Blog
Un blog creato da jek1944 il 23/11/2008

Università e Ricerca

Idee per una riforma

 
 

FACEBOOK

 
 

ARCHIVIO MESSAGGI

 
 << Maggio 2024 >> 
 
LuMaMeGiVeSaDo
 
    1 2 3 4 5
6 7 8 9 10 11 12
13 14 15 16 17 18 19
20 21 22 23 24 25 26
27 28 29 30 31    
 
 

TAG

 

AREA PERSONALE

 
Citazioni nei Blog Amici: 1
 

 

I punti su cui discutere 2a p.

Post n°8 pubblicato il 26 Novembre 2008 da jek1944

Modello di struttura per il settore scientifico

Risulta chiaro che ogni università dovrà poter conferire i due primi livelli di laurea, eventualmente in non tutte le articolazioni possibili.

La radicale proposta che io faccio, sulla base delle considerazioni fatte prima, è sostanzialmente quella di ridurre a DUE e non più di DUE le cosidette lauree brevi, una laurea orientata ai settori scientifico tecnici, l’altra a quelli umanistici e giuridico-sociali. I contenuti di questi due primi livelli di istruzione superiore dovranno essere qualitativamente elevati e poco o niente “professionalizzanti”.

Non sta a me suggerire quali tipi di contenuti debba avere la laurea breve per il settore umanistico e giuridico-sociale, ma posso indicare quanto sia necessario per quella del settore scientifico-tecnico. Nei tre anni occorre consegnare allo studente un bagaglio di base di conoscenze fisico-matematiche e di scienze naturali che gli permetta di essere in grado di comprenderne tutta la necessaria integrazione per la conoscenza del mondo fisico (almeno l’equivalente di un corso annuale di fisica e di uno di matematica per ogni anno di corso, due corsi annuali di chimica, due di biologia). Questi potranno essere integrati nel terzo anno da due corsi annuali a scelta, a seconda delle tendenze dimostrate dallo studente nel corso dei primi due anni ed a seconda dell’obbiettivo che pensa di voler conseguire.

I possibili obbiettivi di questo primo livello, che chiamerei di “diploma universitario” in scienza e tecnica, sono molteplici ed ognuno sarà conseguito attraverso una opportuna selezione per passare al secondo livello o per entrare direttamente nel mondo del lavoro.

            -Ingresso diretto nel mondo del lavoro attraverso interviste e/o test per essere collocati in zone di apprendistato “professionalizzante” offerte dal datore di lavoro stesso.

            -Ingresso nell’insegnamento nella scuola media inferiore attraverso concorso.

            -Esame di ammissione specifico ad un corso di laurea di II livello (laurea specialistica) in uno dei settori: Scientifico, Tecnico, Medico, Economico-sociale.

I quadri I e II illustrano a grandi linee la struttura proposta.

Al termine del corso di secondo livello, conseguita la laurea specialistica, lo studente deve essere in grado di conseguire uno dei seguenti obbiettivi:

            -Ingresso diretto ad un livello di quadro, nel mondo del lavoro attraverso interviste e/o test per essere collocati in zone di apprendistato (non più di un anno) “professionalizzante” offerte dal datore di lavoro stesso.

            Ingresso nella scuola media superiore attraverso concorso.

            Esame di stato per l’accesso ad una professione libera

            Esame di ammissione specifico ad un corso di dottorato di ricerca

E’ essenziale, per l’equiparazione dei diritti delle università UPP, che l’accesso al dottorato non possa avvenire nell’università dove si è conseguita la laurea specialistica. Questa norma avrebbe anche lo scopo di rompere, fin dall’inizio, il fenomeno dell’ “inbreeding” che vede i ricercatori nascere e morire nella stessa struttura. Inoltre essa contribuirebbe al miglioramento della qualità della selezione che non sarebbe falsata da fattori localistici.

