Creato da: paperino61to il 15/11/2008
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Messaggi di Aprile 2018

 

Orrore e comicità

Post n°2344 pubblicato il 17 Aprile 2018 da paperino61to

Sto notando che in questo nostro mondo abbiamo: L'orrore della guerra, massacri di gente civile inerme, senza possibilità di difesa e la Comicità tipicamente italica.

Nel primo caso ennesimo fallimento di un carrozzone chiamato ONU, dove fa la voce grossa ( si fa per dire ) ma di concreto non fa nulla per fermare i massacri o genocidi ( vedi la Palestina).

Nel suolo italico sembra di assistere alla serie de Ai confini della realtà, dove i pagliacci vecchi si mescolano ai futuri pagati a peso d'oro, senza che a nessuno di loro interessi realmente di  cosa succede al popolino.

Due cose agli antipodi, orrore e comicità, entrambe tragiche seppur per versi diversi.

Povera umanità senza speranza, perchè se la speranza sono i nostri figli o nipoti, noi gliela abbiamo uccisa...

 
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Non solo comici...

Post n°2343 pubblicato il 14 Aprile 2018 da paperino61to

Sicuramente i due signori in questione li conoscete, chissà se anche le canzoni vi sono note...buon ascolto.

 

         

 

 

 

        

 

 

 

          

 

 

 

          

 

 

 

       

 
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L'intuizione di Maria ( quarto capitolo)

Post n°2342 pubblicato il 11 Aprile 2018 da paperino61to

 

Riassunto: Una donna viene uccisa e rinvenuta sulle rive di un fiume, non ha documenti e il volto è sfigurato da una fucilata. Il commissario Berardi ha come unico indizio un vestito, che è stato venduto alla signora Trevisani. La donna è reticente ha rispondere a banali domande, e ovviamente finisce assieme al marito negli indiziati. Un losco malfattore viene ucciso e il suo compagno sparisce per paura, entrambi avevano minacciato la proprietaria del negozio di abbigliamento, la quale aveva riconosciuto il vestito venduto alla Trevisani.

 

A fine giornata vedo Maria, è sorridente. Le domando il perché, e mi dice che la signora Trevisani si è scusata con la Orsini.

“ Pensa Marco, ci ha pure pagato la colazione. Quella donna non la capisco”.

“ Se è per quello manco io, ma per la verità non capisco neanche le altre donne”.

Mi lancia un’occhiataccia e le domando scusa.

“ Bene commissario, ora che si è scusato andiamo da Mamma Gina?”.

La passeggiata dal posto di lavoro a Piazza Vittorio è sempre piacevole; discorriamo del più e del meno.

Dopo cena mi domanda come sta andando l’inchiesta, rispondo che sicuramente il marito della Trevisani è implicato nei due delitti.

“ Il fucile da caccia che detiene è sparito; il custode della villetta nega il furto, quindi rimane l’ipotesi che il medico lo abbia portato con sé a Torino”.

“ Per farne che?”.

“ Sapessi la risposta…posso solo ipotizzare. Prove certe non ne ho, per ora solo indizi”.

“ Credi che la Trevisani faccia pressione perché tu smetta l’indagine? Ho paura che ti succeda qualcosa…”.

“ Sicuramente lo farà, ma stai tranquilla Maria, non mi succederà nulla. D’altronde non è la prima volta che tentano di ostacolarmi senza mai esserci riusciti”.

Nei giorni seguenti non accade nulla, è solo verso il fine settimana che vengo convocato dal questore. Prima di entrare nel suo ufficio, sento un concitare di voci provenire da esso.

Entro e trovo che il questore ha un ospite, è Alibrandi.

“ Buongiorno commissario…” il questore non finisce la frase che il gerarca fascista prende la parola.

“ Berardi, ho detto chiaramente l’altra volta di lasciar perdere l’indagine sui coniugi D’Ambrosi…non mi ha dato retta vero? Bene, ho fatto richiesta a Roma perché lei venga trasferito da Torino! Ho fatto il nome di un paesino vicino a Cuneo!”.

Rimango stupito da queste parole ma non lo faccio notare.

“ Quindi se capisco bene, fino a quando non arriva la richiesta da Roma io sono ancora in servizio qui, giusto signor questore?”.

Alibrandi  sbotta che mi devo rivolgere a lui e non al mio superiore.

Continuo ( guardando sempre il questore) che la mia indagine avrà fine entro un paio di giorni, dopo di che, se come credo i coniugi sono implicati nel doppio omicidio, sarò io stesso a chiedere al ministro della Giustizia Farinacci la complicità del qui presente Alibrandi.

“ Credimi, che per quanto Farinacci sia un fascista come te, ha una cosa che tu non hai caro Alibrandi, ovvero il senso della giustizia!”.

Esco dall’ufficio sentendo il caro gerarca imprecare contro di me.

