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4 Giugno 2006

Post n°16 pubblicato il 25 Aprile 2007 da setairlandese

http://ascolta.nostalgia.it/speciali/genoagoal/genoa-salernitana-lopez.asp

Una emozione unica. Io non c'ero ma in quel momento stavo guidando, ero in coda in autostrada, verso levante, tornavo da La Spezia. Una sola emozione, unica.

 
 
 

Per non dimenticare

Post n°15 pubblicato il 25 Aprile 2007 da setairlandese
Foto di setairlandese

 
 
 

Post N° 14

Post n°14 pubblicato il 25 Aprile 2007 da setairlandese

Anche stamani, giornata di liberazione, andrò in piscina e le acque tiepide confluiranno sul mio corpo in un primario e fastidioso brivido che poi si trasformerà in una situazione piacevole di caldo e tranquillità... il respirare un pò affanosamente perch dimetterelatestasottononmelasentoproprio.... e contare...1,2,3,4,5,6,7,8,9,10.... siamo a metà corsa, dai ancora dieci, ce la possiamo fare.... 11,12,13,14,15,16,17.... quando arrivi a 17 dici cazzo sono quasi arrivato e allora guardi l'orologio e dici dieciminuti prima di ieri.... ma allora non sono così lento, si dai però resto nella corsia dei lentoni dove però, qualche stronzo di turno si infila lo stesso e in maniera presuntuosa nuota davanti a te, sgomitando o spinnando con piedi da papera e mani palmate. Gli darei una testata.

Ciaff... 18,19,20... finite, alziamoci dalla vasca, inizia il mio rito giornaliero, doccia, frizione, profumi e caffè di relax.... a presto.

 
 
 

Parte nove, ovvero il ritorno di Patrizia

Post n°11 pubblicato il 25 Aprile 2007 da setairlandese

Non credevo che ispirarsi ad un cantante potesse aiutare a riprendere a scrivere un qualcosa a cui tengo realmente molto e che, talvolta, riaccendo con maniacale maniera e rileggo, tra qua e la magari qualche piccola sbavatura, qualche piccolo errore ma non perdendo mai il gusto della emozione.

Blaze of glory è la mia musa ispiratrice e in una calda e ventilata serata di Luglio  utilizzo questo poco fido portatile con la voglia e l’entusiasmo di scrivere ancora, di usare il pc come potrei in fin dei conti usare il lettino di uno psicologo, figura questa magari fino a poco tempo fa vista dal sottoscritto con difetto, mai oggi così accettata.

Dovrei averne bisogno? Chissà, forse si, troppo spesso il mio cervello ha frullato idee e, in questi ultimi tre anni, poveraccio, è stato sottoposto a degli sforzi niente male, degni di alcuni tour de force che, ad altri avrebbero causato un rammollimento globalizzato…. Quando dico che il mio carattere è ciò che mi aiuta, forse non dico delle “belinate”.. anzi!

Che ne dite, notate delle differenze tra l’impostazione del paragrafo sei e del paragrafo sette? Lo sapete che sono trascorsi almeno tre anni e in tutto questo tempo ho pensato, rimuginato, metabolizzato, pianto, riso, scherzato, mi sono ammalato, mi sono innamorato ho fatto tantissime cose che con amore, passione, piacere, amore per lo scrivere voglio mettere per iscritto. Ora, adesso, in questo momento, tra il suono di un psicopatico rullante dell’americano Joe, già perchè l’amore per la batteria non è mai scemato anche se, a distanza di tre anni, viene sempre meno praticato. Perché? Perché dove poggiava la parte finale della bacchetta se appoggi l’orecchio senti un fruscio, un tremore, un frrrrrrrrrrr di micione, segno indelebile di una malattia che in questi anni si è sempre più innamorata di me e io, mio malgrado, sempre più ho imparata a vivere con lei senza innamorarmene. Anzi.

E in questi tre anni si è impossessata di me sotto tutti i punti di vista, nel corpo, nello spirito, nel pensiero ma lo ha fatto gradualmente, lasciandomi la possibilità di non perdere le cose che più amo. Le mie figlie, i miei amici, i miei amori, i miei familiari. Sotto questo punto di vista è stata molto garbata, gentile, quasi speziata, come il caffe al Cardammono che solo Patrizia sapeva preparare nella sua grande casa condivisa poco meno di metà.

