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Perfidie di Stefano Torossi

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Messaggi di Giugno 2014

Traslochi

Post n°284 pubblicato il 29 Giugno 2014 da torossis

 

  IL CAVALIER SERPENTE

  Perfidie di Stefano Torossi

  30 giugno 2014

  TRASLOCHI

 

La Santa Casa

10 Maggio 1291: I Mammelucchi invadono la Palestina. C'è da salvare da quei senzadio la casetta di Giuseppe, Maria e Bambinello. Niente paura, il settore aereo della ditta "Angeli & C. - Traslochi" interviene con la consueta efficienza, e in men che non si dica, la piccola monocamera con veranda viene trasportata a Tersatto, dalle parti di Fiume. La località non dev'essere tanto per la quale, perché dopo soli tre anni, l'irrequieto domicilio emigra di nuovo in un bosco vicino a Recanati. Tranquilli? Macché. La zona risulta frequentata da ladroni e briganti. Si rende necessario un nuovo trasloco, stavolta a poca distanza, in un podere di proprietà di due fratelli, che cominciano subito a litigare per la destinazione dell'immobile: uno vuole farci il deposito attrezzi, l'altro la tavernetta. Ultima chiamata alla ditta Angeli & C. che acconsente a trasferire quella che ormai, a forza di viaggi, è diventata una fatiscente baracca; ma per l'ultima volta. Non ne possono più di clienti con le idee tanto confuse. Così la depositano in mezzo alla strada, e se ne vanno facendo perdere le proprie tracce.

I contadini della zona le arrangiano una tettoia provvisoria, poi ci costruiscono sopra una chiesetta, finché interviene il papa, e allora finalmente nasce il barocco, sontuosissimo Santuario della Madonna di Loreto.

A parte alcuni dettagli un po', come dire, fantasiosi, è una bella storia.

Alla quale, a quanto pare, credono in molti.

Noi da quelle parti ci siamo passati, e abbiamo visto torme di fedeli, tra cui parecchi su sedie a rotelle, che, piadina alla mano, cantavano, pregavano, suonavano le inevitabili chitarre e sembravano in pace e felici di essere lì.

La stiamo prendendo alla larga per arrivare al trasloco di oggi. Dal Santuario della Madonna di Loreto al:


Venticinquesimo Festival di Musicultura

Che si manifesta, come tutti gli anni, nella terza settimana di giugno a pochi passi da Loreto, per la precisione, a Macerata, e per essere ancor più specifici, nel suo magnifico Sferisterio.

La prima metà dell'evento, quella culturale, si estrinseca nella Controra, una serie di incontri pomeridiani di poesia e letteratura in cortili e piazze della città. Informali, brevi e interessanti. Dai peggiori di noi sono vissuti anche come alibi intellettuale per un'assoluzione preventiva in vista della cerimonia che segue immediatamente: il Negroni al Bar di Piazza Mazzini. Opportunamente corroborati, qualcuno anche malfermo, si va poi per lo spettacolone allo Sferisterio, dove c'è la rutilante metà musicale.

Grande palco, grandissima platea, pubblico sterminato. Quest'anno temperature clementi, per fortuna. In passato abbiamo avuto serate da pelliccia.

Otto concorrenti, tutti piuttosto buoni. Vince meritatamente i bei ventimila euro del primo premio Dante Francani con "Tuta blu".

Il resto delle serate è riccamente farcito di illustri ospiti, quasi tutti, tranne poche eccezioni, canuti: la Premiata Forneria Marconi, Mango, gli Area, Gino Paoli. Non ancora nonni, comunque di mezza età anche loro, Luca Carboni e Tony Esposito. Coincidenza, proprio negli stessi giorni va in scena a Roma un evento anagraficamente simile, anche questo basato su quattro rugosi lucertoloni ultrasettantenni: i Rolling Stones al Circo Massimo. Che succede, abbiamo esaurito i giovani?

