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Il mio primo acido libro. Questo blog ne è la continuazione

 

 

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Rocky Bilboa

Post n°13 pubblicato il 25 Gennaio 2012 da tagliatrentotto
 

Non frequento la piscina comunale e non amo lo squash. Non m'intendo di calcio e ai mondiali tifo sempre Germania. Potete chiamarmi succube, poetessa o leonessa. Sportiva proprio no. Competere ad armi pari può darmi la sgradevole sensazione dell'arrivo di un'ineluttabile sconfitta che io non riuscirei certo ad accettare o elaborare, ma farei sfociare in candido esaurimento nervoso. Per questo non gareggio mai. Gare e sfide presuppongono uno confronto amichevole tra le parti, ma se si scende sullo scivoloso terreno dell'affettività e dell'amicizia, tutti sanno che in me scarseggiano. Lascio penetrare il mio profilo da amicizie sincere solo su Facebook, amicizie di cui conosco l'avatar ma non i sentimenti, e alcune di loro, se non mi vanno a genio, le congelo in qualche spazio virtuale poco friendly, così da rinforzare la mia vera natura Nazi.
Fin da piccoli, le coppie celebri dei giochi di squadra cartoons come Holly&Benji e Mila&Shiro ci hanno insegnato a perdere con grazia e godere dei nostri autogol. Ma io nella vita odio perdere. Ho sempre e solo perso chili di troppo, portafogli e fidanzati criminali che non ho mai più reclamato. La mia ricetta per avere unicamente giorni vincenti è di evitare qualsiasi tipo di scontro. Così faccio dei lunghi monologhi, e i miei discorsi scomodi rimbalzano in stanze vuote come un flipper abbandonato. Nessuno potrà odiarmi o recriminarmi una parola sbagliata.
Non partecipo mai a concorsi, neanche quelli a punti, dove è impossibile non aggiudicarsi almeno una spugna da bidet, e se proprio un giorno mi dovesse capitare di mettermi in gioco per un infausto posto da ragioniera del comune, io pregherei Iddio, che almeno per una volta, quel tesoretto di raccomandazioni che fanno il vero bagaglio culturale italiano, venisse a baciare in fronte anche me.
Di norma non mi ingaggio in complicati rapporti sociali perché ho un fare da cinghiale che poco si addice al blando relazionare tanto di moda nella buona borghesia locale. Anche l'office culture , qui in Veneto, è un fiore che nasce dal bullismo sommerso, una silenziosa arma nucleare che può detonare stabili carriere in due minuti. L'ufficio è una palestra dove alleno costantemente il mio lato gerontofilo, reazionario e anti-sportivo, e dove testo i miei slanci di ipocrita camaraderie. Piuttosto che affrontare un tete-à-tete animoso con un collega incazzato, io preferisco sabotargli i freni dell'auto, o più generalemente mettergli un bastone tra le ruote, una sottile asticella d'astio, vendetta o invidia verde che rende l'etica aziendale delle PMI decisamente più pepata e claustrofobica. Ma se proprio mi dovesse succedere di vedere rosso e scornare qualcuno, io non gli lascerei viva neanche una costola o un motivo per fregarmi. Quando il capo dice Voaltri dové colaborar, io mi sento invece di odiare e trollare, perché praticare lo sport e altri atteggiamenti di empatia verso il prossimo significherebbe che non ho mai guardato neanche una puntata di Desperate Housewives. Non che il capo non abbia mai meditato di scorporarmi immediatamente dall'azienda. Ma non pensate a me come ad un individuo sociopatico e leopardiano, totalmente impermeabile agli inciucci tra i sessi: sto spesso al bar a pescare tipi da cocktails e proposte di matrimonio. 
Non cerco mai di trasformare le mie tante rabbie in un circolo delle bocce, solo le scarico puntualmente su quella zona grigia, ma virulenta, di gossip ammazza persone. Tante di loro muiono sotto il peso delle maldicenze. Ma io non cado mai, perché se dovesse succedere, sarei così triste da voler tornare all'era dei LEGO, dove tutto era costruito per me. 
Non mi sposto granché da me stessa. Mi muovo forse un pò all'interno, con grandi tempeste di ormoni e divagazioni dell'anima, ma fuori mai. Sono spesso attraversata da isterismi che mi danno mille facce, mille umori e punti di vista, ma non intendo scostarmi di un millimetro dal mio baricentro di ragazza ferma. E se il cervello è cristallizzato, lo sono per forza anche le gambe, lunghe e distese sul divano. Il movimento è tutto nella TV. La mia magrezza non è un sapiente body tonic, ma continua sottrazione di calorie fino a lasciare solo lattughine rimbambite. Nessun' erba in fondo riesce a sostenere una decente attività fisica, neanche la più soporifera delle scopate. Così sono cresciuta pallida e rattrappita nella stessa noiosa dimensione volumetrica, alcune volte anche elettrica ed esplosiva, ma solo sottopelle. I muscoli inebetiti a risvegliarsi unicamente durante i saldi di fine stagione. E ancora ancora mi colpiva un infarto dopo aver percorso kilomentri di sconti. Gambe snelle ma parassite e braccia conserte sono i miei attributi migliori.
 
