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Ascari: I Leoni d' Eritrea. Coraggio, Fedeltà, Onore. Tributo al Valore degli Ascari Eritrei.

 

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L'Ascaro del cimitero d'Asmara.

Sessant’anni fa gli avevano dato una divisa kaki, il moschetto ‘91, un tarbush rosso fiammante calcato in testa, tanto poco marziale da sembrare uscito dal magazzino di un trovarobe.
Ha giurato in nome di un’Italia che non esiste più, per un re che è ormai da un pezzo sui libri di storia. Ma non importa: perché la fedeltà è un nodo strano, contorto, indecifrabile. Adesso il vecchio Ghelssechidam è curvato dalla mano del tempo......

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Storia. Anni 1911-1912. (Fase2-1912) Parte Seconda.

Post n°81 pubblicato il 27 Agosto 2008 da wrnzla

Fonte Testi: Cronologia.Leonardo.it

Storia. Anni 1911-1912. (Fase2-1912) Parte Seconda.

GUERRA ITALO-TURCA. GUERRA DI LIBIA. (Fase2-1912)

COMBATTIMENTI DI GARGARESCH E DI AIN-ZARA
SCONTRI A DERNA, A BENGASI E A TOBRUCK
IL GENERALE CANEVA A ROMA
CONVERSIONE IN LEGGE DEL "DECRETO ANNESSIONE LIBIA"

Dopo qualche settimana di calma, intorno a Tripoli, nel gennaio del 1912, furono riprese le operazioni aeree. Grossa ricognizione, il 10, nella parte orientale dell'oasi con otto battaglioni una batteria da montagna, la terza divisione dei carabinieri, l'11° fanteria e uno squadrone di cavalleria; il 13 occupazione stabile dell'oasi di Tagiura, dove subito s'iniziò la costruzione di ridotte; il 15 ricognizione di uno squadrone di cavalleria verso Bir Akara e di un altro squadrone verso l'uadi Rubka con un cruento scontro con i beduini.

Il 18, a Gargaresch, dove si stavano costruendo dei fortini, ci fu un accanito combattimento. Al mattino, una colonna, composta di tre battaglioni del 52° fanteria, di uno del 1° granatieri, di una batteria da montagna e di due squadroni di guide e comandata dal Colonnello AMARI, fu assalita da nuclei di Arabo-turchi, che furono messi in fuga dall'artiglieria. Ma verso mezzogiorno il nemico tornava con forze maggiori ed attaccava violentemente gli italiani tentando anche di avvolgerli alla destra. Il combattimento durò fin quasi le 17, poi i nemici, respinti, ripiegarono in disordine verso Fonduk el-Toger.

Nella notte dal 27 al 28 gennaio 1912, preceduto da un attacco dimostrativo contro le linee italiane di Gargaresch, fu sferrato dai Turco-arabi, con forze assommanti ai 7000 uomini sostenuti da artiglierie, un energico attacco alle posizioni di Ain-Zara, che durò fino all'alba ma fu nettamente respinto. Il nemico, inseguito fino alle undici dalle colonne italiane, lasciò sul terreno circa mezzo migliaio di morti e un numero doppio di feriti. Anche nelle altre zone libiche la guerriglia riprese violenta. A Homs, nelle notti del 2 e del 3 febbraio, ci furono attacchi nemici però prontamente respinti; un terzo attacco, il 4 febbraio ma fu stroncato dalle artiglierie italiane.

A Derna, nel febbraio, il nemico si accanì contro l'acquedotto nella speranza d'impadronirsene. Assalti sferrò nella notte dal 2 al 3; respinto, tornò all'alba contro le ridotte Lombardia e Piemonte, ma fu ricacciato con perdite. Nella notte dal 10 febbraio all'11 febbraio, ENVER bey assalì con diverse migliaia di uomini e alcuni pezzi d'artiglieria, due punti delle linee italiane e riuscì ad espugnare la ridotta Lombardia, ma dopo un lungo e accanito combattimento il nemico fu dai fanti dell'Aosta e dagli alpini dell'Edolo ricacciato e messo un fuga.
A Bengasi, la notte sul 18 gennaio, mezzo migliaio di beduini assalì il blockhaus n. 3, difeso da 18 uomini del 68° fanteria comandati dal tenente NERI BIANCHINI, ma per ben due volte fu respinto dall'eroico manipolo. Il 19 un altro attacco contro le difese di Bengasi si infranse dopo tre ore di combattimento, e la notte dal 30 al 31, assalendo la ridotta del Foyat, gli Arabo-turchi subirono una sanguinosa disfatta.
Scontri di varia entità si verificarono a Tobruck il 14 e il 16 gennaio e il 3 e il 5 febbraio. Più accanito di tutti fu poi quello avvenuto nella notte del 17 febbraio alla ridotta del Tumulo.
Ai primi di febbraio giunsero a Tripoli un battaglione di ascari eritrei e uno squadrone di meharisti, comandati, l'uno dal maggiore DE MARCHI, l'altro dal capitano POLLERA, che furono immediatamente impiegati in ricognizioni; in quello stesso mese, con elementi libici, fu costituita a Tripoli una compagnia di savari che prese il nome di "banda del Gharian"; altri drappelli di savari furono costituiti a Bengasi.