C'è un momento particolare di sabato sera. La poetessa Tiziana Cera Rosco, personaggio multiforme, legge con grande padronanza della voce e bella presa sulla scena, una poesia della Szymborska, emergendo in cima a un cono di stoffa di vari metri, un sottanone da lei stessa progettato e realizzato, cospargendosi tutta di stucco. Potrebbe sembrare una trovata furba, invece è un atto sentito e pensato, secondo noi, e crediamo anche secondo il pubblico, a cui è piaciuto molto.

Torniamo indietro un momento a questo Francani, il vincitore, che è un tipo strano. Perfino sul suo nome di battesimo ci sono due scuole di pensiero: è Dante sul programma di sala, Daniele sulla stampa. Si presenta come semplice (anzi, in certi momenti, addirittura sempliciotto) operaio di un paesino in Abruzzo. Su di lui è già leggenda: dice che è stato iscritto al concorso, a sua insaputa (questo ci ricorda qualcosa?), dalla moglie. Non siamo riusciti a riconoscere la sua vera faccia fra quelle che propone. O è davvero un grande ingenuo che si offre al pubblico con la più assoluta innocenza ("non vorrei essere qui sul palco stasera...sono pronto a dividere il premio se qualcuno prende il mio posto") o un furbissimo, superlativo attore che fa la parte dello smarrito, ma così bene da ingannare tutti e da mantenere intera la simpatia verso il suo personaggio, un metalmeccanico un po' sfigato, sacrificato nell'arena con la sua tuta blu. Ma che importanza ha? E' bravo, comunicativo, funziona, e in più la canzone è azzeccata. Infatti ha vinto; ed eravamo d'accordo quasi tutti.


Il viaggio di ritorno, più rustico di quello di andata fatto sulla A 24, si srotola lungo strade secondarie che attraversano l'Appennino. Ci rendiamo conto di quanto sia cambiato il panorama. Siamo abbastanza stagionati da ricordare, come cronaca, ma senza la senile nostalgia dei bei tempi andati, le distese di grano quasi maturo. In seguito abbiamo fatto l'occhio alle nuove, sterminate piantagioni di girasoli e di soia. Ultimamente quello che vediamo sempre più spesso è molto diverso. I tempi sono cambiati e i campi luccicano di specchi solari.

E' chiaro che il contadino, che magari non avrà più le scarpe grosse, ma mantiene il cervello fino, ha capito che la coltivazione di energia rende più di quella delle graminacee.



                                        

 
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Gita alli Castelli

Post n°283 pubblicato il 23 Giugno 2014 da torossis

 

  IL CAVALIER SERPENTE

  Perfidie di Stefano Torossi

     23 giugno 2014

  GITA ALLI CASTELLI

                          

Gita alli Castelli

Crediamo che il titolo sia poco chiaro. Servirà qualche spiegazione.

Nel 1926 Franco Silvestri scrive la canzone "Gita alli Castelli", anche nota come "Nannì", che diventa immediatamente l'inno di quel gruppo di paesetti, una volta vacanzieri, ora densamente abitativi, sulle colline a sud est di Roma, chiamati appunto i Castelli. I primi versi della canzone fanno: "Lo vedi, ecco Marino, la sagra c'è dell'uva; fontane che danno vino, quant'abbondanza c'è". Marino è il nome di uno dei Castelli. Ma è anche il nome dell'attuale sindaco di Roma, e i versi, specialmente l'ultimo, si prestano mirabilmente a sbertucciarlo.

Piccoli pezzi del puzzle principiano a produrre promesse. Eccole.

Quando ci siamo eroicamente arrampicati fino in Piazza del Campidoglio, il pomeriggio di martedì 17, sotto un cielo nerissimo, richiamati dall'annuncio della mobilitazione generale di tutti i lavoratori dello spettacolo (già il termine "tutti" riferito ad artisti e loro azioni di gruppo è fantascienza), promossa dal comitato delle manifestazioni escluse dall'Estate Romana, ci aspettavamo una gran folla di colleghi. E gran folla abbiamo trovato, che cantava in coro  "Lo vedi, ecco Marino...", ma di altri manifestanti.

Infatti c'erano ben tre proteste contemporanee.