Chiamo Tirdi e Perino  e spiego loro la situazione. Non abbiamo tempo da perdere, il tempo rema contro di noi. Un filo lega i due omicidi, ma quale, visto che della prima vittima non sappiamo nulla tranne il vestito identico a quella della Trevisani e una voglia sulla mano.

Il telefono squilla prima che esca dall’ufficio. E’ la sorella di Aresi, mi chiede se posso passare a prenderla perchè mi deve parlare urgentemente. Prendo nota di dove si trova, poi chiamo un agente che mi accompagni all’indirizzo datomi.

“ Voi due andate a cercare Giuspin… esatto, quello che è chiamato il topo di appartamenti. Se non è alla solita piola di Borgo Aurora, provate alle Nuove. Vi faccio firmare un ordine del questore caso mai ne aveste bisogno, quando lo trovate lo portate qui da me”.

La sorella di Aresi mi aspetta nelle vicinanze di Piazza Bengasi.

“ Commissario, si è fatto vivo Paolo, è vicino alla stazione Dora. Ho preferito dirglielo a voce”.

“ Ha fatto bene, dove esattamente?”.

“ Mi ha detto che quando arriviamo si farà vivo lui, dobbiamo entrare nell’atrio della stazione ed aspettare”.

La guardo e capisco che è inutile domandarle di tornare a casa. Entriamo nell’atrio, un paio di persone sono in attesa del treno per Ciriè, un uomo poco distante dorme sotto le coperte, è un barbone.

Siamo li da mezz’ora e Aresi non si è fatto ancora vivo, la sorella da segni di impazienza, mi domanda cosa possa essere successo. Un ragazzino viene verso di noi, ci consegna un biglietto: “ Attraversate i binari,  c’è un cespuglio a destra, dopo un paio di metri dopo troverete un passaggio, attraversatelo”.

Dico alla sorella di seguirmi, sentiamo il capo stazione urlare di non attraversare i binari poiché sta arrivando il treno.

Meglio ancora, siamo nascosti da eventuali occhi indiscreti.

Passiamo il cespuglio e percorriamoil passaggio indicatoci: Aresi è nascosto dietro a un muretto. Appena ci vede corre incontro alla sorella e la stringe forte a se.

“ Venga commissario, meglio entrare in quell’edificio…non abbia paura non è una trappola!”.

Entriamo, è un edificio abbandonato da tempo, c’è solo polvere e sporcizia, i barboni vengono qui a dormire. Una vetrata da sulla strada, in modo così ci permette di vedere se arriva gente.

“ Allora Aresi in che guaio ti sei cacciato? Forza parla!”.

“ Commissario, giuro che non sapevo che quello era un assassino. Io e il mio amico dovevamo solo spaventare le due donne, mi creda non avremmo mai fatto del male a loro”.

“ Su questo ho qualche dubbio, ma voglio crederti… vai avanti”.

“ Ho accompagnato Miccichè all’appuntamento in via Saluzzo. Il tizio era nascosto dietro a un angolo, non l’abbiamo visto in volto. Ha chiesto se volevamo guadagnare dei soldi, abbiamo risposto di si e ci ha detto cosa dovevamo fare. Il compenso è in due rate : mille  lire. Cinquecento subito, il resto dopo”.

“Poi che è successo?”.

“ Dopo aver spaventano le donne, ci ha ricontattati  per sapere come era andata,gli abbiamo detto che lei era venuto a parlarci. Non ha detto nulla in merito, ha solo chiesto di recarci in Borgata Leuman per prendere il resto del compenso pattuito… dovevo andarci anche io, ma quella sera avevo un impegno”.

“ Ti ha salvato la vita, e quando hai saputo della morte sei scappato da casa”.

“ Si!”.

“ Riconosceresti la voce di quella persona?”.

“Si!”.

Porto Aresi in questura, e domando al questore di poterlo mettere sotto protezione come testimone: “Agisca come meglio creda Berardi, ma mi raccomando agisca velocemente, Alibrandi non è uno che scherza facilmente”.

Intanto gli agenti avevano trovato Giuspin, era alla piola a ubriacarsi ed a ricordare ai clienti che lui era il miglior topo di appartamento.

“ Senti Giuspin, ti ricordi che mi devi un favore?”.

L’uomo mi guarda e cercando di smaltire gli effetti del vino con un paio di tazzine di caffè, risponde di si: “Se sono ancora vivo lo devo a lei commissario, se mi catturava la milizia mi fucilava al’istante”.

“ Ci credo, vai a rubare a casa di uno dei loro capi…”.

“ Allora, la situazione è questa: ho bisogno che tu venga con noi in una villa, devi solo aprire le porte per permetterci di entrare. Poi ci penso io con i miei uomini, non hai da preoccuparti”.

“ Devo un favore a lei, può chiedermi qualsiasi cosa”.

“ Tirdi, manda uno dei nostri a controllare se la villa è vuota, se non lo è, lo comunichino ai presenti che sono attesi urgentemente in questura”.