Già perché Patrizia rappresenta un grande nodo nella mia vita e forse stasera, quasi ventiluglioduemilacinque, patrizia mi ha dato la voglia, la spinta e la forza di scrivere ancora. Ed allora eccomi qui, a scrivere di un incontro su di un treno affollato nella calca di un intercity milanogenova, alla faccia di un posto non prenotato di cui sempre dirò grazie.

Già perché pronunciare al bigliettaio un nuovo niet niet mi ha permesso di conoscere una bellissima persona di cui, ancora adesso ne sono grandemente innamorato e convinto che dagli errori se ne esce fortificati. Vero Pat?

Ero quasi “geloso” di quell’operaio dell’Italsider in pensione quella sera in treno, volevo parlarci solo io e allora quale sistema migliore se non quello offerto dall’informatica, da un pc che con power point sviscerava diapositive al di là della realtà dove fumare fa male e induce a contare i propri anni pacchetto se non vuoi sentire quella tosse cough cough che maligna, cattiva, rapida e precisa si faceva sentire anche nei momenti di intimità, per poi riderci sopra e clampeggiare il torace esile ma solido di una ragazza meravigliosa, dolce, combattiva ma ahimè tabagista.

Addirittura le cedettero il posto, addirittura si sedette su di una valigia ma tutte le sue mosse erano miele per me così come miele era ed è la sua parola preferita. Al limone, di tiglio, di sopra o di sotto il miele fa parte del suo risveglio e ha cominciato a fare parte anche del mio, della mia credenza in cucina. Le formiche ti ringraziano Pat, ancora adesso.

 
 
 

Parte otto

Post n°10 pubblicato il 25 Aprile 2007 da setairlandese

L’acqua rappresenta sicuramente la maggiore fonte di vita di ogni uomo, plasmato e successivamente liofilizzato nel corso della propria esistenza. Ma di acqua noi galleggiamo e di sangue proviamo emozioni e sentimenti che, se troppo forti, restano talvolta per tutta la vita, fino a segnartela.

E, come in questo caso, ad indurti a scrivere dei momenti infantili vissuti dalla parte di Davide come normale routinarietà fiabesca, e, dalla parte di Golia come imposizione paterna in una notte d’estate.

Quando è caldo bisogna lentamente respirare, bisogna nutrirsi di acqua, e con queste parole sentite fino alla nausea da una mamma premurosa pochi minuti prima che il proprio figlio svanisse nei giochi di una giornata afosa, inseguendomi con il cappellino e le raccomandazioni di rito, mi apprestavo a vivere con l’acqua le mie giornate, non tanto per bisogni fisici personali, quanto per provare il gusto di scaraventarla sugli altri, sulla gente, per sentirsi grande e condividere goliardicamente il bisogno di divertimento estivo.

Ed ecco che “quello li”, il batterista da balera, suona la sua mazurca, con lo sguardo spento, quasi fisso alle lancette di un vecchio Piaget con la speranza di smontare presto questa volta lo strumento, e altrettanto rapidamente caricare il tutto sul furgone e lasciarsi trasportare dall’onda di serate estive ricompensate da gelati, birre e due stecche di Nazionali.

Ricordo come fosse ora l’odore del tendone di juta che avvolgeva la band, nascosta da una fortificazione provvisoria degna del peggior trucco di mimetismo cinematografico, dove la biglietteria era ricavata da due cassette di frutta, un paio di blocchetti gialli ed arancio, una ragazza pesantemente truccata, praticamente incorruttibile in quanto figlia del padrone del locale.

 

Poi, per il fatto che dieci erano gli anni di differenza tra noi due (come i lettori, ricordo, del mio capolavoro), nulla poteva unirci se non un senso di disgusto verso il sottoscritto, ancora oscuro dal capitolo sesso, all’alba invece della nostra avvenente bigliettaia.

“Dai Tiziana, fammi passare”, niet, niet, niet, e questa francamente me la sono portata dietro per tanti anni, anche perché era una di noi, della compagnia, rappresentava un guru, certo, ma pur sempre rientravo nella lista delle persone da lei conosciute..

E intanto si sudava, e la musica si faceva sempre più assordante, con quei fischi improvvisi dagli amplificatori nati credo per svegliare qualcuno in piena fase rem o intento a raccontare l’ennesima palla venatoria.  Perché la caccia era sempre aperta, tranne che per il sottoscritto, non molto intenzionato nemmeno a prendere il libretto.

