Giugno 2018: PJ Harvey – TO BRING YOU MY LOVE (1995)

To bring you my love

 

Data di pubblicazione: 27 Febbraio 1995
Registrato a: Townhouse Studios, London
Produttori: Flood, John Parish & PJ Harvey
Formazione: PJ Harvey (voce, chitarre, piano, vibrafono), John Parish (chitarre, organo), Joe Gore (chitarre), Mick Harvey (basso, organo),  Jean-Marc Butty e Joe Dilworth (batteria e percussioni), Sonia Slany, Jocelyn Pook, Jules Singleton e Sian Bell (archi)

 

Tracklist

 

         To bring you my love
         Meet Ze Monstra
         Working for the man
         C’mon Billy
         Teclo
         Long snake moan
         Down by the water
         I think I’m a mother
         Send his love to me
         The dance

 

 

È la ragazza con le mani più fredde e le labbra più calde che io abbia mai conosciuto
(Nick Cave)

 

 

 

Figlia dell’ombra e delle fascinazioni tenebrose, provocatrice e artista imprevedibile, spesso etichettata nei suoi primi anni di carriera come la nuova sacerdotessa del rock, la novella Patti Smith, nonostante le sue reticenze (liquidiando il paragone come “giornalismo pigro”), PJ Harvey è una delle indiscusse eroione rock degli ultimi vent’anni, dotata di una classe e di un carisma del tutto personale, per nulla disposta a scimmiottare ciò che l’ha preceduta, né tantomeno ammiccante un certo cattivo gusto derivativo da quel “mood maledetto” che per chissà quale arcano motivo ha portato alcuni artisti contemporanei a pensare che eccessi e depressione siano la cifra delle grandi canzoni. PJ Harvey mantiene la sua specialità in tutto quello che lei è, e tanto basta. Una specialità che nasce dal suo cuore aperto, dai suoi sentimenti messi a nudo, spesso in modo viscerale, dalla sua femminità alle volte grezza altre volte angelica, ma così stupendamente genuina!
Nata nel Dorset e figlia di un’artigiano e di una scultrice, Polly Jean deve la sua formazione musicale espressamente ai suoi genitori, che la introdurrano al blues, al jazz, al folk e all’art-rock music, attraverso ascolti che spazieranno tra John Lee Hooker e Jimi Hendrix, Robert Johnsons e Captain Beefheart, Howlin’ Wolf e Tom Waits, e che saranno un’ottima fonte cui attingere nel futuro per l’affinamento della sua arte espressiva. Ma nello stesso tempo, Polly allarga i suoi orizzonti musicali attraverso l’ascolto di moltissimi dischi dischi, spaziando nei territori più disparati: da quelli degli U2 (di cui aprirà alcuni concerti durante l’Elevation Tour), a quelli dei Pixies, dei Television, Slint, e diverse altre band del circuito sia mainstream che underground. E avendo studiato sassofono per otto anni, ed essersi formata come artista in diverse band, tra le quali bisogna almeno citare gli Automatic Dlamini, dove incontra John Parish, con il quale stringerà una speciale amicizia, e con tempo affinerà una particolare intesa musicale destinata a durare nel tempo.
È il 1991 che segna il suo battesimo nel mondo del rock, con la pubblicazione del singolo Dress, cui seguirà l’anno seguente la pubbliazione di Dry, suo primo album, condito da canzoni dolenti dai testi disinibiti e sessuonami. Una sorta di richiamo ancestrale, carnale, in cui la ferocia dei suoni ben si sposa, col tempo, ad una presenza scenica sensualissima, fatta di chitarre imbracciate, reggiseno in bella vista e minigonna, possente immagine della chanteuse torbida e rabbiosa che sfoga nei suoi soliloqui sessuali tutta la sua più disperata inquietudine.
Ma è con To bring you my love (che segue il bellissimo Rid of me, prodotto dal guru Steve Albini, e di cui fu pubblicata anche una versione spoglia dai lavori di quest’ultimo, 4-Tracks demos), che Polly Jean raggiungerà la maturità artistica e la consacrazione totale. Un lavoro cupo, smanioso e ambizioso, dove le trame sensuali incrociano figure quasi mistiche, dando vita ad un connubio tra sacro e profano di sinistro splendore. Down by the river, nel suo cantilenante eco, evoca spettri sinistri, come anche la title-track posta in apertura, sogghigna presagi oscuri e un desiderio amoroso, carnale, viscerale. Meet Ze Monstra invece presenta legami con Captain Beefheart, mentre il melodramma orchestrale C’mon Billy rivela la profonda impronta di Nick Cave (con il quale collaborerà l’anno successivo su Henry Lee, per il meraviglioso album Murder ballads), cogiungendosi con Patti Smith in Send his love to me. Anche il martellante blues di Long snake Moan, la briosità svisata di Working for the man, l’austerità di Teclo e il finale delicatissimo di The dancer cooperano al fine del disco, ossia quello di essere una sorta di rituale morboso, in cui PJ si abbandona in tutta nudità ai suoi demoni sessuali, per poi esorcizzarli.
E a dare maggiore sostanza a questo capolavoro pensa l’imperante e conturbante trasformismo di Polly, incarnando un’immagine e uno stile elaborato, aggressivo, provocatore nei suoi show, tanto da ricordare per un certo senso il David Bowie di Ziggy Stardust. Una sorta di maschera bizzarra, nello stesso tempo aggressiva, eppure tanto bisognosa di tenerezza, dove la bellezza stessa assume un ruolo del tutto inquietante. Un talento istrionico e duttile che solo una grande personalità può permettersi con tanta naturalezza e disinvolura. La stessa naturalezza e disinvoltura che la porterà poi col tempo ad osare maggiormente con la propria arte, planando su sonorità più eteree ed esprimendosi attraverso una musica echeggiante mistica e letteratura, ma senza rinunciare ai turbamenti e allo spasimo, e infilando ancora una serie di grandissimi album, tra i quali vale la pena di ricordare White chalk, e soprattutto l’ultimo grande capolavoro Let England shake, indossando abiti sonori fuori dal tempo, e assumendo il fascino di una più classica e matura cantastorie, che non ha bisogno più di urlare, ma che a cuore aperto, lascia che le sue canzoni continuino a incantare. Un incanto che lascerà la sua onta nello spazio e nel tempo…

 

Giugno 2018: PJ Harvey – TO BRING YOU MY LOVE (1995)ultima modifica: 2018-06-18T15:53:40+02:00da pierrovox

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