La fortuna questa volta è dalla nostra parte, l’agente che è di guardia all’abitazione ci avvisa che la cameriera è appena uscita e la Trevisani  sarebbe tornata che a sera tardi, è andata fuori città con il marito :” Gli ho visti andare via in macchina e dire alla cameriera che sarebbero arrivati per l’ora di cena” riferisce il collega.

“ Bene, commissario la villa è vuota, ora potete entrare…tocca a voi. Io rimango a disposizione”.

“ Ragazzi, cerchiamo questo benedetto fucile…forza”.

Solo dopo circa un’ora, Perino mi chiama: “ Commissario venga…presto!”.

Con il dito mi indica una rientranza nel muro nascosta da un pendolo con una porticina stretta con tanto di lucchetto. “ Giuspin, vieni qui, ho un lavoro per te”.

Il soprannome di topo d’appartamento se lo merita tutto, in pochi minuti apre la porticina.

“ Eccolo… commissario, lo portiamo con noi?”.

“ No, Perino, lasciamolo qui…Giuspin fai in modo che il lucchetto sia chiuso ma in realtà deve essere aperto”.

Lasciamo la villa appena in tempo, la cameriera stava arrivando. Torniamo in ufficio, oltre agli indizi e la prova del fucile ora manca solo il movente della donna uccisa, mentre  dell’assassinio del Miccichè è la paura che il committente delle minacce fatte a Maria e alla sua datrice di lavoro sia stato riconosciuto, per la prima vittima invece ero ancora avvolto dalla nebbia.

“ Si sforzi di mangiare commissario, vedrà che risolverà il caso… sa che la ritengo come un figlio per me!!”.

Povera Mamma Gina, come posso dirle che se fallisco vengo trasferito dalle parti di Cuneo come punizione?.

“ Ciao Marco, allora ci sono novità?”.

Racconto tutto a Maria, un sorriso spunta sul suo viso, affermando secondo lei  che sono a buon punto dell’indagine.

“ Manca il movente, senza quello sono solo indizi ma prove concrete non c’è ne sono. Certo è stato trovato il fucile, ma un buon avvocato troverebbe immediatamente una scusa perché lo tenessero in casa, e anche perché Aresi verrebbe sconfessato immediatamente, non avendo visto in faccia il mandante delle vostre minacce”.

Poi domando a lei come è andata la giornata, risponde bene e tra una parola e l’altra mi dice: “ L’altro ieri è venuta la signora Trevisani…sai che te lo avevo detto? Bene, non avevo mai notato, forse perché porta sempre i guanti, ma ha una macchia, come  una voglia sulla mano destra”.

La guardo ed è come se all’improvviso la nebbia si diradasse, rispondo che anche la vittima aveva  un’identica macchia nella stessa mando destra.  Maria continua dicendo che è strano, perché solo i “ gemelli “ possono portare lo stesso marchio fin dalla nascita.

Macchia e il vestito sono identici…: “ Che cretino che sono stato, grazie Maria…ti amo…ora corro in questura”.

Esco di corsa e prendo il tram che mi porta verso l’ufficio, entro trafelato e chiamo l’avvocato Grandi ( amico dei coniugi, in particolare della signora Trevisani) e domando se conosce il posto dove è nata la Trevisani, mi risponde che dovrebbe essere nata a Balangero da quello che ricorda, mi domanda il perché, ma non rispondo.

“ Tirdi, telefona al comune di Balangero e chiedi i dati di Clara Trevisani, immediatamente!”.

Dopo una decina di minuti che mi sembrano interminabili arriva la risposta. Il mio sorriso la dice lunga, abbiamo trovato il movente.

Nel primo pomeriggio una donna chiede di parlarmi, è la cameriera dei D’Ambrosi, la faccio accomodare.

Mi domanda se posso andare con lei nell’abitazione dei coniugi, ha trovato qualcosa che potrebbe interessarmi. Parla di un fucile nascosto nell’armadio del suo padrone, è piuttosto nervosa, si agita sulla sedia, gli occhi guardano sempre verso il basso.

“ D’accordo, chiamo i miei agenti…un attimo solo, mi aspetti qui!”.

Esco e vado dal questore riferendo le ultime novità, e chiedo che venga anche lui accompagnato dai  nostri agenti alla villa: “ Ovviamente, lei dovrà entrare solo dopo che la chiamerò!”.

“ Sospetta una trappola Berardi?”.

“ Diciamo che è meglio essere prudenti, come ho riferito il cerchio si è  chiuso, ho la prova, il testimone e il movente”. Quando esco impartisco un ordine a Perino.

Ritorniamo alla villetta. La cameriera è sempre più nervosa come avesse paura, entra per prima per poi avviarsi nel luogo dove ha trovato il fucile.

“ Ecco commissario, è nascosto lì dietro” e indica la libreria nella sala degli ospiti.

