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« PianificazioneLe tende »

L'appartamento

Post n°364 pubblicato il 01 Settembre 2014 da meninasallospecchio

Mi sono rotta talmente le balle di stare in campagna che vorrei vivere a Milano. Giuro. A me piace Milano, è molto più brutta di Torino, ma ha il vantaggio di non essere abitata da torinesi. A Milano avrei quasi certamente lavoro e forse persino una vita sociale decente.

Ma vabbé. Non sono sola al mondo. Ho fatto una scelta ragionevole, sono andata dove mi sento più protetta da un ambiente familiare e da un po' di conoscenze: lì sarà più facile occuparmi di mio figlio. Ma se non è Milano, ho fatto comunque la scelta abitativa più estrema possibile.

Oddìo, non è stato del tutto voluto. Io volevo soltanto un appartamento in centro, dove mio figlio potesse essere autonomo e girare a piedi. Stiamo comunque parlando di una città piccola, ciò che mi importava era non doverlo scarrozzare in auto, altrimenti tanto valeva stare in campagna. Il caso ha voluto invece che trovassi un appartamento esageratamente centrale, tipo che se fai una X sulla mappa della città, dove si incrociano le linee, lì abito io.

Ovviamente sto in ZTL. Sul cruscotto delle mia auto malconcia, anno 2001, campeggia un cartoncino rosso: PERMESSO DI TRANSITO. Con quello posso infilarmi fra pedoni increduli, turisti con la mappa in mano, fiancheggiare tavolini di dehor e introdurmi nella viuzza che porta a casa mia. Non ho garage, non ho cortile. Mi fermo davanti al portone di ingresso, di fianco ai tavoli di una pizzeria. Gli avventori mi guardano perplessi: per lo più stranieri che mangiano la pizza a pranzo, magari bevendoci su un barolo. Il proprietario mi scruta con odio, mentre scarico i miei scatoloni nell'androne.

Questione di pochi minuti, poi riparto facendo il pelo al tavolino e parcheggio raso muro nella viuzza. Hai il permesso per parcheggiare? direte voi. No. Potrei avere una specie di abbonamento per la sosta nei posti blu, ma quella via è talmente stretta che a nessuno è venuto in mente di farci i posti blu. Non esiste nessun permesso semplicemente perché non ci si potrebbe parcheggiare affatto. Ma non sono mica l'unica, a me l'hanno consigliato altri.

Questo post si autodistruggerà perché sto scrivendo troppe informazioni, manca poco che metta l'indirizzo. Vabbé che sul citofono mica c'è scritto meninas. A dire il vero non c'è scritto neanche il mio nome. Come si fa? Boh. Io ci potrei anche mettere un'etichetta a cazzo, magari il giorno che collego la stampante. Però le altre sembrano tutte uguali, devo chiamare l'amministratrice? Sembrerebbe un problema insulso con cui cagare il cazzo alla gente.

L'appartamento è ammobiliato, o forse dovrei dire "era", perché ho operato una tale rivoluzione che la proprietaria stenterebbe a riconoscerlo. Ora va bene, mancano soltanto pochi dettagli, di quelli che se non li sistemi subito rischi di decidere che in fondo va bene anche così. Non c'è neanche uno straccio di balcone. Ce ne sarebbe stato uno piccolino, ma è caduto vittima della mania di verandare tutto il verandabile. Ospita ora uno sgabuzzino, peraltro utile, visto che lo sgabuzzino originario è diventato nientepopodimeno che una cabina armadio. Figo, eh, avere una cabina armadio. Credo di essere l'unica donna che non ha mai desiderato possederne una: comunque ora ce l'ho. L'impiego più sensato che mi viene in mente è nasconderci l'amante, ma non avendo un marito, per quanto mi riguarda i miei amanti potrebbero pure incontrarsi, e non escludo che prima o poi accada.

Ovviamente l'assenza di balconi comporta un problema con eventuali ospiti fumatori. Dato che io ho smesso di fumare dal 2002, chi vuole farlo può accomodarsi nella strada sottostante, dove peraltro potrà guardare le vetrine. A occhio e croce direi che non ci sono nemmeno zanzare (e detto da me ci potete credere), ma è presto per affermarlo con certezza. Del resto in città si sta per vivere fuori casa, dopo tutto, e quindi se si vuole fumare si esce e basta. Inoltre chi viene a trovarmi deve viaggiare leggero perché senza cartoncino rosso non sono raggiungibile in auto.

Per portare via la rumenta (altrimenti detta spazzatura), devo uscire dal portone, fare il giro dell'isolato e introdurmi in un cortile chiuso a chiave. Il giro comporta il passaggio, rumenta e tutto, nella via principale della città, tra i tavolini di un dehor e le vetrine di una profumeria. O lo faccio nottetempo o me ne batto il belino. Penso che opterò per la seconda.

L'altra sera ero così compresa di questa nuova vita inurbata che ho voluto fare una cosa molto cittadina: ordinare sushi. L'avevo visto fare solo nei film americani; da quando è venuto in auge anche da noi, io abito in cima al bricco e se qualcuno mi dovesse recapitare il sushi a casa credo che dovrei pagarlo tipo 200 euro. Ma anche in città la faccenda si è rivelata più complicata del previsto. "Facciamo la consegna alle 21.45", mi sono sentita dire. Ecchecazzo, scommetto che a New York fanno prima. Ho capito, vengo a prendermelo, il sushi.

Esco. Saluto quelli del negozio di fronte (è la dodicesima volta nella giornata), quello della pizzeria mi manda un'occhiataccia. Rientro 20 minuti dopo, ri-saluto, ribecco l'occhiataccia. 
Sento che la mia privacy è finita.

 
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