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« CARPE DIEM (terza e ulti...L'ALBERGO (Capitolo II) »

L'ALBERGO (capitolo I)

Post n°111 pubblicato il 20 Aprile 2010 da fittavolo
 

L’albergo a quest’ora comincia la sua fase di rem. I clienti, alcuni sono fuori, altri stanno per andare a dormire. Anche questa giornata è finita, finalmente fra qualche attimo sarò libero. Oggi ho lavorato tanto, le chiamate sono state molte e, per fortuna, sono riuscito a soddisfarle tutte. Tutte tranne quella dei clienti della stanza 115, lì non ho potuto farci niente. Io dalle beghe familiari ne sto alla larga. Ormai ho superato la fase critica di questo lavoro, dove soddisfare il cliente è l’unico insindacabile comandamento. Tempo fa non sarebbe andata così, mi sarei lasciato coinvolgere, e in buona fede avrei detto la mia. Ma ora non più, possono anche richiamarmi, farmi un formale rimprovero, multarmi per essere venuto meno a dei “doveri”, non me ne importa nulla. Assolutamente nulla. Io ho la mia vita, loro la loro.
Basta! Butto sul tavolo lo strofinaccio, mi asciugo il sudore con un tovagliolo di carta e vado in camera mia. Doccia. Abbigliamento da svago e questo vuol dire pantaloncini corti, tshirt bianca, scarpe ginniche e berretto. E poi via di corsa in spiaggia. Comincia ora la mia notte, pienamente dedicata a me, solo a me. A dire il vero passo solo un paio d’ore steso su una sdraio a guardare le stelle e ad ascoltare il mare. È il mio modo di rigenerarmi, di rinvigorire le mie forze per poter affrontare le fatiche del giorno dopo. L’ho scoperto lo scorso anno quasi per caso, quando gli altri “colleghi” una volta mi hanno dato buca. Allora non sapendo cosa fare, mi sono steso sulla prima sdraio che ho trovato in riva al mare e sono rimasto lì, a pensare. L’ho trovato molto rilassante, molto meglio del bum bum della discoteca, e del caos di certi locali notturni. Da quella volta, molto spesso passo qui la mia serata libera, e questa è una di quelle volte.
“Fa un caldo cane fuori” mi dice il portiere, e ci credo! Qui in albergo c’è l’aria condizionata che falsa ogni percezione della realtà al di fuori di questi locali. Vado al bar e prendo una birra ghiacciata, anzi due. Saluto il portiere e mi dirigo verso il mare. Il viale Lungomare è l’unica barriera che incontro, qui anche di notte c’è gente che corre in macchina, l’attraverso. Seguo il vialetto di cemento che spacca la spiaggia in due, fino a quando affondo direttamente i piedi nella sabbia. Al limite della battigia vedo la mia sdraio. Fede’ il bagnino, è un vero amico me la lascia aperta, pronta all’uso. Come sempre, la luna rischiara i granelli dorati e mi permette di raggiungere con facilità il mio giaciglio. Mi fermo un attimo, appoggio le birre nella sabbia, e mi stiro guardando il firmamento. È qualcosa di veramente favoloso. Manca qualche giorno alla notte di San Lorenzo, ma questa notte non ha nulla da invidiarle. Bene! Recupero le due birre e mi avvicino alla sdraio, ma vedo qualcosa d’insolito. Un’ombra sovrapposta a quella della sdraio. Odo un rumore simile a un cigolio. Qualcuno è steso sul mio giaciglio e sembra non essersi accorto della mia presenza.
“Scusi, è vietato occupare il bagno nelle ore notturne” dico con fermezza.
Vedo una figura tirarsi su e sedersi, sembra una donna.
“Non lo sapevo, mi spiace, avevo solo voglia di stare un po’ da sola” dice con voce rauca, poi da un colpo di tosse per schiarirla. La luna le è alle spalle e non mi permette di vederla bene, tuttavia dai contorni mi sembra di conoscerla.
“Chi è lei?” chiedo.