Ordino di guardare,  passano pochi minuti quando una voce ci ordina di fermarci.

Era il D’Ambrosi con la moglie, erano accompagnati anche da Alibrandi ed alcuni miliziani armati.

“ Bene Berardi, ora altro che a Cuneo la faccio mandare… stavolta l’aspetta una bella camera alle Nuove!”.

Era una trappola, direi ben congegnata.

“ Bene signori, spero non vogliate fare storie, e consegnatevi immediatamente ai miei uomini”, nel dire questa frase i miliziani puntano le loro armi contro di noi.

“ Stai sereno Alibrandi, almeno per qualche minuto ancora te lo puoi permettere. Tirdi, vai a chiamare il questore”.

Sia la coppia che il fascista rimangono stupiti davanti a questa frase e ancor più quando lo vedono comparire.

“ Cosa significa questa cosa? Anche lei è complice di questo buffone di commissario?” urla il medico.

“ Grazie per l’appellativo! D’Ambrosi, se permette suggerisco a lei e alla sua consorte di sedersi…siediti anche tu Alibrandi”.

“ Signor questore, ho voluto lei come testimone, perché l’indagine è giunta alla conclusione!”.

I coniugi mi guardano con astio e perplessità: “ Cosa sta dicendo? Che cosa c’entriamo con i delitti? Lei ci sta perseguitando”.

“ E’ vero signor questore, la prego arresti questo matto… mi perseguita solo perché… mio dio, mi vergogno a dirlo, risento ancora le sue parole!” esclama la Trevisani.

Devo darle atto che è una buona attrice:” Continui signora, la prego, siamo tutti curiosi di sentire cosa le avrei detto, o meglio proposto, credo che sia questo quello che vuol dire vero? Lei veniva a letto con me e io lasciavo perdere l’indagine o sbaglio?”.

“ Non si permetta di calunniare mia moglie!!”.

“ Stia zitto D’Ambrosi, è un consiglio, e lo stesso vale per lei signora, non aggiungete un altro capo di imputazione sulla vostra testa, ne avete già abbastanza”.

“ Carmen, vieni qui… non avere paura, ormai non potranno farti alcun male. Chi ti ha ordinato di venirmi a cercare per poi farmi venire qui?”.

La donna pur tremante indica il medico.

“ Quindi come vede, non sono venuto di mia spontanea volontà, non sono incappato in violazione di domicilio. In ogni caso, ho qui il permesso firmato dal questore per intraprendere un’ispezione. Caro D’Ambrosi, il fucile è in questa casa, lo troveremo, ne sono sicuro”.

Ordino a Tirdi e a Perino di cercare, ovviamente sapendo dov’era nascosta l’arma fanno finta di cercarla in tutte le stanze della villa.

La tensione è palpabile, la signora fuma nervosamente, mentre il marito non parla, osserva soltanto con aria beffarda.

“ Commissario, venga a vedere”.

A queste parole i coniugi si alzano e corrono da dove proviene la voce. Un’agente li allontana, mentre arrivo seguito dal questore e da Alibrandi. Scosto il pendolo, e con la pistola fingo di far saltare il lucchetto già aperto in precedenza dal Giuspin.

Con gesti lenti prendo il fucile: “ Come vede lo abbiamo trovato. Lo consegno agli agenti che lo porteranno alla scientifica che confermeranno che questo fucile è l’arma con cui sono stati uccisi il Miccichè e la donna sul Sangone”.

“ Lei è pazzo…signor questore non crederà e spero non permetterà di continuare questa farsa! Il fucile lo tengo per eventuali malintenzionati”.

Il questore non apre bocca e con un gesto mi indica di continuare.

Chiamo Tirdi accanto a me gli dico sottovoce di andare a prendere Aresi e di lasciarlo nella stanza attigua.

Mi rivolgo al medico chiedendo se è esperto di veleni, mi risponde sdegnato.

“ Strano, perché alcuni suoi colleghi, hanno confermato che lei ha una laurea in tossicologia. Strano che non se la ricordi? Anche perché la donna uccisa aveva nel sangue tracce di un veleno chiamato belladonna”.

“ Lei è pazzo Berardi!! Alibrandi ti chiedo di arrestarli tutti…immediatamente!”.

Il fascista non si muove e non dice una parola, capisce che non mento, ho le prove che i suoi amici sono degli assassini e che lui rischierebbe di esser coinvolto in complicità.

Il medico parla a ruota libera alzando sempre più i toni.

“ Entra Aresi…questo signori e signore è il compare di Micchichè l’uomo ucciso alla Borgata Leuman. Lui e la vittima erano stati ingaggiati da D’Ambrosi per minacciare la signora Orsini, proprietaria del negozio di abbigliamento dove sua… moglie, per ora uso questo aggettivo, andava a comprare”.