Il 3 febbraio, chiamato dal Governo a Roma, partì da Tripoli il generale CANEVA, che lasciò temporaneamente il comando supremo e il governatorato al generale FRUGONI. Si disse allora che Caneva non sarebbe tornato più a Tripoli e quella diceria trovò facile credito presso il pubblico italiano, il quale, malcontento perché la guerra durava più del previsto e non accennava a finire, ne dava la colpa all'imperizia dei capi e principalmente al generalissimo.

CANEVA giunse a Roma il 7 febbraio e, in lunghi colloqui con i ministri e con il sovrano, dimostrò come fossero inopportune le impazienze del pubblico e ingiuste le accuse di lentezza che gli muovevano i facili critici. In Libia la guerra andava fatta con criteri diversi da quelli richiesti da una guerra europea. Occorreva sottomettere il paese a poco a poco e non andare a cercare il nemico nell'interno. Quanto alla Turchia, due sole erano le vie per indurla alla pace; l'azione diplomatica e l'azione navale.

Il 23 febbraio 1912, si riaprì il Parlamento. Il presidente della Camera, On. MARCORA, vivamente applaudito, pronunciò un patriottico discorso; egualmente applauditi gli interventi dell'on. LACAVA, del ministro della Guerra SPINGARDI e del ministro della Marina LEONARDI CATTOLICA; approvato all'unanimità fu un ordine del giorno cosi concepito:
"La Camera, con animo riconoscente ed orgoglioso, manda un saluto ed un plauso all'Esercito e alla Marina che, segnalandosi nel mondo, mantengono alto l'onore d'Italia!".

Infine l'on. Giolitti presentò il disegno di legge per l'annessione della Tripolitania e della Cirenaica, proponendo che esso fosse deferito all'esame di una commissione di 21 membri.
A far parte della Commissione furono chiamati gli onorevoli GIULIO ALESSIO, GUIDO BACCELLI, BARZILAI, BERTOLINI, BETTÒLO, BOSELLI, CARCANO, COCCO-ORTU, DANEO, ENRICO FERRI, FUSINATO, GUICCIARDINI, LACAVA, LUIGI LUZZATTI, RICCARDO LUZZATTO, MARTINI, ORLANDO, PANTANO, RONCHETTI, SALANDRA e SONNINO.

Il disegno di legge, che si componeva di un solo articolo, ed era accompagnato dalla seguente relazione:

"Onorevoli deputati, l'Italia ha sempre considerato come suo interesse vitale l'equilibrio delle influenze politiche nel Mediterraneo ed ha costantemente ritenuta condizione essenziale per tale equilibrio la libera e piena esplicazione della sua attività economica e della sua influenza in Tripolitania e in Cirenaica. Da lunghi anni, nonostante i mutamenti di uomini e di vicende, l'Italia ha diretto i suoi sforzi al conseguimento pacifico di questo fine, adoperandosi, con grande perseveranza e nei modi più leali, a conciliarlo col suo desiderio di mantenere amichevoli rapporti con la Turchia. Noi non saremmo ricorsi all'estremo mezzo di una guerra, se ogni altra soluzione non fosse stata resa impossibile, se ogni forma di attività italiana in Libia non avesse incontrato da parte del Governo ottomano una pertinace e sistematica opposizione, talora dissimulata, talora aperta, la quale divenne ancor più intensa e spesso provocante dopo l'instaurazione del regime costituzionale in Turchia, che aveva in principio destato tante speranze e tante simpatie. Nonostante tale contegno del Governo ottomano, l'Italia continuò per lungo tempo ad usare generosità e tolleranza in Tripolitania e in Cirenaica, cercando in tutti i modi di dimostrare che aveva unicamente di mira una pacifica opera di civiltà, e continuò pure a seguire, nella sua politica estera e in tutte le questioni in cui la Turchia era interessata, un indirizzo favorevole ad essa. A questo contegno l'Italia era indotta da considerazioni d'ordine più generale e dalla speranza che agendo in questo modo il Governo ottomano si sarebbe convinto della utilità di cessare dal porre ostacoli allo sviluppo degli interessi italiani in Libia.

