Anime Capitozzate

Anime capitozzate
hanno dimenticato il significato
di un respiro autentico

reiterati totali traumatici da capitozzatura
reiterati totali traumatici da capitozzatura

obbedendo a miopi valutazioni
d’urgenze a corto periodo

Lunghe attese e corse frenetiche
scandiscono la vita del pollaio umano
follìa collettiva di una folla solitaria
stipata in mezzi ultraveloci

Eradicazione della realtà
occhi incollati a microscopici display
mentre fuori, abilmente occultato
da vetri affumicati, il paesaggio alterato
luoghi energetici squilibrati
dalle motoseghe del kali-yug

La Gorgone dell’Orgone
paralizza la tua vitalità
come kryptonite del dinamismo pranico
devitalizzazione ed elettromagnetismo
per sedare la naturale ribellione
alla costrizione della gabbia

Mitragliate di martelli pneumatici
richiamano alla mente
la guerra permanente
tra civiltà e natura

Uomini d’allevamento
coltivati su circuiti stampati
in un incastro di moduli abitativi
schede d’espansione cementizia

Bambini nascono
già parcheggiati in doppia fila
pronti a scannarsi
per una molecola d’ossigeno

Alba del nuovo giorno
sacrificata ancora in grembo
dispersione del seme interiore
eliminazione del divenire
soppiantato dalla staticità

immolazioni di cambio stagione
porte chiuse a chiave per sempre
creatività bandita dal pianeta
per forgiare un esercito di automi
condannati a produttività
fine a sé stessa, sterile

Lavori dissennati
per arricchire pochi
ed ammalare i molti
in un mondo sempre più ostile
a carburazione iperproteica,
cemento per tubi digerenti

Diventa il tuo stesso palazzo!
rigidità parallelepipeda
facilmente impilabile
nel sistema produttivo

Persone di cattiva volontà
escono dagli angoli RETTI
in aspetto di quadratura ambientale
coscienze digerite da ordini superiori:
la DISCIPLINA insegnata.

Convenzioni sociali usate come cappio
falsi problemi vampirizzanti
nell’assurdità burocratica
del manicomio del Terzo Millennio

Anime capitozzate
hanno dimenticato il significato
di un respiro autentico…

SONO DISSONANZA

dissonanza

Sono dissonanza
elemento di disturbo
per il decorso esterno
che inevitabilmente interferisce
sullo sviluppo della mia onda
costringendomi
a cambi repentini di frequenza

Dopo innumerevoli
modulazioni ai toni lontani
A cosa assomiglia
il me stesso attuale?
All’infante non più puro,
al timido adolescente
o al successivo folle visionario?
l’avventuriero delle fratte,
il metallaro inusuale?
l’idealista intransigente,
l’innamorato sognatore?
il pianista appena diplomato
scolpito dal dolore,
il libidinoso schiavetto
del casto sogno infantile?
il musicista tuttofare,
il probando monastico
caduto nella sua stessa trappola?
colui che perde l’ennesimo treno
per seguire il cuore
imparando a crescere?
il vedovo, il gattofilo,
l’ingenuo disobbediente civile?
il deluso dal mondo,
il pavido autoodiante,
l’infermiere improvvisato
che paga il suo karma?
l’adulto volenteroso
ma impreparato e già stanco?

Quanto di questi ancora vive
nella putrefazione dell’attuale?
immagini pietrificate
fotografie sbiadite
catturano a stento
l’onnipresente inquietudine
il passato appare così rassicurante:
sai già come va a finire.

Or che del tappeto
la trama meglio si scorge,
il disegno intessuto da questo
sballo insano dell’anima
chiamato esistenza
già comincia ad apparire:
lo spiraleggiare
verso il buio centro
era già stato diagnosticato.
motivazioni ancora troppo
difficili da accettare
ancor troppo pesanti
per farle affiorare
alla coscienza.

Per colpa dei talvolta
la vita vien stravolta
ancora un’altra volta

Un ruvido sole si leva
a chiudere a chiave i sogni

Tra il munto e il bisunto
alla ricerca di un sunto
cercando di visualizzare
il frattale spaziotemporale
che palesi le analogie
tra storia individuale e collettiva

Già morto da vivo
proseguendo per inerzia
tutto appare come volgare imitazione
delle dolci metà non più in vita
rassicuranti segnali
d’intangibili presenze
o beffe di una sadica esistenza
costruita su misura
affinché qualcosa si nutra
delle psicosi personali?

il pasto dell’onda ostile
distorce la mia amplitudine
il terzo suono così generato
viaggia sul velo di Maya
con frequenza ancor più bassa…

Autoimposizioni della propria morale
ed imposizioni di un mondo esterno
reso folle e malato
da un sistema divenuto instabile
opprimono, uguali e contrarie,
la natura più autentica
da troppo tempo incatenata
temuta poiché non compresa,
repressa perché non conveniente.

il tappo sta per saltare:
qualche sbuffo ogni tanto
rivela l’agitazione sotterranea.

