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Zagara&Pepe

La Metamorfosi è uno stato dell'Anima

 

 

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LE PASSANTI

Post n°103 pubblicato il 12 Luglio 2008 da pro_mos

S’era svegliato presto, di buon mattino, come era suo solito da tempo. La luce filtrava già dalle tapparelle lasciate un poco alzate ed i rumori della strada più sotto iniziavano ad animare la giornata anche se non riuscivano a sovrastare del tutto il canto di qualche uccellino che continuava a farsi sentire. Era un alternarsi di voci fra il cinguettio ed i motori: si rincorrevano, si sovrapponevano, si mescolavano ma senza dar mai l’impressione d’un vero dialogo, come se a parlare, a parlarsi, fossero stati due mondi differenti, lontani, invisibili, incapaci di compenetrarsi, di comprendersi, o forse semplicemente, indifferenti l’uno all’altro.

-“Si può essere vicinissimi, alle volte – pensò – eppure essersi invisibili, o peggio restarsi indifferenti”.

Gli tornarono in mente le parole d’un testo che De Andrè aveva tradotto e poi cantato in un millennio appena trascorso

Alla compagna di viaggio
i suoi occhi il più bel paesaggio
fan sembrare più corto il cammino
e magari sei l'unico a capirla
e la fai scendere senza seguirla
senza averle sfiorato la mano”

E pensò ai mondi che l’avevano solo sfiorato, e a quelli che lo stavano sfiorando, senza la possibilità di fermarsi, d’incontrarsi, di darsi, magari, quel poco di felicità che la vita sembra poterti offrire ma che poi, alle volte ti nega come per un capriccio.

Il rombo dei motori saliva d’intensità, e pure di frequenza. Ormai anche i clacson facevano sentire la loro voce segno inconfutabile d’un traffico che si stava contendendo lo spazio, il diritto di un passaggio preso o negato.

-“Si passa prendendosi lo spazio a suon di clacson – riprese a pensare – si urla si grida per attirare l’attenzione, per affermare la propria identità per prendersi un diritto che pare negato. Si avanza fra la folla che aumenta, a spintoni, a graffi, a morsi.”-

Si sentì di nuovo stanco di fronte a quella immagine. L’idea di urlare per dover affermare il diritto di vivere lo faceva sentire spossato.

Andò sulla terrazza guardando verso la strada. Le auto scorrevano tutte verso un chissà dove.

Non aveva voglia, lui, di correre, di ….scorrere. avrebbe voluto invece fermarsi, magari sopra uno scoglio a guardar il mare più sotto, e respirarne l’aria e i suoi profumi e sorriderle negli occhi, senza parlare.

“Allora nei momenti di solitudine
quando il rimpianto diventa abitudine,
una maniera di viversi insieme,
si piangono le labbra assenti
di tutte le belle passanti
che non siamo riusciti a trattenere.”

Lei era un punto lontano. Che non stava riuscendo a trattenere. 

 
 
 
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