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Messaggi del 14/09/2016

 

La vendetta non ha fretta ( settimo capitolo)

Post n°2141 pubblicato il 14 Settembre 2016 da paperino61to

 

 


Chiamo un’agente dicendo di telefonare alla scuola dove la signora aveva lavorato.
“ Controlleremo immediatamente. La cicatrice sull’avambraccio come  la giustifica? La persona che stiamo cercando ha come segno di riconoscimento questa cicatrice, ora capite perché ho detto che sua moglie è una probabile indiziata?”.
Il marito guarda in silenzio la moglie poi esclama: “Alice, il commissario fa il suo dovere, devo dire come ti sei procurata la cicatrice anche se so che risveglia momenti dolorosi”.
Non capisco di cosa parli e lo esorto a spiegarsi meglio.
In breve il marito racconta che un pomeriggio di ottobre di un anno fa, la moglie era sola nel negozio, lui era andato da un cliente per ricevere un pagamento per degli oggetti venduti. Erano entrati tre miliziani fascisti, volevano informazioni su presunte persone appartenenti al circolo comunista.
“ Noi non ne sapevamo nulla, non siamo iscritti in nessun circolo di quel genere. Mia moglie ha provato a dirglielo più volte, ma loro non  credevano…”.
Così iniziarono a minacciarla, poi passarono dalle parole alle violenze. Uno di loro tentò di trascinarla nel retro del negozio per violentarla. La signora si difese con un coltello che si trovava su un tavolo, ma nella colluttazione si  ferì all’avambraccio.
Per fortuna entrarono dei clienti, i miliziani se ne andarono minacciando di tornare, ma a tutt’ora non sono più venuti al negozio dei Ramella.
“ Signora, perché non ha denunciato questa violenza? Creda, non l’avrei fatta passare liscia a questi banditi da strada”.
La donna mi guarda e tra una lacrima e l’altra risponde che aveva troppa paura, temeva che facessero del male anche al marito.
“ Commissario, ecco la trascrizione della telefonata fatta alla scuola”.
Si evince che la Ramella effettivamente in quel periodo aveva lavorato in quel luogo, non poteva quindi essere lei l’assassina del colonnello e di conseguenza manco della Felsi.
“ Bene signori, mi scuso con voi per avervi fatto scomodato, ma soprattutto per avervi fatto rievocare quell’orribile episodio. La sua signora è scagionata del tutto, potete andare e se per caso vi viene in mente qualche particolare o notate qualcosa utile all’indagine chiamatemi. Fate inoltre attenzione perché credo che l’assassina della signora Felsi abiti ancora  nel vostro palazzo.



A questo punto rimaneva solo  Ester Caretti, decisi di andare nello studio dove lavorava.
Quando si presenta innanzi a me il suo volto è ancora più arcigno della prima volta che la incontrai. Gentilmente spiego il motivo  per cui sono in quell’ufficio e che devo verificare alcune cose nei suoi confronti.
“ Mai stata dalle parti di Biella, è zona di zanzare e io odio questo animale. Se vuole può controllare benissimo, a quell’epoca lavoravo come cameriera al Bar Torino di via Nizza, non distante dalla stazione, ecco il cognome del titolare…verifichi pure se crede”.
Prendo nota di questa sua dichiarazione, poi le chiedo se gentilmente può tirarsi su le maniche della sua camicia.
“ Non ci penso proprio, se lei commissario è un perv…”.
“ Attenzione a quello che dice signorina…faccia molta attenzione. Potrei sbatterla dentro per oltraggio a pubblico ufficiale. Sono qui in veste ufficiosa, sto indagando su due delitti, uno dei quali avvenuto nel palazzo dove abita. La nostra pista, indica chiaramente che l’assassino è una donna e che conosceva sia la Felsi che suo marito, inoltre ha una cicatrice sull’avambraccio”.
“ Capisco…e mi scuso con lei per le mie male parole”.
Dicendo questa frase si tira su le maniche della camicia, nessuna cicatrice risultava sugli avambracci.
“ Bene, signorina Caretti la ringrazio per il tempo che mi ha dedicato sottraendolo al suo lavoro, per quanto mi riguarda anche  lei è esclusa dalla lista degli indiziati. Faccia, però molta attenzione, credo che chi ha commesso i delitti abiti ancora nel vostro stabile…se per caso nota qualcosa di strano mi avvisi subito...Uscendo dallo studio notarile avevo l’amaro in bocca,  mi trovavo  con un  pugno di mosche in mano  e forse manco quello. Le  uniche certezze erano la cicatrice sull’avambraccio e che una donna aveva commesso questi omicidi.