L’amore è ovunque, anche nell’inferno
pecorella non più tanto giovine
ostinata nel suo smarrirsi
la bestemmia come grido d’empatia
Per i veri ultimi, i dimenticati
Victimae pascalis dell’umana decadenza
che si allontana sempre più da

“Quel che da senso all’esistenza”

definirlo goffamente
Bellezza, Armonia,
in un balbettìo infantile
della parte più sottile
Emozioni soggettive
spiaccicate nel muro
dell’incomunicabilità
Episodi di vita intraducibili
in un linguaggio lineare
e non frattale.
Senso di solitudine. Gelo.
Povero gregge guidato al macello!
Sottomesso al giogo
di chi quella Bellezza,
quell’Armonia distrugge.

Meraviglia irripetibile
e rimpiazzo mai all’altezza
riqualificazione di una specie
scaduta, obsoleta, malata
siamo gli stessi alberi
che buttiamo giù
Forse non è ancora tardi
per curare le nostre radici
oppure il progetto di rimpiazzo
è già in fase esecutiva
pulizie di pasqua
di una megaquaresima astrale

il rifiuto dell’oblìo,
al passato incatenato
disvela la truffa
della risurrezione
selvicoltura umana
dallo spartano retrogusto
i cui parametri
non sono bellezza né forza
ma l’essere utili macchine
per estrarre estreme emozioni
minatori 2.0
made in hell’o’him
Disumanizzare?
trans-umanizzare?
Destroy-Erase-Improve
Robotizzazione,
meccanizzazione della specie.
Togliere la parte
irrazionale, animale.
Togliere l’Anima…

Fiero d’esser dissonanza
eremita ancor postulante
seppur parzialmente stremato
dalla necrotizzazione della volontà.

ALLEGRO INUMATO

Dall’oblò dell’oblìo
mi gusto lo spettacolo che offre
la decomposizione della civiltà
cercando di respirare
il meno possibile
il tanfo di anime putrefatte
nell’aldiquà
(anche la mia,
che note che dà)

Forse potevamo evitare
tutto questo?
Quanto margine d’azione rimane?
E’ proprio il
conto alla rovescia finale?
Forse quest’apocalittico
“affrettare la fine”
è pilotato da
qualche psicopatico?
oppure il mondo è veramente
stanco e reclama un reset?
Tupatupatupatupa
Fuggendo lo tsunami,
salvezza si trova
in ascetica austerità?
Ritorno alla Natura?
Assurdo non avere
i propri spazi,
umani troppo umani,
ma follia suicida
il considerarsi
l’unico equipaggio
della Nave Turchese.
Egocentrismo antropico,
Solitudine Spirituale
della Specie Superiore
(Schwein mit Uns)
che ricerca altrove risposte
una volta così evidenti
da non farci neanche caso
e da essa ora distrutte.
i bambini scemi di dio
giocano a fare i grandi
rompendo il giocattolo
per vedere com’è fatto:
azzardate sperimentazioni
a tempo di Allegro inumato.

Dove io ho sbagliato
altri faranno errori più raffinati?
Oppure l’errore supremo è l’ostinarsi a
perpetuare questo piano di esistenza?
A quanto dover rinunciare,
per fare spazio a nuovi tempi?
Un ennesimo salto nel buio,
spinto da chi detiene
le chiavi del subconscio
e ne libera talvolta la visione
a tempo di Allegro inumato

Crudi spot d’istantanea casualità
risuonano con pensieri ossessivi
Quando la realtà circostante
sembra fare crude allusioni
col tuo vissuto più traumatico
non sei solo, ma in compagnia
della tua schizofrenia paracnoide
morboso compagno di una vita intera.
perché avere un banale amico immaginario
quando puoi godere
di un persecutore cosmico?
Never solo, mai alone:
the poison du Poisson
Fin dove ti spinge il tuo gioco?
Fin quando potrai sopportare
cavalcando corriere cosmiche
sulle mulattiere temporali
a tempo di Allegro inumato