Ogni bulimico che rientra a casa dopo otto ore di duro lavoro ha un punto debole. Per qualcuno è un tipo di dolce che deborda, probabilmente un profiterol, per qualcun altro un tipo di insaccato che ricorda il membro, sicuramente un salame contadino, oppure un orario particolare della giornata, faccio una scommessa sull'ora dei quiz televisivi. Il momento di un gioco a premi per me è sempre attraversato da grandi dubbi. Sarà A o sarà B. I quiz mi lasciano sempre ad un bivio così afferro pane e salsiccia e pongo fine ad ogni incertezza. 
Immaginate quando, non molto tempo fa, ho scoperto che per rispondere a tutti i miei quiz e uscire definitivamente dalla bulimia, dovevo solo rincasare dal lavoro, infilare le tette in un top della Nike, incrociare le dita e iniziare a muovere il culo fuori dal mio recinto. In poche parole diventare una cazzo di sportiva. Lo jogging avrebbe riempito come stucco quell'ora suscettibile di feroci abbuffate compresa tra le 19 e le 20, ora in cui percepivo i quesiti come non mai, e mi avrebbe condotto fuori dalla mia pigrizia metabolica.
Ma di tutte le responsabilità che il mondo ti può assegnare, quella di uscire dal divano o dalla tua Frau, e mollare l'atmosfera pregna di vincite milionarie, è davvero la peggiore. Cosa c'è di più brutto che indossare un pantalone blu con tre bande laterali, e tirare dei pugni all'aria invece che al tuo capo, ai bordi della statale? Il bisogno d'affettato è solo bisogno di affetto, questo motto accompagna ogni buon runner e consola anche me nei momenti più duri. E così le maratone si ripetono giorno dopo giorno. Si, forse, come al solito, c'è qualcuno che mi insegue. Non ci penso due volte a fuggire dalle mie addictions se si fanno insistenti. E se d'inverno sono solo un pezzo di carne ricoperto di acrilico Adidas, d'estate è tutta un'altra storia. Lo sport ogni tanto ti regala quei quindici minuti di gloria che reclami dalle superiori. Il footing dei mesi afosi infatti è la gioia di ogni camionista oltreché la necessità di un ex-bulimica. Un ombelico parlante e degli shorts pornografici ti faranno l'icona di ogni TIR in transito attraverso l'opitergino-mottense (un TIR con un'erezioni direbbe Melissa P.). Ma la parola ingrassare ti fa ancora schiattare. Non è una parola ma un pensiero cattivo da allontanare. Una guarigione dalla bulimia si può amministrare. Basta spalmare dell'olio Bilboa sulle gambe atletiche, tagliare fuori il frigorifero dalla corsa quotidiana, e ripercorrere la tua vita daccapo. Muoviti un pò meno dentro te stessa e invece esci dai tuoi jeans e dalle tue posizioni scontate. Tutti i moscerini e gli occhi dei camionisti di certo si attaccheranno su quell'olio Bilboa.
Ora ho pure un bel culo. Prego le stagioni di non portare serate piovose che mi costringerebbero in casa assieme alla parmigiana, ma di regalarmi estati secche e californiane buone per correre nei campi mezza nuda.

 
 
 
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