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immagine Perché voglio vedere quanta gente
in questa città e in questo paese pensa
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in questa città e in questo paese
pensa ancora che la prepotenza e la
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Messaggi del 01/12/2006

Post N° 2

Post n°2 pubblicato il 01 Dicembre 2006 da napoli_contro_napoli
Foto di napoli_contro_napoli

Ci sono posti, lontani e vicini,

dove la povertà sopprime il sorriso dei bambini.

 Ci sono posti, vicini e lontani,

dove la guerra annulla i diritti delle donne.

Ci sono posti, lontani e vicini,

dove la malattia uccide la dignità degli uomini.

E noi ci pensiamo, nelle nostre case, davanti a una tv, magari a schermo piatto, e rabbrividiamo.

Ci sono scuole dove “normali” ragazzini, malmenando i bambini down, picchiano l’infanzia tutta. Ci sono strade dove “normali” ragazzini, violentando giovanissime bambine, filmano la violenza e se ne fanno vanto. Ci sono scuole e strade, lontane e vicine, dove questa violenza uccide il diritto stesso di essere bambini.

E noi ci pensiamo, nelle nostre case, davanti a una tv, magari a schermo piatto, e ci vergogniamo di appartenere alla stessa razza, che ancora chiamiamo “umana”.

Riflettiamo, nel tepore delle nostre case, nella sicurezza della nostra famiglia, nella certezza dei nostri “sani valori”, e proviamo rabbia mista a impotenza per queste ingiustizie e queste violenze che, seppure lontane, ci sembrano trapassarci il cuore come una spada, un coltello vero e reale che ci colpisce davvero e ci fa soffrire. L’anima si fa piccola, il cuore si stringe forte e, a volte, non riusciamo ad impedirci di piangere, nel vedere ogni giorno scene di soprusi e di morte. Ogni violenza cui assistiamo in tv sembra uccidere un pezzetto della nostra stessa dignità, e ci fa orrore.

 Eppure c’è un posto vicino vicino, 

dove non c’è bisogno di una tv, e neanche di uno schermo piatto, per assistere ogni giorno alla violenza e alla bruttura del mondo. Basta uscire di casa e andare ovunque, su un autobus, sulla metropolitana, per una strada del centro o della periferia, per vedere l’arroganza, la violenza, la sporcizia e l’ignoranza colpire al cuore la nostra dignità di “esseri umani”, distruggere il nostro orgoglio di esseri evoluti e pensanti, uccidere il nostro senso stesso della giustizia e della civiltà.

Lo vediamo e non ci fa orrore. Ci passiamo accanto indifferenti,

subiamo la violenza senza ribellarci, e, per di più, continuando a sentirci uomini. E quando realizziamo che l’unica arma che abbiamo per difenderci è diventare come gli altri, allora diventiamo come gli altri e l’arroganza ci sembra un dovere, il disprezzo delle regole ci sembra un diritto e la brutalità ci sembra “normalità”.    

E allora mi chiedo come, com’è possibile camminare per strada e vedere montagne d’immondizia accumulate nelle piazze e nei parcheggi, sui marciapiedi, quasi dentro ai negozi, e prendere il caffé in un bar, sedersi su una panchina a parlare al telefonino, portare i bambini a “prendere aria” nei passeggini.

E allora mi chiedo come, com’è possibile guidare in mezzo a un traffico di automobilisti per i quali il rispetto del codice della strada è segno di debolezza e di imperizia, per accompagnare i nostri figli a scuola.

E allora mi chiedo come, com’è possibile dire a un ragazzino che vedi fumare in metropolitana che è vietato, quando sei appena sceso da un autobus dove il conducente parlava al telefonino con la sigaretta accesa.  

Certo non è la guerra, non è lo stupro di una ragazzina, ma io ci penso e rabbrividisco lo stesso.

In una città che non ha regole, se non quella del più forte, dove le strade sono giungle dove si aggirano bestie selvagge nei panni di umanoidi, i nostri bambini troveranno “normale” calpestare le regole e i propri simili per affermare la propria esistenza stessa, i nostri bambini diventeranno adulti che credono che la propria dignità di uomini si possa ottenere solo sopprimendo quella altrui.

E non posso fare a meno di pensarci e di rabbrividire.

In una città dove la “cosa pubblica” non ha valore alcuno, dove strade, piazze, mezzi e uffici pubblici, diventano luoghi in cui ciascuno ha il diritto di sporcare, uccidere, violentare e scippare; luoghi in cui nessuno ti protegge dai soprusi dei cosiddetti furbi; dove i vigili, la polizia, lo stato stesso, si girano dall’altra parte e lasciano che, in una stazione ferroviaria, un ragazzo/scimmia si spogli e urini sui binari ferroviari, avanti a donne, bambini e uomini; luoghi in cui se osi proteggere la tua proprietà sei accoltellato o ucciso. In una città dove se denunci il furto di un’auto ai carabinieri ti senti dire che chi ha sbagliato sei tu, che hai “osato” acquistare un’auto così richiesta dal mercato, non il ladro, che si è appropriato di qualcosa che non gli apparteneva.

In una città dove l’ordine, la regola e la civiltà sono sovvertite da cittadini che credono che la brutalità sia autonomia, in una città così non c’è dignità alcuna e non c’è libertà; in una città così, la civiltà e lo sviluppo hanno subito un’involuzione, rapida e crescente, che tutto ha trasformato e abbrutito fino a riportare la sopravvivenza stessa al vecchio “homo hominis lupus”.