Una, di numerosi, arrabbiati e nerboruti, ma soprattutto compatti lavoratori della Roma Multiservizi (sorveglianza, controlli, pulizie, ecc.) che reclamavano orari e stipendi migliori, occupando la Scala dell'Arce Capitolina dal gradino zero al gradino venti, ed erano quelli che cantavano a gran voce la Gita alli Castelli, per chiamare fuori il sindaco Marino (che non si è visto).

Poi c'era il gruppo che manifestava contro la delibera 148, della quale poco abbiamo capito, se non che decreta la chiusura dei canili pubblici, trasferendo le povere bestie in mani private, il che, a quanto pare, per gli animalisti è una catastrofe. Tanto è vero che il simbolo che esponevano sul selciato del Campidoglio era una cuccia trasformata in cassa da morto. Questi secondi manifestanti, più sobri, non cantavano ma esibivano, oltre alla cuccia-bara, cani al guinzaglio addobbati a lutto e facce lunghe.

E poi c'erano i nostri colleghi; pochi, purtroppo, come ogni volta che c'è da fare qualcosa per la categoria: quattro o cinque a reggere lo striscione in cima alla scala (gradino 22 e 23), sopra la massa unita dei lavoratori della Multiservizi, e poco più di una ventina in piazza, in gruppetti confabulanti, fra cui tentavano di farsi strada grupponi di turisti in transumanza, perplessi da questi tre assembramenti mischiati ma visibilmente diversi l'uno dall'altro.

"Italians molto pitoreski" abbiamo sentito bisbigliare da qualcuno.

Prima di scappare di fronte all'acquazzone ormai pronto a esplodere, abbiamo notato che una piccola delegazione dei nostri era stata fatta entrare in municipio. Poi più niente.

Sono anni che siamo delusi dall'incapacità della nostra categoria (anzi, forse sarebbe più giusto chiamarci gregge) di farsi sentire, di fare muro, di rappresentare un interlocutore capace di tenere testa a un'autorità che se ne infischia della cultura, e quindi di noi.

Eppure speriamo sempre che succeda qualcosa di buono. Siamo pazzi? O scemi?


PS. 20 giugno, è arrivato il contentino. Comunicato:

"L'Assemblea Capitolina ha approvato oggi la mozione Di Biase che impegna il Sindaco e la Giunta Capitolina a stanziare fondi aggiuntivi per le manifestazioni storiche dell'Estate Romana e per assicurare l'effettiva realizzazione dei progetti risultati vincitori dei relativi bandi."

Una caramella per tenere buono il pupo. Perché pare che i fondi supplementari bastino appena per non fare affondare qualcuno, ma non per tenere a galla tutti gli altri. Il problema è che a Roma, oltre all'Assessore, manca sempre qualcosa per capire cos'è, e soprattutto a cosa serve la cultura.


Teatrus interruptus

E' successo allo spettacolo di apertura del Festival di Villa Adriana che avremmo voluto vedere, mercoledì sera: "Verso Medea"di Emma Dante.

Prima, sì; poi, forse; alla fine, no. La pioggia.

Insomma, ci siamo fatti quei trenta infernali chilometri di Via Tiburtina, ci siamo presi un consolante bicchiere di vino (niente Negroni in zona archeo) al baretto dell'ingresso, siamo saliti alla Villa, abbiamo raggiunto le Grandi Terme, ci siamo ammucchiati all'ingresso delle tribune...e poi ha cominciato a caderne troppa per andare in scena.

Peccato. Ma i lampi, i tuoni e il tramonto tempestoso sui ruderi erano comunque uno spettacolo che meritava il viaggio.

Se il tempo ridiventa estivo, come dovrebbe, il festival va avanti. Noi ci saremo.

 


                                        


 

 
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C'era una volta...

 

   

          IL CAVALIER SERPENTE         

Perfidie di Stefano Torossi

   16 giugno 2014

      C'ERA UNA VOLTA...


C'era una volta...