Questo principio di non località va fatto valere di norma per tutti i passaggi all’interno della struttura universitaria, da questo momento in su. Così il dottore di ricerca che desideri accedere alla docenza universitaria dovrà entrare nel primo gradino permanente della stessa in un ateneo diverso da quello dove si è addottorato. Analogamente per il passaggio da un gradino all’altro della carriera. E’ solamente in questo modo che le selezioni verranno ripulite dai dannosi fattori localistici. Sommato al fatto che le Università, per effetto della  necessità di una buona valutazione della struttura, saranno spinte ad assumere personale sempre più valido, questo provvedimento renderebbe il “concorso” universitario un oggetto che potrebbe essere tranquillamente gestito localmente, come viene fatto in larghissima misura in tutti i paesi europei.

Questa mobilità va correlata con provvedimenti economici adatti a permetterla (stipendi, offerta di abitazioni calmierate etc.) e comunque attuata specialmente nei primi livelli della carriera.

Quindi il mio suggerimento e’: obbligo di trasferimento nei passaggi laurea-specialistica-> dottorato e dottorato-> ricercatore, ma poi progressione di carriera all’interno della stessa universita’. In questo senso bisognerebbe anche cominciare a distinguere tra reclutamento e progressione di carriera!

Consistenza delle strutture e costi

Valuterò solo i costi del personale e delle risorse minime che ad esso personale devono essere destinate per metterlo nelle condizioni minime di concorrere validamente alle gare di finanziamento pubbliche (nazionali od internazionali) per la ricerca di base.

            La ricerca moderna, che non sia quella della “Big Science”, per la quale occorrono centri mondiali come quelli della fisica delle alte energie o della fisica spaziale, viene fatta in larga misura nelle Università (si veda un qualsiasi periodico scientifico) da equipes di ricercatori che operano a vario livello: da un leader, che generalmente è un professore al massimo gradino della carriera; da un certo numero di collaboratori, generalmente più giovani, anch’essi appartenenti allo staff permanente dell’istituzione (da due o tre, per le equipes più piccole, a numeri superiori anche di molto per le grandi equipes o per le aggregazioni di più equipes sotto uno stesso leader); da un numero circa equivalente di altri collaboratori non facenti parte dello staff permanente, ma che hanno già conseguito un titolo di dottorato (i cosidetti post-doc); dai dottorandi e dai laureandi. In una equipe di una università UR i dottorandi dovrebbero essere almeno uno per ogni membro permanente dello staff. Nelle università UPP, lo staff permanente con gli eventuali post-doc ed i laureandi dovrebbe essere sufficiente ad assicurare quella attività minima di ricerca che è essenziale a caratterizzare il lavoro di insegnamento universitario.

            Prendendo una equipe di ricerca anche minima quindi occorre pensare ad uno staff permanente composto da un professore di I fascia, uno o due di seconda (1,5), tre ricercatori stabili e cinque o sei dottorandi (5,5) per una equipe di UR (i post-doc si suppongono pagati sui fondi di ricerca reperiti); per una equipe di UPP avremo in media invece 1,5 elementi per ogni fascia di staff permanente. Naturalmente l’Istituzione deve provvedere agli spazi sufficienti (studi e laboratori) dove l’equipe possa operare, che mediamente si possono quantificare in un minimo di una cinquantina di mq di spazio per persona. Inoltre occorrono i servizi: servizi tecnici, segreteria, mezzi di comunicazione, accesso a biblioteche rifornite etc. Inutile, anzi dannoso, per una istituzione ampliare l’organico delle sue equipes in assenza di questi requisiti fondamentali. Non basta ancora: ciascun membro dell’equipe deve poter contare su una dotazione minima finanziaria per poter come minimo iniziare il lavoro che gli permetta di inserirsi nei canali competitivi di finanziamento della ricerca, diciamo 10-15 migliaia di euro per persona. Per la equipe minima della università UPP avremo quindi in media una spesa corrente (stipendio e dotazione minima) di almeno 400-500 migliaia di euro, prima ancora di spendere qualcosa in vero e proprio sforzo di ricerca. Per una UR questa cifra va almeno triplicata.

E’ ovvio il motivo per cui in primis si deve pensare ad una limitazione del numero di università UR: la finitezza delle risorse e la necessità della loro concentrazione.