Prendo una pausa e continuo dicendo che il Micchichè è stato ucciso perché il dottore aveva paura che in qualche modo si potesse  risalire a lui, dopo una mia chiacchierata con la vittima e il qui presente Aresi; il quale ammette che nessuno di loro due ha visto in volto il mandante delle minacce, ma non ha difficoltà a riconoscere la voce.

“ Aresi, è questa la voce che hai sentito?”.

Risponde di si, non ha nessun dubbio e indica il dottore.

“ Mente!! Brutta carog….”.

“ Stia calmo dottore, la parte migliore deve ancora arrivare. Signora Clara…pardon…signora Bea Trevisani ora tocca a lei”.

La donna è una maschera di odio, mi guarda con aria di sfida, continua a fumare una sigaretta dopo l’altra.

“ Bene, signor questore e caro Alibrandi, dovete sapere che la suddetta signora ha una gemella, la quale è la moglie del qui presente medico. Purtroppo come a volte accade, il marito si invaghisce follemente della sorella. Le due donne sono identiche, compresa la macchia di voglia sulla mano destra. Su signora la faccia vedere, non la nasconda”.

“ Dove vuole arrivare con la sua assurda ricostruzione?” domanda D’Ambrosi.

“ Capite che ora una delle due era di troppo, e cosa fanno i due amanti? Di divorzio non se ne parla,  avrebbe compromesso la carriera del dottore, quindi c’è una sola soluzione da prendere: decidono di ucciderla. Quindi l’avvelenano e poi le sparano in volto con il fucile ritrovato poco fa per non risalire alla sua identità.”.

Prendo fiato e continuo: “ Ovviamente la vera moglie non sospettava che quella sera sarebbe stata l’ultima della sua vita. Immagino che lei caro D’Ambrosi, abbia proposto una cena fuori casa, (azzardo io questa ricostruzione) sua moglie si prepara con il vestito con cui è stata ritrovata, poi viene avvelenata e con un colpo di fucile, certo non sparato  in casa, viene resa irriconoscibile. Con l’aiuto della sua amante qui presente, si fa aiutare a portarla sulle rive del Sangone”.

Il questore domanda cosa c’entra il vestito: “ I due assassini avevano paura che in qualche modo si potesse risalire all’identificazione grazie a quel vestito. Era di ottima fattura, non certo alla portata delle tasche di molte donne. In qualche modo hanno sospettato che si potesse pubblicare sulla stampa la foto della vittima e con esso il vestito. Cosa che accade, e infatti la signora Orsini, proprietaria del negozio di abbigliamento dove si serviva Clara, la sorella gemella uccisa, venne in questura perché aveva riconosciuto il vestito”.

“ Quindi, se capisco bene, uno dei due coniugi ha comprato un altro vestito identico al precedente in modo che se lei fosse risalito a loro, avrebbero dimostrato che non era della qui presente signora, ma di chissà chi…” .

“ Esatto, signor questore. A comprarlo fu il dottore, e sono convinto che anche la proprietaria riconoscerebbe la voce, seppure l’uomo avesse il volto coperto dalla sciarpa e da un paio di occhiali scuri. Purtroppo per loro, la Orsini aveva solo due modelli di quell’abito, uno venduto alla vittima e uno a un misterioso uomo, il qui presente D’Ambrosi. Quando mi videro non ci volle molto a capire, che qualcuno aveva riconosciuto il vestito, e quel qualcuno è la proprietaria del negozio. Da qui l’idea di mandare due balordi ha minacciarla perché ritrattasse la sua testimonianza, peccato per loro che sia l’Orsini che la commessa siano venuti da me, fornendomi l’identikit di chi fossero i due uomini venuti nel negozio”.

“ Non capisco una cosa Berardi, ma i suoi amici non sapevano della sorella gemella?” domanda il questore.

“ Credo di no altrimenti me lo avrebbero riferito, evidentemente le due sorelle non andavano d’accordo e quindi preferivano tacere sull’avere una sorella gemella”.

Per un paio di minuti ci fu silenzio, poi venne dato l’ordine di arresto per la coppia di amanti.

“ Solo un attimo, posso andare in ufficio a chiamare il nostro avvocato?” domanda il dottore.

Il tutto si svolge in un attimo, l’uomo entra nella camera e si chiude dentro, un paio di secondi dopo un colpo di pistola echeggia in tutta la villa. Si era ucciso!

“ Berardi, devo a lei delle scuse. Sono stato ingenuo a credere nelle parole del mio amico D’Ambrosi, per quel suo trasferimento non ci sarà seguito, è carta straccia. Oggi stesso telefono a Farinacci e spiego le cose come sono andate. Lei commissario, sarebbe un ottimo uomo di partito, farebbe carriera se solo…vabbè lasciamo perdere!” dette queste parole Alibrandi esce dalla villa seguito dai suoi uomini.

A cena da mamma Gina viene anche la signora Orsini. Spiego a lei e a Maria che tutto è finito, la giustizia ha trionfato.