Nel 1878 Alfred Strohl-Fern, un signore alsaziano, artista e mecenate, e soprattutto ricchissimo, comprò otto incredibili ettari di terreno appena fuori Porta del Popolo (l'idea che poco più di un secolo fa si potessero ancora comprare ottantamila metri quadrati in pieno centro è sbalorditiva), ci impiantò un bosco incantato, un giardino favoloso, un laghetto da sogno, costruì una villa per sé, e accanto a questa una trentina di studi nei quali invitò pittori, scultori e poeti a vivere e lavorare.

Vent'anni dopo ad Anticoli Corrado, poverissimo paese di pastori in Ciociaria, ma già famoso perché le ragazze e i ragazzi da lì scendevano a Roma, e, ai piedi della scalinata di Piazza di Spagna, si offrivano come modelli ai pittori della vicina Via Margutta, nasceva Pasquarosa.

Che era la più bella di tutte. Anche lei scese a Roma, fu modella, sposò il suo pittore e diventò Pasquarosa Bertoletti. Ma fece qualcosa di più delle altre. Era analfabeta e imparò a scrivere; non sapeva cos'era un pennello e diventò presto un'audace pittrice di talento. E tutto questo era cominciato nella boheme, poi diventata successo, in uno studio di Villa Strohl-Fern.

Dove, in un altro studio, quello del pittore Trombadori, l'unico rimasto intatto (erano tutti uguali), con ancora i quadri alle pareti e gli stessi mobili di allora, la sera del 7 giugno gli attori Gloria Sapio e Maurizio Repetto ci hanno raccontato in forma di diario a due voci la favola di Pasquarosa, da pastorella ignorante ad artista internazionale. Promotrice, l'Associazione Amici di Villa Strohl-Fern, che si batte, finora con successo, perché questo frammento del passato non finisca fra le fauci della scuola francese, ivi ubicata, che sta cercando di papparselo.

Una serata deliziosa, di ricordi e riferimenti alla storia del secolo scorso: arte, costume, politica, due guerre e una dittatura. Solo cent'anni, ma pieni di  movimento. Come ultimo regalo a fine spettacolo, prima di accompagnarci al cancello della villa, che purtroppo (o per fortuna) non è aperta al pubblico, ci hanno fatto fare un giro nel bosco per vedere le lucciole. Milioni ce n'erano.

"Una Striscia di Terra Feconda"

Accoppiata jazz Italia-Francia in un festival organizzata da Paolo Damiani al Teatro Studio del Parco della Musica a partire da venerdì 6. Due diavolesse francesi aprono le ostilità: Fanny Lesfargues al basso-chitarra, Raphaelle Rinaudo all'arpa elettrica con idee, suoni, luci e gesti davvero nuovi, aspri, provocatori. Proprio nel carattere dell'iniziativa.

Più tradizionale, come facce e strumenti, ma altrettanto audace e spericolatissimo come suoni il duo di pianiste Rita Marcotulli e Sophia Domancich.

L'audacia va avanti per parecchie altre serata in cui ci sarà sempre un doppio contrasto-complicità di esecutori italiani e francesi.

Insieme alle congratulazioni per la sua ostinazione a tirare dritto con questa bella idea, a Damiani giungano le nostre condoglianze per la situazione ufficiale, da lui stesso illustrata prima del concerto: neanche una lira dagli sponsor istituzionali, addirittura uno di loro, pur lasciando intravvedere una minima possibilità, ha aggiunto che le delibere degli stanziamenti si faranno a settembre. Per un festival che va a giugno ci sembra un bel tempismo. Per fortuna, una volta tanto, la vituperata Mamma Siae è arrivata in soccorso con una somma non grande, ma da tamponamento. Le vecchie istituzioni, se sollecitate (onore al merito aggiunto di Damiani, egregio sollecitatore) ogni tanto danno cenni di vita.

Problemi di tempo (non musicale)

Un quadro (una scultura, un'architettura) li si riesce a giudicare nei pochi secondi che l'occhio ci mette a scannerizzare, confrontare con lo standard estetico di chi guarda e catalogare. Per una musica (un film, il teatro, anche un libro), bisogna aspettare fino alla fine perché occhio e orecchio registrino e spediscano il tutto alla valutazione del cervello. E' una faccenda che ruba un sacco di tempo alla nostra vita. Quando va male, il danno è forte. Tanto quanto il piacere, se va bene.