L’organizzazione, dal punto di vista finanziario e logistico, di una università di ricerca completa, che disponga di tutti i settori (che è una necessità, nel panorama moderno dello sviluppo delle conoscenze, data la grande dose di interazione che può verificarsi tra settori diversi), è opera gigantesca e costosa. Le risorse per la ricerca devono essere largamente presenti, e ciò che ne determina il livello di organizzazione e di costo è la competizione internazionale e niente altro. Non è pensabile che un paese come l’Italia possa contare su un numero di centri di questa fatta limitati solo dai desideri locali di possederne uno. Il numero di università oggi censite nel nostro Paese ammonta più di settanta, quando il numero di una trentina esistente nell’anno 1970, quando il livello degli studi superiori era decisamente più alto di quello odierno, era già sovrabbondante.

Io stimo che non si possano pensare nel nostro paese più di venti università UR e forse di una quarantina di UPP.

E’ altresì evidente come non possa essere il ricorso alla forma, a dir poco nebulosa, della Fondazione privata a risolvere il problema.

Ridistribuzione dell’organico

Non sarebbe quindi impossibile ridistribuire questi docenti, tra le università UR ed UPP, tenendo presenti i criteri che sono stati elencati per la definizione dei due tipi di istituzioni. La ridistribuzione andrebbe fatta ad organico fermo, ma rapidamente, in modo da poter mettere a regime tutto il meccanismo quanto prima possibile. Provo ad illustrare le fasi del periodo transitorio:

-          Definizione delle 20 università UR

-          Ogni unità delle università UR ed UPP mette in “mobilità” i docenti di ogni fascia di cui ritiene poter fare a meno, sulla base di valutazioni compiute dal settore locale di appartenenza.

-          Ogni unità delle università UR ed UPP richiede la eventuale copertura di posti di organico già disponibili o che si renderanno disponibili nel corso della fase transitoria.

-          Nel passaggio da una università UR ad una UPP, in questa fase transitoria e solo in questa fase transitoria, il personale che si trasferisce passa alla fascia superiore con trasferimento di budget e sua integrazione da parte dello Stato all’Università di destinazione.

-          Nel passaggio da una Università UPP ad una UR, in questa fase transitoria, e solo in questa fase transitoria, il personale che si trasferisce conserva la sua fascia con trasferimento di budget. Il trasferimento avviene alla fascia superiore solo se la Università di destinazione integra il necessario budget.

Queste disposizioni assumono che vi sia un’incentivazione positiva per docenti di fascia inferiore a migrare da università UR ad università UPP progredendo di un gradino nella carriera, con eventualmente la speranza di un ritorno ad una università UR in un secondo tempo tramite trasferimento ordinario per semplice chiamata. Molte situazioni in cui elementi buoni che non si trovano a loro agio nell’unità di appartenenza per aver raggiunto una maturità incompatibile con la bassa autonomia di ricerca, o per altri motivi, dovrebbero trovare soluzione con questo meccanismo. L’Università UPP di destinazione vedrebbe aumentato il proprio budget di organico, e potrebbe sperare in una maggior consistenza della sua ricerca allo scopo di migliorare il suo stato nella valutazione comparativa nazionale.

Se questa assunzione è valida si dovrebbe mettere in moto il meccanismo di ridistribuzione degli organici per arrivare alla fase stabile.

Sono pensabili altre incentivazioni per rendere la ridistribuzione più efficace.

 

(da: Giovanni Giacometti)

 

 

 

 

 
 
 

I punti su cui discutere 1a p. 

Post n°7 pubblicato il 26 Novembre 2008 da jek1944

Discutiamo ma facciamo presto!  I tempi della ricerca sono rapidi – Certo più rapidi di quelli della burocrazia e della politica.

Siamo di fronte ad uno stop totale dei finanziamenti statali per la ricerca e per l’Università. La situazione è di vera emergenza.

Vale  la pena  agganciarsi ad un uomo di cultura autorevole come Salvatore Settis, il quale, circa la opportunità di distinguere tra Università di Ricerca (UR) e Università di Preparazione Professionale (UPP): “…se qualcuno ha voglia di introdurre un modello di tal fatta in Italia dovrebbe dirlo chiaramente, ma dovrebbe anche spiegare con quali meccanismi e attraverso quali fasi intende abolire il valore legale dei titoli di studio, diversificare le forme di assunzione e i livelli retributivi dei docenti e così via……..”