"Tutto fu vano: ogni nostro atto, mosso da spirito di conciliazione e da particolare riguardo alle sue difficoltà interne ed esterne, era considerato dal Governo della Turchia come prova di debolezza e, mentre ne profittava per aggravare le sue continue ostilità e insidie contro qualunque nostra azione economica e civilizzatrice, e mentre preparava e compiva armamenti diretti a più aperte ed offensive provocazioni, continuava a mantenere quelle popolazioni nello stato delle più completa barbarie. Grave responsabilità avremmo assunto di fronte al nostro paese ed all'Europa intera, a gravi pericoli avremmo esposto l'avvenire d'Italia e la pace europea, se avessimo lasciato durare a lungo una situazione lesiva del nostro decoro e dei nostri vitali interessi, e cosi tesa da non poter avere altra soluzione che una guerra, e non avessimo tenuto conto del pericolo che questa venisse a scoppiare poi in un momento in cui avesse dato luogo a gravi e pericolose ripercussioni internazionali. D'altra parte era ormai evidente che non poteva durare a lungo la dominazione della Turchia sopra regioni poste a contatto con le Nazioni più civili, e nelle quali essa, che le aveva in tempo relativamente recente conquistate, nulla facendo per migliorarne le condizioni, si ostinava ad impedire che penetrasse per opera di altre Nazioni qualsiasi più elementare principio di vivere civile, tanto da mantenervi sulle sponde del Mediterraneo il commercio degli schiavi. Il contegno del Governo ottomano verso quelle regioni era tale da condurre inevitabilmente alla loro separazione dal resto dell'Impero, e certamente una fatale legge storica avrebbe indotto altri popoli europei ad assumersi quella missione di civiltà, alla quale fosse venuta meno l'Italia di fronte alla quale si stendono a poche ore di navigazione le coste della Tripolitania e della Cirenaica, dove tanti gloriosi ricordi lasciò la civiltà romana, avrebbe commesso il più grave degli errori se avesse rinunciato ad una missione che la sua storia, la sua posizione geografica e le sue condizioni sociali le impongono. La guerra italo-turca, diventata inevitabile scoppiò nel momento in cui era minore la probabilità di pericolose ripercussioni internazionali; essa è stata da noi fino ad ora condotta in modo da allontanarle il più possibile, e proponiamo oggi alla vostra approvazione la sola soluzione atta ad impedire che si presentino in avvenire.