Piccola premessa per raccontare la serata di lunedì 9 all'Istituto Giapponese di Cultura. Un concerto di strumenti tradizionali: shakuhachi, shamisen e koto, prima da soli, poi in trio. Problema numero uno: aria condizionata rotta in sala. Temperature da immaginarsi e sudore a fiumi. All'uscita la signorina ci spiega: "Noi chiamato, ma opelai lomani non allivati".

E poi: sì, le sonorità sono di sicuro interessanti, specialmente quelle del flauto, ma la latitanza (magari è colpa nostra, ma non crediamo che succeda lo stesso portando Mozart da quelle parti) di qualsiasi fatto armonico o melodico, vocale o strumentale, che sia riconoscibile e gratificante, rende molto precario il piacere dell'ascolto e inevitabilmente spinge la contabilità del tempo investito, sul rosso. Con l'aggravante della temperatura di cui parlavamo prima, ma siamo sicuri che anche col fresco non sarebbe cambiato un gran che.


                                           

 
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Orfani

 

 

 

    IL CAVALIER SERPENTE

   Perfidie di Stefano Torossi

  9 giugno 2014

   ORFANI

            

Orfani.

C'erano gli orfani veri, i fratelli Luca e Marco, e poi c'eravamo anche noi, orfani spirituali di Lilli Greco, riuniti a ricordarlo lunedì 2 giugno alla Sala Sinopoli del Parco della Musica, in una serata organizzata da Nicoletta Della Corte, sua amica, ninfa, ispiratrice, custode. Perché Lilli, per tanti anni direttore artistico della RCA è stato una chioccia (dotata di un bel caratteraccio, ma anche d'infallibile intuito) per tanti: Conte, Venditti, De Gregori, Servillo, Dalla, Vianello e avanti all'infinito: tutti suoi pulcini. E molti erano lì a ricordarlo senza smancerie, anzi, con abbondanza di aneddoti e barzellette: un ritratto meglio riuscito di tanti necrologi.

E' ormai un fatto che noi che siamo entrati nell'ultimo quarto della vita, presumendone una durata ipotetica di un secolo (magari!), stiamo cominciando a concentrare le nostre frequentazioni sociali su funerali e commemorazioni.

Sul palco è salito il grande cantautore a dichiarare che senza Lilli forse lui sarebbe rimasto un signor nessuno; c'era la Wertmuller che ha raccontato con molta ironia la loro collaborazione professionale; si è presentato il collega a dire delle amichevoli furibonde litigate fra romanisti e laziali; c'era l'altra coppia di fratelli, Luigi e Andrea Fontana, orfani veri anche loro, di Jimmy, che hanno cantato con Luca e Marco le canzoni scritte insieme dai due padri.

E' stato bello, certo, ritrovarci lì a riconoscerci nel ricordo del comune amico. Ma tutto questo è polvere di quello che non c'è più: la persona. Perchè Lilli, il nostro amico, esisteva nella parolaccia che gli scappava per qualche misfatto musicale, nel tifo esagerato, nei buffi bermuda che portava spesso. Questo significava qualcosa mentre eravamo insieme, noi e lui, vivi. Che non è lo stesso di rivedere la sua faccia filmata, risentirne la voce registrata o condividerne il ricordo con gli amici.

E che ci sia ancora qualche sua traccia in un altro luogo con cui non riusciremo mai a comunicare, possono anche raccontarcelo: noi non ci crediamo. Certo non saremo mai in sintonia con quelli che scelgono di stordirsi con illusioni consolatorie, tipo: "E' lassù che ci guarda e sorride. Lo vedi, è lui che dirige l'orchestra dei colleghi sulla seconda nuvola a sinistra, e poi suona in duo con Benedetti Michelangeli". Balle. E' tutto finito e basta.


Buona la prima.

Mercoledì 4 eravamo alla presentazione del recente CD dell'etichetta Parco della Musica, "Doctor 3": Rea, Pietropaoli, Sferra. Un'informalissima, divertente cerimonia, alla quale, insieme a questi tre musicisti, ottimi e in ottima salute, si sarebbe trovato bene anche Lilli Greco, perché lo spirito era lo stesso. Roba seria, ma anche molto cazzeggio.

