte, nella città sede dell'Eurotower, dove si consumano i conflitti sul futuro dell'Eurozona. Draghi ha negato di recente la presenza di attriti con altri membri del Consiglio direttivo della Bce, ma le dichiarazioni che Jens Weidmann, presidente della Bundesbank, puntualmente rilascia, mettono in evidenza come nell'istituto non ci siano idee molto chiare sulle manovre da adottare, e in particolare sul QE.

Nel suo discorso Draghi ha precisato che l'Eurozona rischia un involontario inasprimento delle condizioni di politica monetaria, fattore che non è possibile risolvere ricorrendo a strumenti convenzionali. Per questo è così importante operare con misure straordinarie. "Quando le attese di inflazione calano, i tassi di interesse reali risultano aumentati, e sono quelli che contano per la maggior parte delle decisioni di investimento".

E con i tassi di rifinanziamento vicini allo zero, non ci sono tante altre soluzioni. "In altri termini, il disancoraggio delle attese di inflazione causerebbe un inasprimento monetario di fatto, l'esatto opposto di quello che vorremmo vedere". (Lna)

da http://www.wallstreetitalia.com

 
 
 
 
 

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Data di creazione: 04/05/2010
 

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