 

Io ho provato a farlo e vorrei suggerire al Ministro Gelmini di provare anche lei magari con un tavolo di competenti possibilmente disinteressati alle loro personali botteghe (gente molto difficile da trovare).

 I  miei punti

 

Valore legale della laurea

 

L’abolizione del valore legale dei titoli di studio è effettivamente una premessa indispensabile. Ma è anche la premessa necessaria a qualunque forma di valutazione e di competizione si voglia introdurre nel sistema. Servirebbe anche a rivalutare la funzione degli esami di Stato per l’accesso alle professioni nel caso si vogliano mantenere gli ordini professionali. La laurea è un titolo che per essere esercitato ha bisogno che qualche organismo che deve assumere personale qualificato ne valuti la consistenza culturale ai fini dei propri obiettivi, siano essi imprenditoriali, libero-professionistici o quant’altro. La scuola e l’università stessa, per i loro insegnanti, ne valuteranno la consistenza attraverso i loro specifici metodi di assunzione del personale. Non si vede quale sia la difficoltà di una tale riforma abrogativa. Resta forse solamente il problema dell’accesso alle carriere impiegatizie statali. Ma non si entra in queste carriere tramite concorso? E se un non laureato vincesse un concorso statale impegnativo, superando una moltitudine di concorrenti laureati, non dovrebbe forse essere assunto ugualmente, magari senza appendere fuori della porta il titolo di “dottore”, che del resto andrebbe abolito allo stesso tempo del valore legale del titolo di laurea. Naturalmente non si risolve questa serie di problemi in assenza di codici etico-deontologici praticati da tutti coloro che sono preposti al funzionamento delle commissioni di valutazione, da questa questione morale non si scappa.

Settori differenziati

Una ulteriore premessa, a mio avviso essenziale, è di mettere in evidenza il fatto che in un sistema universitario ben organizzato dovrebbero esistere regole differenziate tra i diversi settori, che io ravvedo schematicamente in cinque caratterizzazioni: scientifica, umanistica, tecnica, giuridico-sociale-economica e medico-sanitaria. Basta pensare alle interazioni tra gli operatori all’interno di ognuno di questi settori dell’università ed i diversissimi ambienti dove la disciplina che essi esercitano si concretizza nelle diverse istituzioni professionali, che gli operatori universitari stessi  necessariamente frequentano, per vedere immediatamente che un professore di materia medica non può confrontarsi con un ingegnere o con un giurista. Ospedali, cantieri per le opere pubbliche, aule di giustizia sono ambienti troppo diversi perché chi ne fa in qualsiasi modo parte non debba essere regolato da norme parallelamente diverse. Il modello che voglio presentare è un modello adatto al settore scientifico, che conosco meglio, ma le considerazioni che farò valgono in buona misura anche per gli altri settori.

Distinzione tra UR e UPP.

Vediamo intanto di definire le due entità. Insegnamento e ricerca sono indissolubilmente legati nell’istituzione universitaria, qualunque essa sia, e questo è ciò che la distingue dalla scuola media. Ma l’esercizio della ricerca può essere fatto a diversi livelli. Il massimo è quello della ricerca a livello della competizione internazionale ed è associato all’insegnamento del fare ricerca. Università UR è quella in cui si raggiunge questo grado e ne è conseguenza l’abilitazione per la istituzione a rilasciare i titoli di Dottore di Ricerca, l’ultimo e massimo gradino dell’insegnamento universitario. L’Università UPP non può raggiungere tale costosissimo livello ed il suo personale deve comunque svolgere una ricerca più lontana dalle avanguardie mondiali ma pur sempre vicina alle necessità di una didattica che prepari alle professioni, tra le quali fra l’altro va annoverata quella di esercitare la ricerca stessa, il cui primo gradino sarà l’ingresso ad una scuola di dottorato di una Università UR.

All’interno dei due gruppi si stabilisce un regime di concorrenza che verrà realizzato tramite una valutazione nazionale fatta su dati oggettivi quali i vari indici di produzione scientifica e di produzione di laureati assunti nelle varie professioni. La valutazione dovrà incidere in maniera proporzionale sui finanziamenti derivanti dallo Stato per le varie strutture (sostanzialmente i Dipartimenti) di ogni istituzione. Al limite potrà essere usata per stabilire eventuali variazioni di stato, da UPP ad UR o viceversa.