“Sono una cliente di quell’albergo – lo indica, è quello dove lavoro – non voglio assolutamente disturbarla, vado via subito” si alza, è la signora della stanza 115. Nella poca luce riesco a malapena a intravedere i lineamenti del viso, sembra molto triste, ho l’impressione che abbia pianto. Non so che fare, ma istintivamente le dico di stare comoda, che essendoci io nessuno potrà dire niente. Rovino così la mia libera uscita!
“Vuole bere una birra?” gliele porgo una. La prende senza dire nulla e la sorseggia.
“Grazie, ci voleva” dice dopo.
Guarda fisso il fondo del mare, come incantata, io resto in piedi e sorseggio l’altra birra.
“La prego, non resti lì, venga a sedersi anche lei” dice, ed è un invito al quale non so rinunciare. Sono molto stanco. Mi siedo dall’altra parte della sdraio e faccio finta che non esista. Scorrono i minuti. Il rumore del mare è sempre lo stesso, nonostante la sua presenza, vuol dire che sono riuscito a estraniarmi. Il caldo è qualcosa di opprimente, nonostante l’ora la sabbia scotta ancora. L’aria è ferma e l’odore della salsedine è ovunque. A me piace, mi ricorda da piccolo quando andavo al mare in colonia, ci portavano inquadrati in fila per tre fino al bagnasciuga e sentivo lo stesso odore.
“Le va di parlare” chiede timidamente.
“Parlare? Di cosa?” chiedo.
“Qualsiasi cosa, le va?” dice, ed è più che un invito.
“Va bene, purché la smetta di darmi del lei” preciso.
“Anche lei…cioè tu” puntualizza.
Parlare, ma di cosa. Perché questa donna vuole parlare con uno sconosciuto, non è meglio che parli con suo marito?
“Tu lavori nell’albergo, ti ho riconosciuto, sei quello che oggi con molta classe ha evitato di rispondere a mio marito” dice.
“Molta classe! Non ho risposto e basta…io non voglio essere coinvolto nelle beghe altrui” dico.
“Sei modesto, mio marito è rimasto colpito dal tuo atteggiamento, era convinto che comunque una risposta gli fosse dovuta, se non altro perché lui è un cliente dell’albergo” dice.
Bel cliente suo marito, coinvolgermi nelle vostre faccende solo per dimostrarle di aver regione, Beh! Io non ci sto, che se la sbrighi da solo.
“L’avevo capito subito, cosa voleva che dicessi. Forse qualche tempo fa, ci sarei cascato ingenuamente, ma ora dopo tanti anni d’esperienza…” affermo.
“Hai capito che voleva solo ridicolizzarmi, sfruttandoti?” chiede.
“E l’ho capito sì. Era così evidente! Ma tuo marito è sempre così stronzo?” chiedo, ma forse non dovevo, s’irrigidisce e tarda a rispondermi.
“Non sempre…a volte sa essere dolce, mi fa sentire una regina…ma sempre più raramente” dice con dispiacere. Ed è evidente che c’è qualcosa che le resta in gola e la soffoca.
“Tu hai una donna?” chiede, e mi suona strana questa domanda.
“Ho rinunciato ad avere una donna anni fa” dico.
“Per scelta?” chiede.
“Non proprio…per necessità” rispondo.
“Quale necessità?” chiede fissandomi. Sembra molto incuriosita.
“Non ho più voglia di soffrire, le pare poco?” dico.
Sorpresa dalla mia risposta resta in silenzio, quasi come se sia delusa, forse si aspettava qualcos’altro. Un motivo di quelli da dare in pasto a psicologi per tirare fuori teorie sui rapporti umani, sull’amore, invece una rinuncia per evitare di stare male è solo una necessità opportunista, da vile.
“Anch’io sono stufa di soffrire” dice e mi sorprende e mi impaurisce. Questa affermazione potrebbe celare dietro motivi che è meglio che non conosca. Meglio alzarsi ed andare via, al più presto. Ed è quello che sto per fare, quando mi afferra la mano costringendomi a rimanere seduto.
“Perché voi uomini siete crudeli, non vi fate mai bastare quello che avete?” chiede.
“Cosa intendi dire? E poi perché generalizza, non tutti gli uomini sono uguali, ce ne sono di veramente dolci, che per la propria donna farebbero faville” dico.
