Crepuscolare

lilian_harris   20 giugno 2019   4 commenti su Crepuscolare
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Ma non sei stanca di potare le rose?”, esordì sfrontato malgrado sapesse che quella era la mia vita e non me ne sarei dissociata per sentirmi meno inadeguata ai suoi occhi.

E come potrei? Guardale nella loro compiutezza e poi dimmi se le tue avventure mirabolanti non fanno di te un B-movie al cospetto dell’epicità di una rosa”.

Gli parlavo così, aulicamente e per dispetto, con malcelata ironia. Non era tipo da accettare il proprio nome in calce a una pagina ma io  sì, e coltivare rose non era un pensarsi insufficienti come credeva. Tuttavia lo amavo di un amore che necessità dell’alterità per sentirsi vivo, e si inventa la felicità.

Stasera potrei apparecchiare con un bel mazzo di rose…”.

L’esteta sei tu ma non usare quelle gialle, mi ricordano il giardino di mia madre“.

Andrea non aveva ancora preso il diploma di funambolo degli affetti  per cui, sgraziato come un adolescente alle prime grandi manovre del cuore, scegliendo me aveva escluso la madre per vecchie ruggini che uno strizzacervelli avrebbe liquidato come acidi mal secreti dal cervello e ora, con animo votato all’assolutezza, misurava il mondo separandolo in categorie che poggiavano sulla logica degli opposti, bianco o nero, sole oppure neve come se l’armonia dell’eterogeneità gli fosse stata preclusa per decreto.

Ora, che i ricordi si colorino di rimpianto o malinconia e perché no, anche di amarezza, a me importa poco; ciò che conta è la pluralità delle emozioni e se parti infinitesimali del mio cuore si sono sedimentate negli interstizi del tempo  deflagrando nell’insensatezza delle scelte, io so che la grammatica del cuore è un atto di fede contro l’illecita ingerenza della memoria.

La dinamica perversa della gelosia

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“Chi è Michael?, chiede Gabriel alla moglie. “Un ragazzo morto quando aveva solo diciassette anni. Non è terribile morire così giovani?”, risponde Gretta. “E come è morto?” chiede ancora Gabriel. “Credo che sia morto a causa mia. Mi aveva attesa per ore sotto la pioggia”.

James Joyce

Ora che il tempo mi ha resa più saggia e letargicamente accomodante, sorrido delle contorsioni mentali che destinavo alle relazioni d’amore; ero votata all’assolutezza perché mi sembrava che quello fosse l’unico modo per dare un senso alla mia esistenza. Tuttavia per indole, e per la persistenza di un senso di irrisolto, continuo a indugiare nel dubbio perfezionando il metodo, ché l’esasperazione grottesca delle insicurezze non produce nulla di buono.

Il punto è che nelle coppie viene a mancare, senza ragione apparente, una morale condivisa con la conseguenza che ciò che per l’altro è un diritto, per me è inautenticità, spesso accompagnata da un brusio che mi stringe il cuore.

Metamorfico, l’amore

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Come a voler ribadire che la chiarità non era la mia cifra, disegnavo un broncio intorno alle labbra dopo che la legge dell’amore, quella che increspa anima e pelle, aveva fatto il suo corso. Mi davo a lui per sottrazione affinché diventassi la sua droga, letale nel momento in cui avesse cercato nuovi umori a marcare il territorio come fanno i cani. Non era un vezzo, o lo era solo per metà, editare frasi in lode della fuga che pronunciavo con accenti faustiani per essere credibile e non ridicola. Funzionava.