“ Lei è un santo, se non fosse stato per lei…”.

“ No signora Orsini, sono solo un semplice commissario…ma se non fosse stato per Maria, non credo sarei arrivato a conclusione di questa indagine”.

“ Vedi Marco, come tutti gli uomini dovreste tenere conto di noi donne, abbiamo quello che si chiama intuizione…già…l’intuizione di Maria in questo caso”.

Una risata avvolge il locale, mentre la luna illumina la città.

                                        Fine

 

 

 

 
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L'intuizione di Maria ( terzo capitolo)

Post n°2341 pubblicato il 09 Aprile 2018 da paperino61to

 

Riassunto: Una donna viene trovata morta sulle rive del Sangone. Le indagini si concentrano su una coppia: il dottor D'Ambrosi e sua moglie. Il vestito che la vittima indossava viene riconosciuto dalla proprietaria, la signora Orfini, del negozio di abbigliamento. Sia lei che la sua dipendente Maria( fidanzata del commissario) vengono minacciate da due balordi, vecchie conoscenze della questura: Micchichè e Aresi.

 

Appena tornati in ufficio, Tirdi mi avvisa che sono convocato nell’ufficio del questore immediatamente.

Mi reco da lui immaginando già cosa volesse dirmi, quello che mi stupisce è che accanto a lui ci sia Alibrandi, uno della società per bene e uno dei massimi esponenti fascisti della città.

“ Buongiorno commissario, lei conosce il signor Alibrandi ?”.

Accenno di si con la testa.

“ Bene Berardi, il qui presente signore è amico del dottor D’Ambrosi e della sua consorte…i coniugi si sono lamentati con lui per l’inchiesta sulla vittima ritrovata sul fiume. Considerano inaccettabile che lei  li consideri dei potenziali assassini, e si sono rivolti ad Alibrandi”.

Il fascista era intento a fumare come se la cosa non gli interessasse, ma intanto scrutava ogni mio singolo movimento.

“ In ogni inchiesta all’inizio ci sono dei sospettati, non so se gli amici del signor Alibrandi lo siano fino in fondo oppure no. Quello che è certo è che stanno mentendo, inoltre dovrebbero riferirgli che mettere di mezzo  persone di dubbia reputazione non è di certo il metodo migliore per venire scagionati…si calmi Alibrandi non era riferito a lei”.

“ Signori vi prego, calmatevi, siamo persone civili”.

“ Berardi, lei fa troppo il furbo, non creda che noi camerati siamo disposti a passare sempre sopra le sue frasi contro di noi, un giorno o l’altro…in ogni modo anche io voglio che sia fatta giustizia, ma non credo che i miei amici siano colpevoli più di quanto lo sia io o lei commissario”.

“ Se è una minaccia la sua, sa che in presenza di testimoni lei rischia grosso? Faccio finta di non averla sentita, per l’inchiesta sto valutando tutto, testimonianze degli amici della coppia, frequentazioni dei locali. Mi dica una cosa Alibrandi, cosa ne pensa della signora Trevisani? Meglio ancora, cosa ne pensa del suo modo di comportamento?”.

L’uomo ci pensa un attimo, poi dice che nei suoi confronti non trova nulla di  strano, è sempre la stessa Clara…un po’ meno chiacchierona del solito, ma non trova nulla di anomalo:”  non tutti i giorni sono uguali  non trova?”.

“ Bene signor questore se lei permette ho del lavoro da sbrigare”.

“ Vada pure Berardi e mi raccomando mi tenga informato se vi sono sviluppi”.

Nella giornata vengono a trovarmi un paio di amici della coppia sospettata, il filo conduttore è il cambiamento di carattere della Trevisani. Non riescono a capirne il motivo: “ Commissario era così affabile, gentile…e ora…non tronchiamo il rapporto solo per rispetto al marito”.

L’agente messo a guardia del negozio della signora Orsini riferisce che è tutto tranquillo.  Gli dico di accompagnare la titolare all’abitazione e poi di andare a casa, il negozio sta per chiudere e le due donne escono.

Maria mi viene incontro sempre con il suo splendido sorriso.

“ Allora commissario, come è andata la tua giornata? “ domanda e poi mi racconta della sua.

Le chiedo se la Trevisani è tornata in negozio, risponde di no e crede che non si farà più vedere.

Mentre ceniamo ripenso alla vittima, c’è qualcosa che mi sfugge, ma per quanto mi sforzi di pensare non approdo a nulla.

Torino è sferzata dal vento forte che arriva dalle montagne e la pioggia ha ripreso con intensità. Una chiamata in piena notte mi sveglia, è un collega della borgata Leuman, hanno trovato un corpo sul marciapiede di corso Francia, dai documenti della persona è Miccichè Antonio, residente in via Lamormora 32 a Torino.