Se si fanno due conti si vede che la necessità della distinzione UPP-UR emerge chiaramente dalla necessità di non disperdere le risorse.

La 3+2

 

E’ una struttura che era stata pensata per equiparare il modello italiano a quello di altri paesi europei, si veda specialmente quello inglese, ma la cui implementazione, lasciata praticamente nelle mani della corporazione accademica, è stata oggetto di tali distorsioni artificiali ed insensate da essere oggi fonte primaria di un abbassamento epocale del livello dell’insegnamento. Non solo la classe accademica ha contribuito a questo sfascio, ma anche l’imprenditoria (soprattutto la piccola e media) e il grande pubblico dell’utenza (le famiglie e gli studenti) in una triangolazione perversa che si è autoalimentata a dismisura. I piccoli e medi imprenditori chiesero all’università di preparare i laureati per impieghi ultra specifici; si toglievano in questo modo l’onere di provvedere, ognuno nel proprio ambito, all’addestramento specifico del laureato, senza pensare che questa “professionalizzazione” selvaggia avrebbe avuto come costo un abbassamento globale della cultura generale del laureato, l’unica che conti veramente per un lavoratore di concetto, senza peraltro mai raggiungere la qualificazione che essi sognavano, che l’università, appunto in quanto scuola di cultura superiore e non di dettaglio professionalizzante, non sarà mai in grado di fornire. A questa spinta si sommò quella della massa degli studenti (forse più ancora la massa delle loro famiglie) provenienti dalle classi più deboli, che da meno tempo si affacciano all’istruzione superiore, con il miraggio del binomio: laurea - lavoro-sicuro. E l’accademia diede ascolto a questa doppia desolante illusoria richiesta. Non perché non ne comprendesse la fallacia ma perché, come sempre, la corporazione pensa prima di tutto ai propri interessi. E gli interessi degli accademici erano quelli di assecondare richieste che potevano corrispondere ad una moltiplicazione dei corsi e conseguentemente dei posti in organico e delle strutture, foriera di aumenti di stanziamenti statali. E così ci troviamo in questo momento con un numero spropositato di “corsi di laurea”, brevi, di specializzazione, e quant’altro, tra i quali si suddivide una popolazione di studenti quasi costante, che sceglie il suo percorso sulla base di offerte didattiche che assomigliano molto a spot pubblicitari (a Urbino esiste una laurea in Geologia della Salute!). Naturalmente ogni corso abbisogna di un docente diverso ed ecco la moltiplicazione richiesta dei pesci, dopo quella dei pani. Risultato: abbassamento del livello didattico come abbiamo visto, dovuto alla illusoria volontà di “professionalizzare”; abbassamento del livello di ricerca per il fatto che il tempo del personale esistente, e non aumentato affatto come incautamente sperato, deve essere ora molto maggiormente dedicato ad una didattica non congrua, improvvisata e totalmente inefficace.

Va anche ricordato che il dottorato (l’unica riforma seria fatta negli ultimi 50 anni nell’Università italiana) non e’ mai stato considerato nel contesto dell’accesso al lavoro! A decenni dalla sua istituzione, il dottorato non e’ obbligatorio per l’ingresso in accademia (cosa unica al mondo!), non e’ riconosciuto nel mondo del lavoro (anche questo non ha analoghi in altri paesi civili!) e, piu’ in generale, e’ un titolo penalizzante piuttosto che qualificante

(da : Giovanni Giacometti; il seguito al prossimo messaggio)

 
 
 

Considerazioni su alcuni aspetti della riforma dell'università

Post n°6 pubblicato il 26 Novembre 2008 da nicolasante
 

Cari Colleghi,

 

aderisco pienamente alla lettera da sottoporre per la pubblicazione su diversi giornali a tiratura nazionale (repubblica, corriere della sera, messaggero, stampa, tempo, mattino, ecc).

 

Comunque vorrei fare alcune considerazioni che se condivisibili potranno essere inserite e/o integrate nel testo della lettera.