Cosa resta da fare se non scaricare il tuo infantilismo sulle solite due dita, quelle che in un futuro mi accompagneranno nel suono delle mie Drums….? Pollice fermo e indice che torna al suo padrone, in un rapido gesto e in una eiaculazione fresca, di sorgente, sul collo o sui vestiti di una pistola ad acqua rossa, con il tappo nero, modello colt americana, e le risate sforzate di un gruppo di bambini che corrono sui viali, ed un adulto, il mio, che nero in viso come il tappo della pistola, mi fulmina, mi prende, sbraita, e mi porta via, a casa.

Ancora ora sento le voci degli adulti, per loro è solo un gioco, “Ma dai, su, lasci stare…” Niet, niet, niet, ancora un niet e voltandomi anche Tiziana rimane di sale, si sente forse in colpa perché chissà, un suo Da, Da, Da avrebbe forse evitato paure e punizioni.

Però forse se fosse andata così, non sarei qui a raccontarvelo. E dieci persone sulla terra, in questo momento, avrebbero altre cose da fare. Magari i bigliettai.

Da Da Da!

 
 
 

Parte sette

Post n°9 pubblicato il 25 Aprile 2007 da setairlandese

In certi momenti di ogni esistenza, esiste sicuramente la fase in cui ti senti più o meno ispirato, e quella che da tutti viene chiamata musa credo dipenda esclusivamente dalla situazione principalmente affettiva che ti sta attorno. Cerco di essere franco. Se sei con la testa fra le nuvole e scrivi per denaro, devi essere una persona con molto tempo libero, visto che l’essere femminile ti fagocita fino agli ultimi secondi di esistenza, lasciandoti almeno il tempo per respirare in quanto rientra tra i bisogni primari dell’uomo. Ma tralascia a volte gli altri, se l’influenza ormonica non dettata dal alcun 166 o cartomante di turno, in quel momento ha il sopravvento e, entrato nel sortilegio sfavorevolmente astrale, speri che il periodo possa limitarsi con il minimo dei danni.

Tutto a vantaggio della mano, forse per tale motivo capisco il perché risulti essere la parte anatomica che meglio si conserva nel corso degli anni. Guai a perderla, saresti veramente un uomo finito. E l’ipocrisia vuole farci credere che sarebbe impossibile scrivere. Certo, scrivere.

Però senza una donna è difficile rimanere. E il problema ruota tutto sul tipo di donna che decidi di avere, come se fosse facile fare snap con le dita e in pochi secondi, alla maniera di fata turchina, riesci ad ottenere e desiderare quello che nei sogni fluttuava da anni.

Bisogna poi vedere se un uomo è disposto a mantenere sempre la stessa donna per tutta la vita, e, giustamente, da non sottovalutare il discorso inverso. Ci crediamo troppo furbi nelle valutazioni, e troppo spesso in botti di ferro impossibili da scalfire. Ma talvolta, come il mare smussa le pareti umide e vischiose delle rocce, così la monotonia e il carattere delle persone lima e gratta la quotidianità che circonda e ingloba tutte le ventiquattro ore giornaliere, le mangia, le gusta, le assapora, anche se il gusto avrà sicuramente un non so che di stantio, ammuffito, stanco.

Il gusto delle cose spesso è stanco anche perché noi siamo stanchi di cambiare: e qui sta l’errore, dove non esiste la voglia di modificare inizia la morte della passione, dei sentimenti, la decapitazione del vivere al carpe diem, sperando di arrivare ad un’età avanzata senza rimpianti, meglio con dei rimorsi. Se vivi con rimorsi comunque potresti aver trascorso momenti unici, peggiori dei minuti vissuti a scandire il clic-clac di un orologio bianco, tra le grida e gli schiamazzi di giovani e adolesecenti.

E, in questi momenti, vivi solo di rimpianti, pensi a quella volta che o al se fossi andato lì. Pensi, ripensi, per un attimo credi di potere recuperare il tempo perso, ma quando provi a scendere dal letto ti accorgi che non puoi, perché due sbarre di metallo, fredde, con spiragli laterali tali da immaginare ipotetiche vie di fuga, sono a pochi attimi da te, strette da una rotella nera che morde le tue ultime speranze di vita.

Forse, in un momento tale, non mi resterebbe altro che mordermi le pellicine, succhiare la carne viva fino all’attesa del confluire di agglomerati piastrinici e rigonfiamenti zigrinosi , segno di un compito finalmente svolto.

Qui, per fortuna, non avrei rimpianti.