Non è la guerra, lontana e terribile, non è la povertà nera e crudele, non è la malattia devastante e inguaribile, eppure io ci penso, per la strada e al tepore della mia casa, e rabbrividisco. E la rabbia è ancor più grande perché non siamo in guerra, non siamo nei paesi cosiddetti del terzo mondo, non siamo nei paesi in via di sviluppo dove l’aids distrugge le popolazioni per povertà. Siamo qui, siamo solo nel bel paese, siamo nella città un tempo considerata la più bella d’Italia, siamo a meno di 200 chilometri dal Vaticano e dai Ministeri. Siamo in piena civiltà, siamo nella culla della cultura mediterranea e nessuno sembra accorgersi che viviamo in condizioni quasi peggiori di quelle del terzo mondo.

Dicono che c’è tanta povertà anche qui e, si sa, la povertà porta l’uomo a commettere crimini per la sopravvivenza. Allora perché, in queste strade agghiaccianti, si accoltella un ragazzo di quindici anni per rubargli il cellulare? Allora perché chi ruba il cellulare ne ha già uno, ma ruba quello del ragazzino perché è un modello successivo e più evoluto? Perché, in queste terrificanti stazioni della metropolitana si scippano i pensionati per comprarsi un vestito di marca? La povertà induce l’uomo a commettere crimini, è vero e, comunque, non li giustifica; ma che giustificazione possiamo trovare ai crimini commessi per una povertà stupida e ignorante convinta che il possesso di un telefonino o di un jeans firmato sia un simbolo di superiorità rispetto ad altri poveri d’animo? Io ci penso, e non trovo giustificazioni per tutto questo, ma, evidentemente qualcuno ci riesce, altrimenti, mi chiedo, dov’è lo stato? Dov’è la pubblica sicurezza? Perché non fanno nulla per fermare tutto questo?

Si, è la povertà a spingere a questi crimini, la povertà d’animo e sembra un assurdo detto di uno dei popoli ritenuti maggiormente generosi e di cuore.

Dicono che c’è la camorra qui, e, si sa, la camorra regna e governa su tutto e su tutti e non si riesce a debellare. Allora perché la microcriminalità, le babygang e i criminali comuni commettono più crimini della camorra? La camorra regna e governa tutto e tutti, è vero. Ma il vero potere della camorra è nella mente della gente comune.

La prepotenza e l’arroganza della camorra è diventata la regola e tutti, dal baby criminale al più tranquillo cittadino comune, hanno pagato il “pizzo mentale”.

Tutti – qui - si sono, lentamente o velocemente, adeguati al modo “camorristico” di agire e di pensare. Tutti – qui - hanno imparato che il sopruso è furbizia e scaltrezza, che la violenza è il modo più rapido e, purtroppo sicuro, per ottenere quello che si desidera. Tutti – qui - pensano che la propria dignità si conquista calpestando la dignità altrui. Tutti – qui - hanno capito che non c’è pena e, quindi, non c’è colpa nel distruggere ogni giorno, lentamente, mattone su mattone, la civiltà e lo sviluppo.

Non serve andare lontano per capire quello di cui sto parlando. Fate un giro nelle strade di Napoli, fate un giro nei quartieri del centro e della periferia, prendete una metropolitana o un treno, entrate in un ufficio postale, guidate per due ore nel traffico cittadino e capirete. Vi sentirete al centro di una città-zoo dove non c’è più libertà, dove non c’è più dignità, dove tutto è condizionato dalla prepotenza della devastazione. Non si può portare il casco in motorino perché bisogna essere riconoscibili, non si allacciano le cinture di sicurezza per non far capire che si è “stranieri”, non si rispettano le regole per non essere “puntati”, non si reagisce ai soprusi per non essere accoltellati, non si rispettano le file per non essere ritenuti stupidi, non ci si ferma al rosso di alcuni semafori per non essere tamponati.

Allora mi chiedo, dov’è finita la civiltà, dove sono le regole che garantiscono la libertà, dove è finito il senso del pudore e della dignità. La religione, l’educazione e la cultura italiana è decisamente basata sulla colpa e non sulla vergogna, come invece quella di altri popoli. Ci sono culture in cui il crimine e il disprezzo delle leggi sono aborriti e causano vergogna prima che colpa. In queste culture i crimini sono puniti con pene rapide, certe e severe commisurate al crimine, ma anche alla vergogna che esso comporta. La nostra cultura è basata sulla colpa e sul peccato originale. Adamo ed Eva commisero un peccato di cui non si vergognavano, eppure anche la loro pena fu certa, severa e immediata. Allora, se non nella cultura della vergogna, siamo cresciuti in quella della colpa: chi sbaglia paga. Dov’è finita la certezza della pena? Ridate a Napoli almeno quella, visto che il senso della vergogna probabilmente Napoli non lo ritroverà mai più.

Eppure di tutto questo se ne parla, si vedono foto shock e ogni giorno c’è almeno una notizia che riguarda un morto ucciso a Napoli. Ci sono cittadini che, come me, sentono la stessa rabbia e la stessa impotenza e ne scrivono sui blog, organizzano manifestazioni, ma tutto questo ancora non basta. E non bastano le 511.000 pagine dedicate su internet al degrado di Napoli, non bastano le 889.000 pagine dedicate alla criminalità a Napoli e non bastano neppure 1.300.000 pagine dedicate alla situazione rifiuti. Non bastano i morti, le denunce, la paura, non bastano le chiese “chiuse per immondizia” e i libri che raccontano come Napoli si sia involuta verso l’inciviltà e l’abbrutimento. Cosa aspetta lo stato a fare qualcosa? Cosa deve ancora succedere per mettere fine a tutto questo?

 

 

 

 

 
 
 
 
 

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