Dall’altra riva del Monarca annegato
per un Delirio Ossessivo Compulsivo
ogni morto diventa vivo
sciando con i Maestri Cantori
se rimbalzo m’incoraggerete
a vedere il vero me stesso
conscio che anche questa palla e mezza
il buon vecchio paffuto rubicondo
appenderà all’Yggdrasil
offerto in Sacrificio Cruento
per il Solstizio Cosmico
a tempo di Allegro inumato

in un ambiguo confine
tra resa e consolazione
inconscia esplorazione
sudicia autoumiliazione
per raggiungere la divina perversione
e riposare nella pece eterna.
in attrito col dubbio
che la resurrezione sia una truffa,
should I stay or should I go now?
Più che attraversare un deserto
alla ricerca del miraggio promesso,
mi alletta l’imputridire nella palude.
Non lascio volentieri
il personaggio che sto interpretando,
rimango sul palco
benché sia in corso d’opera
il cambio dei fondali,
che il mio lento marcire
sia messaggio di odioamoreterno
al sadico regista,
questo perverso super-io.
Nel mio piccolo “inferno” personale,
sono il mio stesso “satanasso”,
danzando e pogando
a tempo di Allegro inumato.

Tupatupatupatupa

Allegro inumato

{FFFF 2017-feb2019}

TITOLI DI CODA {FFF Fiale 1998}

tdc

PROLOGO
Un caldo pomeriggio di metà Dicembre, nel Parco delle Cascine a Firenze.
Un musicista in visita alla città, che per comodità indicheremo come ***, era seduto sulla panchina ovale di cemento, davanti al monumento ai Partigiani.
Improvvisamente da dietro un enorme albero secolare sorgeva la misteriosa, maestosa, luminosa immagine di colui che segnerà in modo indelebile il suo destino.
Uno scambio di occhiate, il seguirsi per trovarsi nella piazzetta rotonda presso l’anfiteatro, due parole…e poi un reciproco, incontrollabile fuoco interiore, che mai ***, nonostante la già navigata esperienza, aveva conosciuto: troppo rovente per…bruciare in un posto così scoperto.
Fulmineamente comparvero due carabinieri a cavallo, diretti, manco a dirlo, proprio verso di loro. Non appena le due guardie s’accorsero di ciò che secondo la morale comune deve essere condannato, cominciò l’inseguimento. Quella corsa mozzafiato, il pericolo condiviso insieme, il timore per quel cuore attempato che batteva all’impazzata ed il prendersi cura amorevolmente, suggellò definitivamente l’inaspettata fusione di quella fuggiasca coppia di anime. Il resto fu Storia. Ed inesorabilmente PASSATO.

EPILOGO
Ora, un anno e quattro mesi dopo, quel che restava eran solo ricordi che non parevano realmente accaduti, ma sospesi, fluttuanti in un sognante limbo.
(“…Eppure son proprio questi, i momenti in cui ciascuno di noi realmente Vive…”)
Stava volgendo al termine l’ultimo, gelido incontro con colui che un tempo *** vedeva come unica ragione di vita, ed al quale paradossalmente aveva fatto più male di qualsiasi altro.
*** si congedò con un semplice, comune, eppure per lui inedito, “Addio”: fu l’unica volta nella quale non si voltò indietro.
A cavallo di una bici presa in affitto, egli riprese ad aggirarsi sconsolato dentro ciò che un tempo era il Parco delle Cascine e che ora andava somigliando sempre più ad un campo da golf. Dinanzi agli occhi scene di passata beatitudine, miste al rimorso di non essersele godute fino in fondo. Nella sua mente: autoflagellazioni, manie di persecuzione, oscure spirali di appesantimento karmico, autoprediche della serie “Eh, se tu avessi evitato quei colpi di testa”, autoimposta cupa rassegnazione stile “Ormai è finito”, allegri presagi tipo “…Ed il meglio deve ancora venire”.
Tutto ciò, oltre allo sfanculare queste seghe mentali, lo portarono fino al sottopasso del ponte all’Indiano.
*** lanciò un fugace sguardo lì dove un tempo una selva verdeggiante cantava un silenzioso inno alla pagana gioia di vivere l’attimo, e dove invece adesso, in tutto il suo monotono squallore, faceva la sua comparsa una lunga, piatta distesa erbosa china verso l’acqua, che sembrava ingiuriare, insultare e sbeffeggiare il Parco, l’Arno, la Natura, l’Estetica, l’Uomo stesso.
Fu una fredda occhiata, svuotata ormai di ogni emozione: già troppe lacrime erano state versate, per la fine di quel minuscolo Eden, evento che parallelamente decretò anche l’inizio della fine del suo sogno ad occhi aperti.
Arrivato quasi al termine del sottopasso, in preda ad una sorta di oscura inerzia, per un attimo fece per non frenare dinanzi alla rovinosa discesa, puntando anzi dritto al rosso pilastro. Giusto il tempo di sentirgli dire dal suo gracile raziocinio :
“Frena, testa di cazzo! Cosa dovrebbe dire allora un minatore sudamericano ? O un bue recluso a vita in una stalla oscura, nell’attesa che venga il macellaio a… “liberarlo”? Hai forse più diritto di loro, di odiare la vita? …E poi ricordo che la bicicletta è a nolo ed i danni li paghi te…”
Di nuovo sulla terraferma: quella strada che va sulla destra, in bici di fianco l’uno all’altro, leggeri e veloci come due uccelli in volo.
Brevi momenti paradisiaci, perduti per sempre
…Chi era quel pazzo che diceva che “L’inferno ha inizio con la scoperta del paradiso che si perderà” ?

