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« Un napoletano in esilio:...Messaggio #5 »

I palazzi di Napoli

Post n°4 pubblicato il 16 Giugno 2008 da napoli.cult

Sono stata a Napoli negli ultimi dieci giorni, la mia città, ritrovata sporca come mai l’avevo vista. La spazzatura agli angoli delle strade è stata come una pugnalata alle viscere. Inspiegabili i motivi di un’occulta regia che preleva regolarmente l’immondizia nel quartiere un po’ nascosto dove sono vissuta e lascia a marcire quella sulle vie principali, sotto gli occhi implacabili dei media, che nulla perdonano a questo strano popolo, di lazzari e santi, fino ad accusarlo di colpe non sue.

Altre volte, già su via Toledo, la strada dell’antico passeggio, riuscivo a percepire l’odore di salsedine che veniva dal mare, in questi giorni, invece, quell’effluvio consueto era offuscato dall’olezzo fetido della spazzatura in decomposizione. Un’altra pugnalata nel cuore, per chi come me esule in patria, ama in modo viscerale la sua terra.
Nell’attesa che venga al più presto ripristinata la legalità, quella normalità di una vita civile data per scontata nelle altre città, ho cercato la bellezza per difesa.
L’ho cercata nei soliti luoghi che mi sono cari, dove la filosofia ironica che ci appartiene è riuscita a creare un nuovo pastorello per il presepe, un Berlusconi assiso sui sacchetti d’immondizia come un sovrano, in testa una corona simbolo di quell’effimero potere. Il sorriso non è servito a lenire le ferite inferte alla mia splendida città.

Ho cercato la bellezza nell’abbraccio dei miei soliti amici, in tutti quelli con cui sono uscita, in quelli che non ho potuto incontrare per mancanza di tempo e anche in quel paio che non ho incontrato per mancanza di voglia.
Ma ho cercato la bellezza, soprattutto, rifugiandomi nella storia gloriosa del passato, quando Napoli era capitale di un regno, terra di conquista per principi stranieri che la amavano più di quanto la amino oggi i suoi stessi figli.
L’ho fatto entrando in punta di piedi nel bellissimo palazzo Zevallos Colonna di Stigliano, un superbo edificio edificato nel 1639 da un ricchissimo ufficiale di corte, conobbe vari passaggi di proprietà finché nel 1898 fu acquistato della banca commerciale italiana, la quale trasformò il cortile interno, opera di Cosimo Fanzago, nel salone per il pubblico.


In questo scenario fastoso è nascosta una perla rara, l’ultimo quadro dipinto da Caravaggio prima della morte, “Il martirio di Sant’Orsola” appena restaurato.
Forse già presago della sua morte, Caravaggio dipinse sul volto della giovane la sgomenta rassegnazione di chi osserva la vita sfuggirgli da una freccia nel seno. Ma più della drammaticità del momento è il colore esangue della donna a dominare la scena.

Ho cercato la bellezza nel Pio Monte di Misericordia, una tra le più antiche istituzioni benefiche d’Italia, l’ho fatto entrando nella piccola chiesa e ammirando in silenzio quell’altra meraviglia di Caravaggio, “Le sette opere di misericordia”.

Ci sono altri quadri, di pittori altrettanto famosi, che adornano gli altari della chiesa, ma lo sguardo indugia più del dovuto solo su quello dell’altare.  Sembra una scena di strada, quel popolo minuto che ancora oggi, con abiti diversi, gremisce i vicoli della città, guardato con indulgenza dalla divinità, perché solo tra la peggiore miseria esiste la solidarietà spontanea.

Ho cercato la bellezza nel delizioso Chiaja hotel e qui apro una doverosa parentesi, perché ho saputo dell’esistenza di quest’albergo proprio sulle pagine del mio blog, grazie ad una segnalazione di Quotidiana_mente. Uno dei proprietari, Pietro Fusella, dopo aver letto un mio vecchio post in cui parlavo di ruffiane e prostitute, è stato felicissimo di accogliermi, insieme con una mia amica, per mostrarci quelle che furono le camere di un vero bordello.
Ma sarebbe riduttivo liquidare questo gioiellino parlando solo del suo lato pruriginoso, perché l’albergo nasce dall’entusiasmo contagioso del suo proprietario, che in pochi anni è riuscito a creare un luogo ricco di fascino, ristrutturando quello che era l’appartamento nobiliare del suo bisnonno, il marchese Nicola Lecaldano Sasso la Terza. Un eccentrico nobiluomo appassionato di viaggi, che nell’ottocento si spinse fino in Cina, ritornando con un carico di porcellane, le quali ancora oggi fanno bella mostra di se nelle case dei suoi pronipoti.
Il restauro è stato fatto conservando per ogni camera, una diversa dall’altra, l’incantevole atmosfera dell’epoca, grazie anche all’utilizzo dei mobili di famiglia.
L’albergo sito in un antico stabile su via Chiaia, conosciuto come palazzo Giroux, era la residenza anche dei conti Lucchesi Palli. Il conte Febo Edoardo si era addirittura fatto costruire un teatro in casa, dove metteva in scena opere in prosa, difatti l’ultimo piano del palazzo conserva, sul pianerottolo e sulla scalinata, diverse effigi di personalità ignote, presumibilmente autori o personaggi teatrali.  


Altra storia è quella del “3”, la casa di tolleranza più famosa della città, che solo per un caso confinava con la residenza del marchese, l’appartamento acquistato successivamente, grazie ad un sapiente restauro che ha mantenuto l’ambientazione del bordello, ha permesso di ricavare un'altra ala con camere che profumano di peccato, a cominciare dai nomi sulle porte delle stanze che ricordano le più famose” lavoratrici “della casa. Le finestre delle camere affacciano su di un ballatoio coperto, dove le allegre signorine appoggiate alla ringhiera si mostravano ai clienti di sotto.

In una città come la nostra, punita da amministratori incapaci, conoscere una persona come il signor Pietro Fusella è stato come respirare una boccata d’aria pura, è ammirevole la passione che anima questo ragazzo nella ricerca di documenti per ricostruire sia la storia della sua famiglia che quella del palazzo. Una storia a cavallo tra ottocento e primi del novecento, animata da diverse storie, viaggi esotici e tournèe musicali (l’ultima figlia del marchese aveva sposato il musicista Gaetano Fusella), che meriterebbe di essere raccontata in un romanzo.

 Ho apprezzato particolarmente l’estrema disponibilità e la gentilezza con la quale il signor Fusella si è dedicato alle mie curiosità, la stessa usata per viziare i suoi ospiti che lo ripagano continuando a scegliere il suo accogliente albergo ogni anno, a dispetto della spazzatura e dei facili luoghi comuni su Napoli e i napoletani. 
Durante la visita ci ha portato a vedere anche i locali dove esisteva un’antica stamperia, finanziata dal bisnonno.
E’ stato affascinante conoscere un altro aspetto della mia città, un anonimo palazzo dei quartieri spagnoli che nasconde nel suo interno una vera e propria corte dei miracoli. 

bimbadepoca

 
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