Mi lascia la mano, non ha più paura che scappi via.
“Dove sono questi uomini? Prima di sposare Fabrizio, ho avuto altre relazioni, altri uomini con cui ho cercato di costruire qualcosa, sai qual è stato il risultato? Questo!” prende un pugno di sabbia e me lo mostra, lascia scivolare i granelli tra le dita, poi scuote la mano vuota.
Niente! Questo è stato il risultato, ho capito e allora io cosa dovrei dire? Ho avuto tre relazioni, una peggio dell’altra. Ogni volta mi sembrava quella giusta, davo me stesso perché si costruisse qualcosa di solido. Alla fine mi sono sempre ritrovato da solo, con i miei sogni sbriciolati e le solite scuse: non siamo fatti l’uno per l’altra, credevo di amarti invece…e così via, e non credere che sono stati degli uomini a farmi questo. Mia cara signora triste, anche voi donne avete dei bei difettucci. Questo lo penso, ma devo avere lasciato trasparire qualcosa, la mia espressione non è certo serena.
“Perché quella faccia, non sei d’accordo?” chiede meravigliata.
“Ognuno ha le proprie storie, fatte di gioie e dolori. Anch’io ne ho, e a sentire le tue sono riemerse” dico e mi alzo. Tolgo le scarpe vado verso il mare per bagnarmi i piedi. È una cosa che faccio raramente, solo quando non ho voglia di pensare. Il mare è caldo. Le onde si susseguono con lentezza, a pochi metri dalla riva c’è calma, l’acqua sembra adagiata su una tavola piatta, impossibilitata nel movimento. La sua mano si appoggia sulla mia spalla. È un tocco amichevole, ne sento il calore. Anche lei si lascia bagnare i piedi.
“Spero che suo marito non sia geloso, io e te da soli qui, potrebbe pensare chissà cosa!” dico francamente.
“Non preoccuparti, quando litighiamo sparisce per un po’. A volte sta via così tanto da preoccuparmi” dice.
“E quando torna…?” chiedo.
Lei sorride.
“E quando torna facciamo pace. Facciamo l’amore. Sono così contenta di rivederlo che tutto mi scivola addosso” risponde.
“Fino alla prossima volta…” azzardo a dire.
Lei sospira.
“Fino alla prossima volta, esatto!” dice con rammarico.
Non aggiungo altro. Rimaniamo in silenzio, ognuno perso nei propri pensieri, con le proprie speranze sospese.
“È tardi, devo rientrare, domani è un altro giorno di lavoro” dico e mi siedo e mi metto le scarpe.
“Già tu non sei vacanza” dice.
“Già…” sottolineo.
“Possiamo continuare questa chiacchierata un’altra volta, domani?” chiede.
“Hai intenzione di litigare anche domani con tuo marito? Altrimenti come farai a restare sola?” dico sorridendo.
“Domani, torna a Pavia, per tre giorni. Motivi di lavoro. Per questo abbiamo litigato. Per questo ti ha fatto quella domanda” dice.
“Ah! Per questo?” dico compiacente.
“Saputo il motivo, non mi dirai che anche tu la pensi come lui, che lo giustifichi?” chiede.
Non so che dirle, tuttavia io non l’avrei lasciata sola in vacanza, però voglio provocarla.
“No…no…non voglio giustificarlo, penso solo che il lavoro è importante, e se si assenterà per soli (sottolineo soli) tre giorni, non è la fine del mondo, ti pare?” dico.
“Anche tu…la stessa opinione di Fabrizio…sono stanca, sono stufa…scusami” dice e si allontana andando verso l’albergo. Resto lì impassibile: non mi aspettavo una reazione così vistosa e soprattutto non mi aspettavo che se ne andasse. Mi stendo sulla sdraio, cerco di rilassarmi nel poco tempo rimastomi. I pensieri non si pacano, sono sempre focalizzati su quella donna, sulle sue parole, sulla sua tristezza tanto grande da renderla incapace d’accorgersi di una provocazione. Ma l’avrà capito che stavo scherzando? Mah!
Intanto il mare infischiandosene di tutto, continua col suo perenne moto e una leggera brezza comincia a muovere un po’ l’aria.

 
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