Troppe volte si era già chiesto perché iniziò, se non fu solamente per soffrire terribilmente dopo. Era stanco di domandarsi se il “Fato” gli mandò questo pesante fardello affinché imparasse qualcosa, o per punizione, oppure per tutt’e due le cose.
Tra un pensiero e l’altro, *** ormai era giunto all’altezza della passerella dell’ Isolotto, quell’ attraversamento…quasi-pedonale, che tante volte li vide transitare.
L’unica preoccupazione in quel momento era quella di nascondere il più possibile, voltandosi o dissimulando, il suo “vero volto” agli sguardi della gente, non tanto per vergogna (quale?) quanto perché sapeva quanto poteva essere contagioso uno stato d’animo così intenso: sentiva di aver già causato tanto dolore.
Forse per autoconvincersi, continuava a canticchiare: “If the summer change to winter, your is no, yours is no disgrace…”.
Per tutta risposta, il cielo plumbeo, silente spettatore fino a quel momento, iniziò a cedere qualche timida goccia, facendo gridare a ***, rivolto verso l’alto: “E daje, diluvia, che aspetti? Questo è proprio il momento giusto!”
…Fu invece solo un attimo di distrazione di quelle tirchie nubi.

Con la coda tra le gambe ( più moscia di quanto gli sarebbe piaciuto), stava per prendere la via della riconsegna bici, senonché, da dietro la rotatoria di Piazzale Jefferson, sbucarono due …Carabinieri a cavallo, pronti a fare la loro brava passeggiatina.
“Che cazzo ciavrete da controllà, oramai !”, pensò ad alta voce.
Già…la ronda degli ufficiali ippomuniti, il “tema dell’ impedimento”, nella Ouverture che fu quel pomeriggio di metà Dicembre, ciò che riapparirà come Leitmotiv per tutto il corso di quella storia tormentata, irta di ostacoli e di atroci scherzi del destino.
Ed ora, col trovarsi davanti quelle due guardie, *** si sentiva ribollire il sangue, pur non capendone bene il motivo, dopodiché per istinto fece ciò che gli sembrò più irrazionalmente logico: mettersi dietro ai cavalli e seguirli lungo il tragitto che si apprestavano a fare. Il senso del “tanto non vi è più nulla da perdere” fece da sceneggiatore di quest’ultima, solenne processione.
Le macchine che sfrecciavano a forte velocità sul Viale degli Olmi ben contrastavano con il procedere a passo di lumaca, sull’ ampio marciapiede costeggiante lo stradone, delle forze dell’ordine, ostinatamente seguite da un disperato ciclista dall’ espressione un po’ pazzoide, il quale, immerso in quella grottesca, surreale eppur solenne messa in scena, da dietro quella sua trance apparente, continuava a chiedersi quanto tempo avrebbero impiegato i carabinieri ad accorgersi della sua presenza… Quindi, frase di un inconsapevole copione:
“Ve ne dovrete accòrge, prima o poi, della presenza mia !”
Il rumore del traffico era piuttosto intenso, ed appariva quindi improbabile che la coppia di sbirri avesse udito la sommessa voce del nostro.
Eppure, dopo aver fatto finta di vedere qualcosa sulla destra (in modo da voltarsi lentamente durante il moto in avanti ), essi iniziarono una goffa inversione a U, rimanendo sempre all’interno del marciapiede, di colpo divenuto troppo stretto.
*** continuò a star loro dietro, movendosi con grazia ed estrema cautela, un po’ per coreografia, un po’ per evitare di farsi tatuare qualche impronta equina, finché, dopo una decina di metri di percorso a ritroso, i due militi si fermarono e ruppero il silenzio: “Mi scusi, cercava noi per caso?”
La risposta, abbastanza scontata, non fu ovviamente compresa dalle guardie ignare:
“Mah, non esattamente… E’ che, visto che tutto iniziò con voi che ci inseguiste, ora che è finita mi pareva giusto concludere con io che seguivo voi.”