“ Conosciamo bene questo tizio, commissario, chiamando in questura Perino ci ha detto che lei era andato a parlargli, ho pensato che forse la sua morte potrebbe essere collegata a qualche sua indagine”.

“ Grazie collega, infatti Miccichè è stato interrogato da me assieme al suo compagno Aresi. Vengo subito, avete avvisato la scientifica e il dottor Stresi?”.

Nel frattempo che arriviamo sul luogo del delitto, il dottore è già sul posto.

“ Ciao Berardi, un altro omaggio tuo?”.

“ Giuro che stavolta non c’entro, ero immerso nei miei sogni”.

“ Un colpo sparato a distanza ravvicinata in pieno petto, sicuramente da un fucile. Probabile che chi ha sparato conoscesse la sua vittima, visto che non si è difeso”.

“ Che fa dottore, mi ruba il mestiere?”.

“ Non sia mai detto, lei è il commissario, io sono solo un dottore…portatelo via. Domani in giornata le spedisco il referto in ufficio”.

“ Bene Perino, ora i morti sono due, almeno di questo conosciamo l’identità”.

“ L’hanno uccisoi perché l’assassino della donna aveva paura che parlasse”.

“ La mia stessa ipotesi…forza andiamo da Aresi”.

Quest’ultimo abita dalle parti di piazza Bengasi, in una casa popolare, vive assieme alla sorella e alla madre.

“ Commissario, le giuro che Paolo non c’è…non sappiamo dove sia andato. E’ rientrato ieri sera tardi ed ha preso una borsa, mettendoci dei vestiti. La mamma dormiva, e alla mia domanda dove andasse non ha risposto, mi ha solo detto che non dobbiamo preoccuparci”, parlare è la sorella di Aresi.

Guardo la mamma dell’uomo scomparso, ha ancora il viso bagnato dalle lacrime.

“ E’ importante che lo troviamo signorina, suo fratello è in pericolo. Hanno ucciso il suo compare Miccichè,  qualcosa mi dice che cercheranno di fare la stessa cosa con lui”.

“ Lo salvi, la prego commissario, è l’unico figlio maschio che mi è rimasto. I suoi due fratelli sono morti anni fa” singhiozza la madre.

“ Signora farò il possibile, ma ho bisogno della vostra collaborazione. Dovete dirmi chi frequenta Paolo…qualche nome nel suo ambiente lo conosco, ma non sono disposti a fare la spia…ha una ragazza?”.

“ Ci sarebbe una certa Elisabetta…non so il cognome, ma so che fa la cameriera in una pensione di via Nizza, quella davanti alla stazione di Porta Nuova”.

“ Proverò ad andare ora, se lo sentite ditegli di venire da me in questura…è in pericolo”.

La pensione vista l’ora è chiusa, devo suonare diverse volte per farmi aprire dall’usciere di notte. Domando se c’è una certa Elisabetta: “ Fa la cameriera da voi”.

“ Si, la Betty lavora qui, ma fa il turno di pomeriggio…vuole il suo indirizzo?”.

La ragazza dell’Aresi non abita distante da dove lavora, in via Silvio Pellico al numero sedici.

E’ sulla trentina, piuttosto formosa, capelli bruni e un viso piacevole.

“ Scusi l’ora ma avevo bisogno di parlarle di Paolo Aresi, sono il commissario Berardi”.

La donna ci fa entrare, chiede cosa sia successo al suo fidanzato.

“ Spero nulla, ma è in pericolo di vita!”.

Ha un sussulto a questa parola e domanda in che pasticcio si sia cacciato stavolta.

“ Lo amo commissario, glielo detto più volte di smettere di girare con quel suo amico Miccichè, ma non mi da retta”.

“ Il suo compare è stato ucciso, e la mia convinzione è che chi lo ha ucciso tenterà di farlo anche con il suo ragazzo”.

Le lacrime incominciano a scendere sul volto della donna, tra un singhiozzo e l’altro dice di non sapere dove si sia nascosto, è da un paio di giorni che non viene alla pensione : “ Ho provato ad andare a casa sua, ma la madre ha detto che anche lei non lo ha più visto”.

Guardo Perino, entrambi siamo convinti che non sta mentendo.

“ Bene signorina, le lascio il numero della questura, dovesse farsi vivo, mi chiami…e dica a Paolo che chiuderò un occhio sulle sue …diciamo attività, a patto che risponda a un paio di domande. C’è stato già un altro omicidio e credo che tra la morte del suo amico e della prima vittima ci sia un collegamento”.

Le strade della città incominciano a riempirsi di gente, un’altra giornata sta iniziando. Facciamo colazione in una piola io immerso con i miei pensieri, Perino con i suoi.

“ Che si fa ora commissario?”.

“ Bella domanda...per ora andiamo in questura e aspettiamo il referto di Stresi, poi vedremo il da farsi. Mi sta balenando in mente una cosa…”.

“ Quale?”.