 

Prima di tutto  è illusorio pensare che alcune delle questioni riportate nella lettera possano essere la realtà prossima ventura della università e, vorrei aggiungere, della società italiana. Credo che bisognerà accontentarsi di risultati intermedi sufficientemente  oggettivi per poi arrivare in futuro non lontano a quella condizione virtuosa, almeno per alcuni aspetti,  auspicata nella lettera.

 

Per un’università efficiente per la formazione e lo sviluppo del paese, comparabile a quelle dei paesi cosiddetti sviluppati e comunque comparabili all'Italia, le parole chiave, a mio parere, sono:

 

FINANZIAMENTO, adeguato e continuo almeno per tempi medi se non lunghi, della ricerca pubblica incluso le strutture e servizi di ricerca che talvolta sono carenti;

 

VALUTAZIONE, delle istituzioni universitarie [atenei, facoltà, dipartimenti e singoli componenti (docenti e ricercatori)];

 

RESPONSABILITA', per le scelte ad ogni livello delle attività istituzionali.

 

Detto questo scinderei le considerazioni relative all'attività didattica da quelle relative alla ricerca.

 

Per la valutazione dell'attività didattica, credo che il giudizio anonimo e obbligatorio degli studenti e, molto in subordine, il numero di crediti di insegnamento siano i parametri da considerare a tale riguardo. Il numero di tesi, tirocini ed altro (come si vede in giro nelle proposte dei requisiti minime di valutazione), in mancanza di un regolamento di facoltà che consideri parametri oggettivi ( tipo di tesi, spazi a disposizione, consistenza del gruppo di ricerca, ecc) nell’assegnazione di tali compiti istituzionali tra i docenti delle stesse, non possono essere considerati a riguardo visto che allo stato attuale delle cose e  in linea di massima, la scelta del relatore/tutor da parte degli studenti è inversamente proporzionale all'impegno richiesto per lo svolgimento delle stesse attività (forse sbaglio e,comunque, spero che tale fenomeno non sia così generalizzato).

 

L’attività di didattica non deve avere peso nella selezione di ricercatori mentre deve essere importante l’attività ed esperienza di ricerca comunque effettuata (dottorato, pubblicazioni, brevetti, stage in diversi laboratori italiani ed esteri, corsi specifici tesi ad ampliare e migliorare la capacità di ricerca, ecc) con particolare riferimento al settore scientifico disciplinare ma non solo (basta pensare alle attività di ricerca interdisciplinare oramai indispensabili in molti settori scientifici disciplinari per un’attività di ricerca avanzata).

 

L’attività di didattica deve avere un certo peso, ma in buona sostanza marginale, per la selezione di Professore associato ma l’attitudine all’insegnamento deve essere valutata, nella attuale forma delle prove per superare il concorso di Professore associato, con la prova della lezione in presenza della commissione di esame. La maturazione scientifica deve essere prevalente.

 

L’attività di didattica deve avere un certo peso, ma in buona sostanza marginale, per la selezione di Professore ordinario ma l’attitudine all’insegnamento deve essere valutata, nella attuale forma delle prove per superare il concorso di Professore ordinario, sulla base della valutazione del attività didattica disponibile nella facoltà di provenienza. Tale valutazione deve essere inclusa obbligatoriamente nella domanda di partecipazione alla valutazione comparativa.  La maturazione scientifica valutata mediante la produzione/produttività scientifica e la responsabilità/partecipazione a progetti di ricerca deve essere prevalente.

 

Per quanto riguardo l’attività di  ricerca le questioni mi sembrano più articolate:

 

FINANZIAMENTO, è necessario che chiunque governi l’Italia consideri la ricerca scientifica prioritaria e fondamentale per lo sviluppo del Paese. Ci sarebbe bisogno di un piano a medio-lungo termine con finanziamenti a livello centrale e periferico (Regioni, Ateneo, ecc) assegnabili mediante progetti sottoposti a peer review ovvero su sostanziali basi oggettive. Credo che nel passato anche recente il finanziamento di progetti non sempre è stato assoggettato a criteri uniformi ed, in particolare, oggettivi e in relazione al merito del progetto e della credibilità scientifica del proponente/i.

 

VALUTAZIONE, è necessario che i docenti e ricercatori, in maniera periodica (ogni 5-6 anni) si sottopongano ad una valutazione basata sulla produttività scientifica [un numero minimo di pubblicazioni su giornali scientifici ISI, libri, brevetti, altri parametri minori comunque collegati all’attività di ricerca (comitati scientifici, organizzazione di convegni, editing di libri e atti di convegni, ecc) a contorno della valutazione, ecc].