 Decido di ritornare in ufficio, la giornata sta volgendo al termine, un accenno di mal di testa incomincia a farsi sentire.
Prendo un foglio e incomincio a scrivere tutti gli indizi che ho e i nomi delle sospettate, erano due se escludevo la Ferraris per ovvi motivi di età.
Rimaneva quel maledetto appartamento vuoto intestato a Baissa, non mi rimaneva altro che  ottenere un permesso di perquisizione. Il proprietario non era ancora rientrato in città, ma per ottenere questo pezzo di carta avrei dovuto aspettare l’indomani mattina.
Domando all’agente D’Ambrosio di accompagnarmi, la portinaia non è presente per farmi aprire l’alloggio del quarto piano, quindi  decido di aprirlo forzando la serratura. Era vuoto da diverso tempo come sapevamo e quindi avremmo dovuto trovare della polvere sui mobili e invece così non è, trovo la cosa alquanto strana. Nel bagno vi sono articoli per tingere i capelli con alcuni asciugami appoggiati sulla vasca.
“ D’Ambrosio, cerca un sacchetto, metti dentro questi articoli, chissà mai che la scientifica riesca a rilevare delle impronte.
Apro il mobile vicino al letto ,dentro  ci sono alcuni  vestiti, di cui uno mi sembra già di averlo visto ma non ricordo dove, e soprattutto la persona che lo indossava, anche un paio di scarpe da donna sono presenti nell’armadio..
 “ Quella maledetta deve avere avuto le chiavi da qualcuno per entrare qui, ma da chi? Due sono le persone che possono averla aiutata: la portinaia….” non finisco la frase,  corro giù per le scale.
Siamo davanti alla portineria, ma non faccio in tempo a bussare alla  porta che vedo arrivare Perino trafelato.



 

“ Commissario…la Ferraris….è scappata…” la voce è rotta dal fiatone.
“Perino? Come scappata...spiegati meglio”.
“ Meno di dieci minuti fa, ha ricevuto una telefonata. Con una scusante mi ha fatto andare nella sua biblioteca, dovevo cercargli  un libro mentre lo stavo cercando, la signora è uscita fuori dall’alloggio chiudendomi dentro, ho dovuto fare saltare la serratura per uscire”.
 Sono adirato con lui e dovrei esserlo anche con Gilda, ma in quell’istante provo un’enorme stima per la Ferraris,  una donna di notevoli qualità.
“ Va bene, sono cose che capitano…il problema ora è capire dove sia andata…”.
“  Per le scale ha urlato: dica al commissario di pregare per me…ha usato il verbo pregare un paio di volte”.
Busso alla porta della portinaia, nessuno risponde, riprovo. Chiedo a D’Ambrosio di provvedere a forzarla.
Anche qui l’alloggio è vuoto, nella camera da letto troviamo solo  i figli della portinaia che stanno dormendo, ma della donna nessuna traccia.  Intanto ripenso alla frase della Ferraris quando esclamo forte: “ Ci sono, stupido che sono, chiama la questura dicendo di mandare subito una pattuglia davanti alla chiesa di via San Donato, D’Ambrosio con me, presto!”.

Ho uno strano presentimento  riguardo la Ferraris, è in pericolo di vita, ne sono sicuro. Evidentemente l’assassina sapeva che poteva essere stata scoperta e  non le rimaneva altro che ucciderla.
 ( Continua)
 



 

 
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