IL CULLAR DELL’ARACNIDE

ragno-yin-yang-lavorato

Poverino, ti vien da piangere
ma dovresti lottare da uomo
per affermarte la futilità
dell’Ego transitorio
in un gioco di cui non afferri il senso
indeciso nell’illusione da scegliere
da qual canto di sirena lasciarsi rapire:
se la concretizzazione dell’effimero
o lo sciogliersi nel caos del Tutto.

Alla fine devi ammetterlo:
è la Forma che attrae la Sostanza
una questione di aderire
ad una schiavitù autoimposta
fatta su misura per la tua essenza.

…oppure liberarsi nell’annullamento
esser zero ed infinito
allo stesso tempo:
è questo lo scopo ultimo
o soltanto la cadenza finale?

Pensavi forse di star bene
prima di andare a visitare
l’antro della tua follìa
arrivando a scoprir quella
dell’intera umanità?
gloriose miserie della Storia
vicende crude ed intricate
con radici molto antiche
che si perdono nei cieli

Pensieri parole opere ed omissioni
sedimentate nell’inconscio collettivo
lo sgabuzzino dell’eggregore
non riesce più a contenerle:
il troppo negato alla fine ritorna
in un sonoro crepitìo d’attrito
odi la realtà scricchiolare
non può essere stabile per sempre
lo disse già il serpente autofago:
la stagnazione è mortifera
ed il pesce è marcio dalla testa.

Addavenì l’Anfora Cosmica
ma l’aratore ancora indugia
l’è a pescar le fiabe pure
preme con escatologiche
sonnolenze d’equinozio
anime magnificate
dal paradosso ittico-siderale:
se c’è “ahia!” c’è gioia

Non c’è trucco, non c’è inganno
è Natale tutto l’anno
la befana vien di notte
Carnevale se la fotte
ma nell’Atanor quaresimale
sotto la cenere resta
una gran perversa che sversa,
riversa in versi diversi, dispersi
per germogliar l’ignoto terso,
Cenerentola e principe di sé stessa,
danzando tarantolata,
ascendendo nell’abisso,
nel gran ballo di buona fine
e buon principio.

Troppo terrorizzato per restare
troppo affascinato per fuggire
nato non fosti per collezionar virtù
come fossero figurine
né per perderle al gioco
cercando verità nella menzogna
giustizia nell’ignominia
bellezza nell’orrido.
Quante volte hai mangiato del frutto
dopo la tua cacciata dall’Eden?
le rondini vermiglio
son da tempo volate via
dall’argine ormai glabrificato
da quell’ouverture d’Autunno

Nell’odierna miseria rimane
una fastidiosa sensazione
di vulnerabilità incombente,
il cammino sempre più
stentato e penoso
al buio in un campo minato
fintantoché il tanto rimandato
gioire nell’andare a fondo
non è più pigro indulgere
nella rinuncia alla lotta
ma liberatorio urlo interiore
al tramonto della speranza.

Una consapevole demenza
a lungo temuta e rifiutata,
un tempo imprigionata
nelle segrete dell’infanzia,
ha sciolto i suoi lacci
negli anni la sua tela ha steso
e passo dopo passo ti ha ghermito.
il cullar dell’aracnide,
il tuo personale Ragna-Rock,
l’agognato incontro
con la propria nemesi
lo si gioca entrambi in casa,
scambiando un bacio
all’angolo del quartiere.
nel tuo sgambettar lieto e frenetico
in giù la curva della forma antica
guardo lo scalino
che spigoloso t’accoglie.

Tutto ciò è irrazionale,
è sprofondare nell’assurdo?
Non puoi farne a meno:
è gemma preziosa
nello squallore diffuso
spettra-colare bellezza
nell’insensato orrore
per ritrovarti perduto,
e perso ritrovato
nell’Apocalisse autoprodotta
di un Ego malato in lotta con sé stesso.
Quindi sorgi, muori e risorgi
migliaia di volte
il viaggio è appena cominciato
ed è sempre all’inizio
anche se vedi un’infinita conclusione
ma è solo il rogo delle tue sovrastrutture
Bruci il Walhalla con le sue iniquità
il suo disco rigido frammentato
da patti e promesse
in conflitto tra loro
il sistema operativo
era difettoso dal principio
formattazione dei paradigmi esistenti,
un lungo processo
senza vincitori né vinti.
Anche tu dalle fiamme consunto
Tornerai sotto nuova forma.

{Fabrizio Fulvio Fausto Fiale /
Elayph Oyzjr Baph, 2017/19}