 
 
 

Parte sei

Post n°8 pubblicato il 25 Aprile 2007 da setairlandese

L’odore di questa confezione era lo stesso della macchinina gialla, oramai dimenticata dalla mia mente e nascosta in quello che tutti chiamano oblio e che io, con scarsa presunzione del sapere, chiamo semplicemente volontà di non ricordo. Forse perché poteva associare qualcosa di spiacevole e la cosa non mi ha preoccupato più di molto, visto che la macchinina era, appunto, nascosta sotto le tendine di un antico lavandino alla genovese, di marmo, uno stile puramente ligure, da alcuni considerato retrò ma che oggi, se acquisti una casa, altro non fa che innalzare il valore della stessa. Almeno della cucina.

Quindi ricordo il suo odore, intenso, quasi fastidioso e chissà perché il termine cianoacrilato mi dice qualcosa. Forse suona solo bene, ed io sono soddisfatto lo stesso.

Aprivi le tendine di questo piccolo ripostiglio e al suo interno trovavi un mondo nascosto volutamente dalla mamma, fatto di detersivi aperti, talvolta dimenticati, dall’odore dolce ed aspro che si mescola alla mielosità lassativa di un coccolino prima maniera o dalle spugnette al cui interno vivono come tesori nascosti lontani ricordi di cene concluse e lavandini disinfettati.

Quando ero li sotto mi immergevo in una realtà non mia, di adulti, quindi rubata per alcuni minuti fino a quando la mamma non chiamava perché non ti trovava (e le tende erano chiuse) o semplicemente ti esortava ad allontanarti, sbraitando sul fatto che i giocattoli esistono e perché mai lasciarli morire di noia. Forse la noia era lì, tra i Big Jim e gli scenari Atlantic, bruciacchiati da esplosioni e bombardamenti inventati, frutto di guerre infinite verdi e rosse, giallo o nere, blu o bianche. E con questi abbinamenti scorreva fluida e veloce la mia esistenza, la mia giovinezza, la mia guerra. Ero fiero e felice, comunque, di sparare a salve.

 
 
 

Parte cinque

Post n°7 pubblicato il 25 Aprile 2007 da setairlandese

Questa mattina ho finalmente deciso di dare ordine alla stesura del mio capolavoro e la smania di leggerlo ogni volta che me lo trovi tra le mani mi porta a rivederlo, correggerlo e pensare se giustamente bisogna eliminare un concetto, un pensiero. Sono figli infatti di un preciso momento, di esatti secondi di una emozione oramai svanita e che, come in un antico maleficio millenario, quasi temi ripassare con il tasto del per paura di svalutazioni letterarie.

L’ordine dicevo. Le cose che ho fatto nel corso della mia vita sono molte e sarebbe bello cercare di riviverle, tutti insieme, le migliori o le peggiori, creando nuovamente la stessa situazione, gli stessi momenti, e con precisione mitteleuropea inforcare pollice ed indice e regolare le lancette indietro tante volte, fino a sentire resistenza e dolore dove le nostre dita, appunto, si congiungono. Ed è lo stesso male che provo suonando le Drums…. Un male piacevole, perché vuol dire comunque che l’intensità è giusta e la tensione che esprimi cade lì, sul muscolo della tua mano. Basta essere felici e la mano, spesso, nasconde molte felicità. Coatte.

 

La cosa strana che affiora nella mia mente a distanza di alcuni decenni è stato il ricordo Proustiano relativo ad una piccola macchinina gialla di gomma, tonda, consumata, con i semisassi delle ruote piegati ed incurvati su se stessi a furia di prendere colpi contro i muri, lanciato con la forza di un bambino che proietta la rabbia sulla sagoma di una macchina che mai, comunque, potrà creare incidenti se non di percorso, durante la crescita e lo sviluppo di una figura che rare volte dice si.

Ed è proprio quell’odore particolare che raffiora anni dopo, di notte, al lavoro, quando l’ennesimo respiratore viene smontato in decine di pezzi, lavato, sterilizzato, reso puro, asciugato, quasi con paranoica gestione e minuziosità dei particolari, fino al momento legato al concepimento di una nuova unità di vita. La apertura di un kit monouso rappresenta il culmine, il termine di un lavoro, quasi una soddisfazione nel vedere questi due tubi, in entrata e in un uscita, puliti, nuovi, pronti a dare ossigeno e speranza a chi, tabagisticamente, ha speso parte della sua vita tra l’azione di tirare e inglobare cancro.

 
 
 

Parte quattro

Post n°6 pubblicato il 25 Aprile 2007 da setairlandese

Sicuramente una caratteristica seguirà i miei dieci lettori. Saranno forse confusi durante il racconto in quanto difficilmente userò un ordine, ma sicuramente offrirò gradevolezza e  senso visivo rinfusamente ordinato, mantenendo la piacevolezza della lettura poiché se manca quella allora sei veramente finito.

