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Un blog creato da simurgh2 il 29/04/2010

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Non so se quello che faccio possa chiamarsi "scrivere". Piu che altro confeziono dei brani che possano servirmi a riempire dei buchi (H. Murakami)

 

Messaggi del 03/05/2012

Le tapparelle di Magda Szabò

Post n°444 pubblicato il 03 Maggio 2012 da simurgh2
 

Poco dopo le otto.
C'e una malagrazia nel tirar su le persiane la mattina.  Che tu sei la tranquillo assorto sul balcone, con la risacca nella battigia dei pensieri, e la persiana di fianco vien tirata su in malomodo, a strapposecco, che la senti lacerata si spacca, resiste poi urla, ed è un urlo di plastica, uno strakk secco, poi non senti ma listarelle marron, una all'altra congiunte, a regolar le luci e le ombre e la dallo scuro che c'era di dentro la stanza, lo senti anche il giorno di fuori lagnarsi che pigro a quell'ora deve affrettarsi a buttar anche lui luce dentro dove prima era buio e me lo vedo che prima un bel pò irritato la luce dentro la stanza non gliel'ha riversata all'istante ma ha aspettavo e la Loredana di la energumena spiccia donna che quando le ha alzate per un istante e più è rimasto buio come fossero ancora calate Non sa che le persiane sono le palpebre della casa ? E che la casa poi, o solo in quella stanza, fa regnare il malumore e si pone il dirupo, non lo sa? Non lo sa che la luce nasconderà munizioni sotto armadi e como'? Alzale piano e con grazia te le tapparelle sai amore mio.
Delle persiane non ne parla mai nessuno, almeno a cercare nel web, se non per vendere, insegnarti ad aggiustare. Nessuno prende il considerazione le loro palpebre, lo sbattere che sanno fare di ciglia, le minuscole feritoie, i bacini leggeri alla luce, il riparo alle tempeste, alle spade infuocate degli angeli vendicatori, allo schiantarsi sui vetri dei corvi.
Il pomeriggio poi, stando sotto alla pergola, là con un libro (1), nella casa oltre il giardino, vedo l'anziana signora affacciarsi al balcone che da sulla terrazza. La sua testa muoversi con circospezione: una lenta occhiata di quà e di là. poi afferrare il balcone con dita artrosiche e nodose e avvicinarne i lembi, quasi fossero palpebre e accostarli con premurosa cura. Poi si è sentito il cardine di ferro girare con un lieve cigolio, che era più un sospiro del meccanismo che un lamento. Insomma a me quella è parsa poesia del gesto, la grazia, che se uno sà vederla, delizia. Rende lo spirito come preghiera. Pare lenire, rendere in pari. Dare armonia.

Da un'altra parte, a sud-ovest della piana.
Una donna, quella mattina le aveva tirate su forte.
Mi dirà poi, non sapeva delle munizioni sotto gli armadi,
delle reazioni dei mostri sorpresi dalla luce brutale.
Titto è nato subito, appena chiusi gli occhi.
Un minuscolo sogno. Una luce che attraversava la porta.
Non era certa di sognare. Cosi, appena chiusi gli occhi.
Nella fessura sotto la porta una luce.
Un'ombra che vedevo nel sonno in quella luce passare.
In quello che non sapeva se era un sogno quell'ombra passava.
L'ombra di una bambina che teneva per mano i due fratellini gemelli.
Scappava dal ceffone di una madre che l'aveva ferita.
Ancora prima delle prime luci, si incamminò per il villaggio vicino.
Teneva i due piccoli per mano ma appena giunti in strada volevano già sedersi.
Avevano sete, volevano bere. Cosi la bambina si diresse alla fontana.
Doveva lasciarli soli, ma la fontana non era lontana.
Non aveva mai visto arrivare cosi in fretta una tempesta.
Il cielo cambiò all'istante, non diventò nero ma lilla.
Come se avessero acceso dei fuochi in mezzo alle nuvole. 
I rombi dei tuoni si propagavano alti nel cielo.
La bambina mollò la boraccia a terra e corse indietro.
Spaventata, il cuore rollava, non vedeva le teste bionde dei gemellini.
L'acquazzone scrosciava furioso impedendogli di vedere.
Quando il fulmine squarciò l'albero la bambina li vide li sotto.
Vide le loro teste bionde brillare e un'istante dopo incenerire. 
Continuò con gli occhi subacquei a cercarli. Non potevano essere loro. 
Urlava isterica i nomi. Non potevano essere quei due legni neri, contorti. 
Girava la testa di qua e di là. La sua voce urlava e si sentiva fino a casa.
La madre usci scalza di corsa sotto la pioggia, urlando anche lei.
Sembravano impazzite. La madre aveva intuito la catastrofe. Piangevano.
Prese a picchiarla con ferocia. Gridando scure le tenebre. 
Voleva distruggere, colpire alla cieca. La bambina spezzata.
Poi, mentre tuoni e lampi erano cessati li vide, sotto l'albero, morti.
Scappò via correndo a zig zag e gridando come un uccello impazzito.
La bambina vide sua madre, da lontano gettarsi nel pozzo.
La bambina non riusci a muoversi. Rimase accanto all'albero e ai due corpicini.
Era come stregata, la testa vuota, la mamma nel pozzo, i due carbonizzati.
Un'uomo poi la prese per mano e la portò via.
La portò fuori dal sogno, aprì gli occhi. La fascia di luce sotto la porta.
E vide un'ombra attraversarla, e vide un'ombra attraversarla ancora. 
Alzale piano le tapparelle la mattina, amore mio.

(1) "La porta" di Magda Szabò - Einaudi 

 


Czesław Mozil - Violin Girl

"così nel pozzo cali piano la secchia 
con cautela la risali 
come la tapparella la casa"

 
 
 
 

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