I popoli hanno sovente un intuito meraviglioso di certe verità e di certi grandi interessi generali e nazionali: ne ha dato in questa occasione un esempio luminoso il popolo italiano, che ha chiaramente sentita la necessità di affrontare, senza indugio e senza impazienza, con calma e con perseveranza, tutti i sacrifici necessari per risolvere definitivamente e radicalmente la questione dell'assetto dell'Africa mediterranea, sottoponendo alla piena e completa sovranità dell'Italia la Tripolitania e la Cirenaica.
"Il sentimento popolare si sarebbe ribellato al pensiero di lasciare sotto la dominazione politica della Turchia le terre bagnate col sangue dei nostri eroici soldati. Ma il sentimento popolare era qui in pieno accordo con i più vitali, con i più positivi interessi del paese. Qualsiasi soluzione che non escludesse ogni dominazione politica della Turchia, avrebbe creato uno stato di cose assai pericoloso nei rapporti internazionali, dando origine, tra noi e le Potenze europee, a situazioni giuridiche e diplomatiche incerte; avrebbe tolto all'Italia ogni prestigio di fronte alle popolazioni indigene, avrebbe dato origine a nuovi conflitti con la Turchia, e avrebbe reso quasi impossibile la vera pacificazione, che è indispensabile per condurre quelle regioni al grado di civiltà che costituisce per l'Italia un impegno d'onore.
Questo con il suo fine intuito comprese il popolo italiano, della cui decisa volontà il decreto del 5 novembre 1911 non è stato che la genuina espressione. Gli esempi che una parte della stampa straniera ha citato, per dimostrare che una soluzione meno radicale avrebbe potuto dare buoni risultati, non calzano, perché, o si tratta di paesi, il cui sovrano indigeno risiede nel paese stesso e personalmente interessato al suo benessere ed è assistito dai funzionari della Potenza occupante, o si tratta di condizioni speciali, come quelle di Cipro, o altrimenti si è dovuto riconoscere, come nel caso della Bosnia ed Erzegovina, l'assoluta necessità di cancellare ogni vestigio di dominazione politica della Turchia.
"Nel caso di Cipro, invece, non era da temere che la Turchia volesse e potesse profittare dell'alta sovranità per creare imbarazzi al Governo britannico; infatti la maggioranza della popolazione di Cipro è cristiana e l'occupazione di quell'isola fu consentita dalla Turchia all'Inghilterra come mezzo di facilitarle l'appoggio, anche militare, cui in pari tempo si obbligava, in un momento nel quale grandi erano le simpatie turche per quella Potenza, che aveva salvato l'impero ottomano dalle più gravi conseguenze della guerra perduta con la Russia. Inoltre, assai più facile era regolare e mantenere rapporti continui, delicati e di natura non ben definita ai tempi dell'antico regime ottomano che oggi, e ciò per molte difficoltà d'ordine costituzionale fra le quali soprattutto grave la questione dell'invio di deputati al Parlamento di Costantinopoli. Ciò è tanto vero che, appena proclamata la costituzione in Turchia, l'Austria- Ungheria dovette necessariamente proclamare alla sua volta l'annessione della Bosnia ed Erzegovina, sebbene l'alta sovranità del Sultano presentasse minori pericoli in quelle province, dove solo un terzo della popolazione è mussulmana, mentre in Libia dove lo è quasi per intero.
Da ciò la necessità nell'interesse dell'Italia, dell'Europa intera e della Turchia stessa, del decreto che sottoponiamo oggi alla vostra approvazione e che costituisce il solo modo di eliminare ogni causa di futuri conflitti tra l'Italia e la Turchia..
Il decreto che vi presentiamo per la sua conversione in legge riserva ad una legge speciale il determinare le norme definitive per l'amministrazione della Tripolitania e della Cirenaica. Dal modo col quale sarà organizzata l'amministrazione di quelle regioni dipenderà in gran parte il loro avvenire; è quindi necessario un complesso di studi diligenti affinché l'opera nostra non sia inferiore alla gravità dell'argomento e alle gloriose tradizioni italiche.

"Al rispetto più rigoroso della religione mussulmana, dei diritti o dei legittimi interessi delle popolazioni indigene, dovrà corrispondere l'ordinamento di un'imparziale giustizia, l'impianto di servizi civili adatti alle condizioni naturali e sociali, lo studio dei grandi problemi economici, dalla risoluzione dei quali dipenderà ad un tempo la prosperità di quelle ragioni e il benessere e il buon nome d'Italia. Onorevoli deputati, il compito che l'Italia si è assunto è dei più grandi e dei più gravi che un popolo si assume. Il popolo italiano con il suo calmo, fermo e patriottico contegno ha dimostrato di averlo compreso. A questo contegno, comune a tutte le classi sociali, corrispose l'eroica condotta del nostro esercito e della nostra armata, veri e schietti rappresentanti dell'anima nazionale. Noi abbiamo ora la certezza che il fine che si propose l'Italia sarà raggiunto; ma perché esso rappresenti una grande opera di civiltà occorre che l'azione del grande legislatore e del Governo non sia menomata da una dominazione politica straniera, è necessario quindi che la sovranità d'Italia sulla Libia sia piena ed intera".

Nel pomeriggio del 24, l'on. GIOLITTI comunicò di aver partecipato al comando generale delle truppe in Tripolitania e a tutti i comandi dell'esercito e dell'armata il saluto del Parlamento votato nella seduta del giorno precedente, e lesse la risposta del generale CANEVA che fu accolta con fragorosi applausi; quindi l'on. FERDINANDO MARTINI lesse la relazione della Commissione, in cui fra l'altro si affermava:

"II decreto del 5 novembre sussegue all'impresa e ne afferma gli effetti; lo conforta la ragione politica consapevole delle difficoltà e dei pericoli di un duplice dominio, lo conforta il sentimento spesso più d'ogni ragione guida fedele dei popoli. Là dove fu data al vento la nostra bandiera, dove cadde reciso il fiore della balda gioventù nostra, sulla terra che vide le epiche audacie della nostra marina, dove, tra il ridestarsi di sopite energie, noi ritroviamo noi stessi, non può sussistere dominazione che la nostra non sia.
E già la Libia fu nostra, la fatica dello zappatore restituisce alle carezze del sole le vestigia della civiltà latina e l'opera magnifica degli avi lontani; la fa nostra oggi la prodezza dell'esercito; sarà più tranquillamente nostra domani, quando, come avvenne in minori colonie italiane, gl'indigeni tolti alle sobillazioni bugiarde, sicuri nelle inviolate credenze, tra la feconda luce dell'incivilimento che tutto disnebbia, fruiranno di non mai godute né sperate prosperità".

Fra i deputati che parlarono intorno alla relazione fu l'on. ENRICO FERRI, che, tra l'altro, disse:
"Osservatore dei fatti sociali, non posso dimenticare la legge storica per cui una nazione, ottenuto il culmine della pienezza della sua vita, passa inevitabilmente per la fase della espansione coloniale. E questo non poteva non essere il destino d'Italia! L'Italia aveva delle speciali ragioni per la sua speciale fortuna sul mare Mediterraneo ove ogni terra palpita ancora della sovranità romana. Gli Italiani che vivono all'Estero -e che finora erano troppo poco considerati e male trattati- risentiranno ora il prestigio della madre patria che rifulge superbamente luminoso. Le speciali condizioni delle classi lavoratrici meridionali, il cui sviluppo è un problema decisivo della nostra vita economica nazionale, imponevano questa necessità. L'unità morale del paese che ha oggi riaffermata innanzi al mondo civile, che finalmente ha mostrato di accorgersene, non cancellerà le ragioni profonde dei partiti politici che sono basati esclusivamente sulla organizzazione di grandi interessi collettivi materiali e morali".

L'on. GIOLITTI, che prese per ultimo la parola, dichiarò di essere "entrato nel concetto della necessità dell'impresa non per forza d'entusiasmo, ma con freddo ragionamento", e, a proposito del decreto, affermò che era stato fatto "per togliere qualunque illusione, per determinare qual'è la meta cui il paese a qualunque costo vuol giungere, in modo che amici alleati, avversari sappiano quale è il punto oltre il quale l'Italia non potrà andare nelle sue concessioni"

Applausi coronarono le parole del presidente del Consiglio. Posta in votazione la legge sulla sovranità italiana in Libia, fu approvata con 431 voti contro 38 ed 1 astenuto. Con un TURATI molto critico sull'impresa libica e con tutto il gruppo socialista che aveva dichiarato che avrebbe votato contro; però 13 deputati socialisti voteranno a favore ma rimarranno nell'anonimato.
La poca fiducia che già avevano fra di loro, fu così avvelenata dai sospetti, e TURATI inizierà a sostenere che "ormai è inevitabile una scissione"; ma la soluzione a questi contrasti con una mozione a maggioranza fu rimandata al successivo congresso del PSI.

Roma quel giorno pareva in festa; i negozi, durante la seduta alla Camera erano chiusi per festa nazionale; un'enorme folla si stipava in Piazza Montecitorio, sventolando bandiere e cantando inni. Alla fine della seduta, quando i ministri e i sottosegretari si affacciarono al balcone, la folla fece loro una dimostrazione delirante, poi, in corteo, si recò in piazza del Quirinale ad acclamare i sovrani.
Al Senato, il giorno dopo, il disegno di legge fu approvato con 202 voti favorevoli su 202 votanti. Erano presenti alla seduta il duca di Genova e il duca d'Aosta, ai quali l'assemblea e il pubblico che gremiva le tribune fecero un'entusiastica dimostrazione.

 
 
 
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A DETTA DEGLI ASCARI....

...Dunque tu vuoi essere ascari, o figlio, ed io ti dico che tutto, per l'ascari, è lo Zabet, l'ufficiale.
Lo zabet inglese sa il coraggio e la giustizia, non disturba le donne e ti tratta come un cavallo.
Lo zabet turco sa il coraggio, non sa la giustizia, disturba le donne e ti tratta come un somaro.
Lo zabet egiziano non sa il coraggio e neppure la giustizia, disturba le donne e ti tratta come un capretto da macello.
Lo zabet italiano sa il coraggio e la giustizia, qualche volta disturba le donne e ti tratta come un uomo...."

(da Ascari K7 - Paolo Caccia Dominioni)

 
 
 
 

 
 
 
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