Chiacchiere, ascolti, aneddoti, esagerata confusione su date e nomi. Insomma tutto il repertorio di finto rimbambimento senile che, quando stanno in compagnia, i vivaci sessantenni esibiscono volentieri prima (o per evitare di) rimbambirsi davvero.

I brani, ripresentati in squisite versioni jazz, vengono tutti dal musical americano anni '40, dal repertorio pop, dai Bee Gees, dai Beatles. Grandi canzoni su cui sfarfalla più che l'improvvisazione, quello che Rea chiama il delirio sul tema. Un intero CD registrato in due giorni di sala, spesso un brano completo, dall'inizio alla fine, senza interruzioni.

Appunto: buona la prima.


Inaspettato Barocco Dixieland.

5 giugno, ore 16.30. Nel più inaspettato dei luoghi, la sontuosa Biblioteca Vallicelliana, barocco capolavoro di Francesco Borromini, tempio degli studi più profondi e del silenzio accademico, ci troviamo, inaspettata, la Roman Dixieland Few Stars di Michele Pavese, in un concerto organizzato dal Salotto Romano con la formula "Piccola storia del jazz in parole e musica".

Pavese e gli altri hanno raccontato personaggi e fatti di un secolo fa, e poi si è dato fiato ai classici del dixieland, per chiudere naturalmente con i Marching Saints. Pubblico, inaspettatamente partecipe, di anziani. Ancor più inaspettata la buona acustica del salone, di sicuro dovuta agli scaffali pieni di preziosi manoscritti e incunaboli, che arrivano al soffitto.

L'idea di portare il dixieland, musica nata nei malfamati sobborghi neri del sud degli USA, in un ambiente di così esasperata raffinatezza europea ci è sembrata davvero inaspettata, ma nel senso migliore. Chissà cosa ne avrebbe pensato il Borromini, genio balzano al punto che, arrivato al sommo della professione, forse per la rabbia di non aver avuto lo stesso successo del suo rivale Bernini, inaspettatamente si infilzò con la sua propria spada e schiattò il 3 agosto 1667.



                                         

 

 
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Conferenza stampa con attentato

 

  IL CAVALIER SERPENTE

  Perfidie di Stefano Torossi

2 giugno 2014

CONFERENZA STAMPA CON ATTENTATO

                    

Conferenza stampa con attentato. Mercoledì 28 maggio. Presentazione del venticinquesimo Festival di Musicultura nella mitica Sala A della Rai a Via Asiago, Roma. Musicultura è una di quelle idee nate in sordina, e in provincia (Recanati, Marche), che poi è cresciuta fino ad arrivare a rosicchiare i talloni a Sanremo. Un grande festival nazionale che ha oltretutto la fortuna di abitare, oggi, allo Sferisterio di Macerata, uno degli spazi più affascinanti, inconsueti, grandiosi e spaventosi (nel senso che fa paura per quanto è bello e grande) d'Italia. Fra le altre novità abbiamo saputo di una medaglia al merito della Presidenza della Repubblica consegnata alla manifestazione per le sue nozze d'argento. Congratulazioni.

Simpatica chiacchierata, che noi condividiamo in pieno, di Ezio Nannipieri, vicepresidente di Musicultura, sull'importanza per i cantanti e musici pronti a uscire dall'uovo di considerare sempre la musica come una bottega dove ognuno deve fare prima il garzone, poi il commesso, e magari, se è davvero bravo, alla fine diventare il proprietario della ditta. In altre parole, benedetta la gavetta e la passione per il mestiere. Senza demonizzare le major, naturalmente, ma anche senza considerarle il fine supremo di una carriera.

Contenti gli organizzatori, gli sponsor, le autorità della città e della provincia, ingiacchettati e incravattati al tavolone. Naturalmente abbiamo un appunto da fare, forse da snob, forse da vecchiardi, non a loro, ma ai concorrenti che, con l'eccezione delle ragazze che su questo argomento la sanno lunga, erano tutti vestiti nel modo più involontariamente banale immaginabile.