 

La valutazione deve essere effettuata da un comitato nazionale per settore scientifico  (composto da componenti nazionali ed internazionali). Il finanziamento di progetti con scarsa produttività deve avere valenza negativa. Spesso si sente dire in giro che la capacità di attirare finanziamenti è un parametro positivo. Sono d’accordo. Ma questo è vero se si è in presenza di un sistema oggettivo di selezione dei progetti e che il finanziamento deve essere produttivo. Se improduttivo la valutazione non può che essere negativa.

 

Coloro che risultano positivi in tale valutazione potranno fare parte dei diversi comitati per valutare i progetti presentati alle diverse agenzie di finanziamento (Ministeri, Regioni, Ateneo, ecc) , l’attività di ricerca dei docenti e ricercatori,  dei dottori di ricerca, ecc. e per i settori scientifici di  appartenenza. Inoltre, solo coloro che risultano positivi in tale valutazione potranno ottenere risorse a livello nazionale e locale.

 

La filosofia è:  SE NON SI È VALUTATI POSITIVAMENTE PER LE ATTIVITA’ DI RICERCA NON SI PUÒ GIUDICARE ALTRI SU TALE ATTIVITA’ .  SE NON SI È VALUTATI POSITIVAMENTE PER LE ATTIVITA’ DI RICERCA NON SI PUÒ USUFRUIRE DI RISORSE PER TALI ATTIVITA’.

 

RESPONSABILITA', è necessario che coloro che selezionano progetti e, in particolare,  docenti e ricercatori siano responsabili verso gli enti finanziatori (Ministeri, Regioni, Ateneo,ecc)  e le università nel tempo di tali selezioni. In un futuro virtuoso, con le selezioni del personale docente/ricercatore effettuate a livello locale dalla comunità scientifica locale ( facoltà, dipartimento, ecc) la responsabilità di scelte sbagliate e non basate sull’oggettività dei parametri utilizzati, non potrà che riflettersi negativamente sul dipartimento e facoltà con le dovute conseguenze negative sui singoli.

 

Un sistema simile è utilizzato nelle Università pubbliche Spagnole  e tali valutazioni hanno valenza economica per i singoli docenti e ricercatori. Ovvero l’avanzamento del livello economico degli stessi è legato a valutazioni positive. La valutazione non è obbligatoria e non sottoporsi a tali valutazioni, ovviamente, comporta l’autoesclusione dalle attività di ricerca e in tal caso, a quanto di mia conoscenza,  l’attività del docente è limitata all’attività didattica.

 

Se queste misure venissero adottate in Italia ben presto si verrebbe a creare un circolo virtuoso che porterebbe alla maturazione dell’etica dei comportamenti e della responsabilità professionale oramai non più presente nel sistema universitario italiano e, in buona sostanza, nella società italiana. Ovviamente tali sistemi di valutazione così grezzamente riportati in questi miei pensieri non sono di facile accettazione da parte di molti componenti la comunità accademica di questo Paese ma credo che valga la pena sottoporli a chi di dovere,  opinione pubblica inclusa.

 

Cordiali saluti

 

Nicola Sante Iacobellis

Dipartimento di Biologia, Difesa e Biotecnologie Agro forestali

Facoltà di Agraria

Università degli Studi della Basilicata

v.le Ateneo Lucano, 10.

 

e-mail: iacobellis@unibas.it

tel.: 0971 205548

mobile: 320 4371228

 
 
 

A tutti gli amici

Post n°5 pubblicato il 26 Novembre 2008 da jek1944

Vi ho invitato a partecipare perché molti di noi hanno idee, anche diverse, e voglia di continuare la discussione.

Ci sono varie maniere di farlo, l'unica da evitare è di continuare  a scambiarsi e-mail che possono essere indesiderate. Per  questo abbiamo aperto un blog sperimentale  che può servire come luogo di incontro di chi è interessato  magari per costruire insieme un Forum meglio strutturato e più intelligente. Naturalmente come tutti gli esperimenti può fallire.