“ Andare a casa dei coniugi D’Ambrosi e domandare alla loro cameriera se in casa c’è un fucile”.

“ E se troviamo la padrona di casa?”.

“ Pazienza, rivolgeremo la domanda a lei”.

Solo verso il primo pomeriggio arriva il referto medico. Indica che il Miccichè è stato ucciso da un colpo solo sparato a bruciapelo e che la vittima è morta all’istante. Il proiettile è di un  fucile da caccia ed è dello stesso calibro che ha ucciso la donna sul Sangone.

“ Tirdi, rintraccia Perino, e dille di venire dove abitano i D’Ambrosi, io sarò là”.

La signora Trevisani come da ultimo nostro incontro risponde sgarbatamente alle mie domande, e senza tanti giri di parole, dice chiaramente che si rivolgerà al massimo dirigente locale del fascio perché io la smetta di importunarla.

Noto il nervosismo che ha e continua a stringersi le mani in maniera piuttosto forte.

“ Vede signora, lei come suo marito, non capite che io svolgo semplicemente il mio lavoro. Non ho nulla contro di lei, mi creda, sto solo ponendo delle domande. Ci sono stati due omicidi e non vorrei che ci scappasse il terzo…tutto qui!”.

Il colloquio è di breve durata, mentre esco dall’abitazione della signora, la cameriera mi porge un foglietto senza essere vista dalla sua padrona, nel suo viso si intuisce che non debba chiedere il perché del suo gesto.

In strada trovo Perino ad aspettarmi, ci incamminiamo a piedi verso l’ufficio, e solo quando siamo arrivati che tiro fuori dalla tasca il biglietto dato da Carmen.

“ Villetta a Bussoleno, la usa il medico per andare a caccia”.

“ Bene, adesso spunta una villetta, Tirdi prendi l’auto e andiamo in questo paesino”.

Bussoleno è a pochi chilometri da Torino nella Val di Susa, un piccolo paesino ai piedi della montagna.

Chiediamo informazione nell’unica pensione del paese, conoscono il medico: “ Non personalmente, ma ne ho sentito parlare bene. Dovete prendere quella strada... esatto quella, la prima villetta che vedete è la sua”.

La villetta ha un giardino immenso circondato da enormi alberi. La costruzione è di tre piani, a fianco di essa intravedevo un capanno e un altro fabbricato, certamente è il garage.

Suoniamo diverse volte il campanello, solo dopo una decina di minuti abbondanti una persona si  presenta davanti al cancello.

“ Cosa volete? Chi siete?”.

“ Polizia!” e mostro il tesserino.

“ E successo qualcosa ai padroni?”.

“ No stia tranquillo, i suoi padroni stanno bene. Volevo solo porgli un paio di domande”.

Il cancello ci viene aperto, l’uomo è il custode della villetta.

“ Lei sa se il dottor D’Ambrosi detiene un fucile da caccia? “.

“ Si certo, il dottore è un appassionato di caccia. Lo volete vedere?”.

“ Se fosse possibile ”.

Ci porta nel fabbricato che avevo intravisto, ma non era un garage bensì una specie di tavernetta.

“ I signori d’estate invitano i loro amici e passano il tempo qui, come vedete è abbellito come fosse una tavernetta”.

Una vetrinetta era situata in un angolo chiusa a chiave.

L’uomo la apre ed esclama: “ Ma…il fucile…non c’è!”.

Sulla rastrelliera un posto era vuoto, vi era una carabina una rivoltella e pure una balestra.

“ Che cosa manca di preciso?”.

Rispose il fucile da caccia, alla domanda se ne era sicuro, si accigliò: “ Certo che si, mica sono scemo o ubriaco. Fino a una decina di giorni fa quest’arma era qui assieme alle altre”.

“ Potrebbe essere che il medico lo abbia preso?”.

“ Per farne che? In città non va mica a caccia”.

“ Allora lo hanno rubato, non crede?”.

“ Lo escludo in maniera categorica. Io abito qui nella villetta, e se qualche male intenzionato vuole entrare me ne accorgo, ho il sonno leggero, e di notte slego il cane, un rottweiler, ubbidisce solo a me”.

“ Quindi rimane l’ipotesi che il fucile sia stato preso dal suo padrone”.

“ Basta che non dia la colpa a me, io non ne so nulla…ditelo anche a voi al dottore”.

“Stia tranquillo lei non c’entra, glielo diremo…a patto che lei non dica nulla della nostra visita”.

Il custode ci guarda e capisce che in qualche modo il suo datore di lavoro è nel mezzo di un’indagine. Mi porge la mano, come segno di patto.

( Continua)   

 

 

 

 
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London 60'

Post n°2340 pubblicato il 07 Aprile 2018 da paperino61to

 Stasera facciamo un salto nella Londra degli anni 60' con gli Shamrocks...

 

        

 

 

 

         

 

 

 

       

 

 

 

 

          

 

 

 

   

 
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