Seduti fra il pubblico, la mattina, ok. Ma la sera, quando c'è stato il concerto di presentazioni degli otto pezzi finalisti, gli stessi concorrenti avevano ancora gli stessi stracci addosso.

"Involontariamente banale", abbiamo detto, e questa è la nostra critica. Salire sul palco è una funzione quasi sacra; comunque un atto che, per rispetto al pubblico e ai colleghi, richiede una certa preparazione, un certo comportamento e anche un certo abbigliamento. Formali? Sì, se è una scelta. Bizzarri? Anche. Ma tutto dev'essere il risultato di un pensiero e di molte prove, e non del caso che ti fa acchiappare la prima maglietta a portata di mano. Proprio così: i vestiti, come la musica, o la recitazione, o qualunque altra cosa si voglia fare là sopra, sono essenziali.

E l'attentato? E' stato subito dopo la presentazione: il buffet. In una calda, afosa giornata tipicamente romana ci siamo trovati davanti un'appetitosissima distesa di specialità marchigiane: cotiche con i ceci, porchetta farcita, melanzane ripiene, robusti vini bianchi e rossi, e liquori vari al caffè e alle erbe. Irresistibili. A costo di restarci secchi. Il conto, in forma di abbiocco (termine romanesco per definire lo stato di sonnolenza che segue l'esagerata assunzione di cibi e bevande) lo abbiamo pagato per tutto il pomeriggio.


Il canto del cigno. Potrebbe esserlo davvero. Da tutte le parti arrivano voci di una soppressione della Casa del Jazz, ormai storica istituzione, piazzata in un parco bellissimo lungo le Mura Aureliane, appena fuori Porta Ardeatina. Si mormora che fosse la villa di qualcuno della Banda della Magliana, nota organizzazione criminale romana, sequestrata, risistemata e dedicata, all'epoca in cui i nostri sindaci pensavano anche alla cultura, ai cittadini e al jazz.

Bene, proprio qui, la sera di venerdì 30, mentre sui rossi mattoni delle storiche mura il sole tramontava e sul citato splendido parco planavano zanzare grandi come aquile, la Alfamusic, meritoria produttrice di dischi ed eventi jazz, ci ha invitati a un concerto che non dimenticheremo tanto facilmente.

 Ecco perché. Per presentare l'uscita del CD "Bluestop", sul palco, alle tastiere di due Steinway affiancati c'erano due massimi pianisti jazz: Enrico Intra ed Enrico Pieranunzi. Abbiamo goduto della loro tecnica superlativa e del loro gusto squisito. Ma in più abbiamo riso dall'inizio alla fine perché questi due supremi (e anche piuttosto maturi) professionisti del pianoforte li abbiamo visti comportarsi come Bibì e Bibò e scambiarsi gli scherzi che i due fratellini terribili facevano alla Tordella e a capitan Cocoricò. Ma poi, tornati seri, li abbiamo sentiti eseguire da maestri composizioni originali insieme a versioni jazz di Poulenc e Hindemith, con una mistura sublime di swing e richiami alla musica colta. Il tutto con la più grande familiarità e senza nessuna pompa accademica.

Argutissime presentazioni di Pieranunzi, il quale, malgrado il suo aspetto austero sa essere spiritoso e rispondere con garbo alle punzecchiature che continuamente gli manda Intra.

Insomma, bell'incontro, belle risate, bellissima musica. Un ottimo concerto di chiusura: secondo noi il migliore della stagione.



PS. Velocissimo e irresistibile. Come si fa a lasciarsi scappare una notizia come questa? "Medico multato perché andava a duecento all'ora sulla Orte-Viterbo. Si giustifica dicendo che corre a Vetralla per un'emergenza. La stradale gli fa notare che Vetralla è nella direzione opposta e gli ritira la patente". Mica male, una scusa così scema per un professionista adulto e presumibilmente responsabile. La Repubblica, 31 maggio. (Come sempre quando citiamo simili ridicolaggini, teniamo a disposizione il ritaglio).



                                         


 

 
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