Un blog ha vari pregi fra cui quello di poter facilmente dissolversi magari in qualche cosa di meglio. Un primo obiettivo, che lo vorrebbe qualificare da altre iniziative simili, sta nel tentativo di coinvolgere gli Accademici Lincei. In generale i tempi di reazione dell'Accademia sono piuttosto lenti, per usare un eufemismo.

Gia` un blog di vecchietti accademici potrebbe fare notizia.
In questo o altre forme potremmo far decollare, anche senza il supporto dell'Accademia, le commissioni vecchie o nuove e fare un lavoro da presentare comunque in Accademia. Io cioè propongo (essendo un algebrista non commutativo) di scambiare l'ordine, prima il lavoro di ricerca con chi ci sta, poi la presentazione in Accademia. Poi si vedrà, dicono i politici che la bontà del budino si vede mangiandolo.

Datemi idee, inputs nomi quello che volete

Claudio Procesi (uno dei proprietari)

 
 
 

Giavazzi

Post n°4 pubblicato il 25 Novembre 2008 da jek1944

Leggo solo oggi l'articolo di Francesco Giavazzi L'INIZIO DELLA FINE DEI CONCORSI
del 18.11.2008.  Giavazzi sostiene che per la prima volta in Italia una quota significativa delle risorse (7 per cento, e nelle Linee guida del ministro Gelmini è scritto che si salirà in tempi ragionevolmente rapidi al 30 per cento) venga attribuita alle università in funzione della valutazione dei loro risultati. Su questo, avendo partecipato attivamente al CIVR, non posso che sperare per il meglio.
Le sue conclusioni sono  però
io penso che con questo Dl abbiamo fatto passi da gigante verso la fine dei concorsi, anche grazie alla pioggia di critiche che lo ha accompagnato  Se questo sarà il risultato allora non potremo che esserne felici e non varrebbe la pena di perdersi in quisquilie, resta comunque un forte senso di disagio anche per alcune cose del tutto illogiche. Dice sempre Giavazzi Lasciar correre come se niente fosse, magari mentre si scriveva l’ennesima riforma illuminata che entrerà in vigore l’an del mai etc. La logica mi sfugge del tutto, che l'abolizione dei concorsi avvenga domani o nell'an del mai mi pare del tutto indipendente dalle nuove norme concorsuali.
Se mai la questione è se queste nuove norme porteranno ad una migliore selezione dei prossimi 6000 ricercatori o semplicemente ad una ridistribuzione casuale di ottime scelte e nefandezze. Io da matematico non vedo alcuna ragione logica che induca a sperare che il risultato migliori, si elimineranno alcune nefandezze e se ne genereranno delle nuove. La sola cosa che vedo è uno schiaffone dato a tutti indiscriminatamente.Quali sono le  vere intenzioni degli estimatori di questo decreto?
L'impressione  è  che sia in atto una vera guerra per egemonie, comunque noi siamo qui, pronti a lodare il lodabile e contestare l'opposto.
Una ultima nota:  Giavazzi accusa molti di noi di stare zitti e buoni ma avendo a disposizione la prima pagina di un giornale non capisce quanto sia umiliante per uno scienziato dover elemosinare   un piccolo  spazio  (usualmente rifiutato)  su un giornale e vedersi tagliare arbitrariamente qualunque   argomentazione che abbia un minimo di profondità culturale.
Claudio Procesi (uno dei proprietari)

 
 
 
 

CERCA IN QUESTO BLOG

  Trova
 

ULTIME VISITE AL BLOG

comitatoechiajeanvitkozackSartorJasmineleopresuttidiego770giusk80strano1dglpaolettal1967saturno08ergasterMarkin78Utopista88AmedeoSavoia
 

ULTIMI COMMENTI

 

CHI PUò SCRIVERE SUL BLOG

Tutti gli utenti registrati possono pubblicare messaggi in questo Blog e tutti possono pubblicare commenti.
I messaggi sono moderati dall'autore del blog, verranno verificati e pubblicati a sua discrezione.
 
RSS (Really simple syndication) Feed Atom
 
 
 
 
 

© Italiaonline S.p.A. 2024Direzione e coordinamento di Libero Acquisition S.á r.l.P. IVA 03970540963