E’ un po’ come quando esci con una ragazza non bella, anzi bruttina, che si salva per il savoir faire o per la sua non ostinatezza alla cocciutaggine di eros. Già, se anche quello si scioglie come margarina sulla scaloppina allora quella è veramente OUT e nemmeno il piacere per l’appunto della carne (o del burro) viene a soddisfare le tue voglie estive, da raccontarsi sui banchi di scuola farcite e condite meglio di una insalata di paese.

Alzi la mano chi non la mise tra un reggiseno di pizzo all’età di sedici anni, con la paura di rimanere fulminati da una scossa inesistente o piacevolmente colpiti da una micro peluria sulla aureola poppatoria che quasi ti fa sorridere ma nello stesso tempo ti tiene senza respiro.

E’ tuo il cuore che esplode e tua la mano che ora si apre a piatto sul seno, così, solo per sentire se batte più del mio. Ed ero pronto a dirle in tal modo se solo avessi visto Daniela ritrarsi o incazzarsi con il mio gesto ed i miei movimenti. Avevo la battuta pronta, la risposta giusta, che solo i cittadini di Contapallandia posseggono per sopravvivere.

Non era un granchè certo, ma l’età era quella che ti permetteva pure di sorvolare dinanzi ad un viso non certo monroiano ma di fronte ad un terzo livello di pizzo sufficiente da farti trascorrere una estate tranquilla e in pace. Nel buio della sera però era meglio, un pò per la magia che la notte ha sempre influenzato il sottoscritto (“Non capisco ancora dopo anni di cammino se trattasi di luna o di semplice lumino”), un pò per le ombre delle nuvole e la brezza della notte che forse aiuta i tuoi neuroni a vederla monroiana, sicuramente diversa, quindi appetibile e pure simpatica. E correva il millenovecentoottantare

 
 
 

Parte tre

Post n°5 pubblicato il 25 Aprile 2007 da setairlandese

“Tell me Stefano, which instrument do you play?”  “I play the battery madam!” –

Con questa ignobile barbina palla esordii alle superiori dinanzi alla insegnante di Inglese, e ancora ora ricordo il suo sarcastico sorriso e la sua secca risposta . “No battery…… you must say drums!”

Certo, avrò pure fatto una figura barbina ma sapevo finalmente che la batteria era la cosiddetta DRUMS e con questa parola anglosassone mi riempivo la bocca canticchiandola giorno e notte. Suonava bene. Pensiamoci però dai…. onomatopeicamente parlando sembra il colpo del legno sul rullante, quando però ti dimentichi di regolare la ghiera e il suono diviene cupo, assordante, ma nello stesso tempo eccitante. Io sono l’autore del gesto, mia è la mano che spinge la bacchetta sulla pelle tirata e la fervida voglia di infierire o meno dipende dal suono che poi plasmerò dai miei neuroni. Drums, ripetevo. Drums. E con questo suono la mia bocca si riempiva di gloria immaginaria, la migliore, quella che ti fa sognare ad occhi chiusi con i piedi intrecciati, il pigiama messo alle due del pomeriggio perché i jeans stringono, con le cuffie nere così pesanti da indossare, ma che poi quasi scompaiono sule tue orecchie tanto più rapidamente quanto più godibile era la musica che mettevo sul piatto.

Il gustoso crepitio di quattro solchi di vinile erano quelli che poi, ti davano il tempo più o meno materiale, di correre e atterrare veloce sul letto, sentire l’ennesimo cigolio di una molla che prima o poi doveva saltare, e prepararsi a godere il nuovo e sospirato concerto, l’ennesima immaginazione di un fantomatico repertorio musicale dove io, ma solo io, suonavo la mia drums, e con essa godevo di gloria coatta.

La stessa di quando, in una estate di ventuno anni fa, accesi il cuore dicendo “Vorrei fare un gol sotto la Nord per te”.. Io, che solo a trent’anni ho imparato a giocare scarsamente a pallone, forse per anzianità riflessa, maturata dopo centinaia di partite vissute tra televisione e realtà. Oppure “Stasera vengo a prenderti con la vespa” quando ero a piedi ed i miei piedi li notavi anche di sera, con un paio di Mecap gialle e blu che accendevano le serate di una estate piemontese.  Ricordo che quando indossavo quelle scarpe di gomma si triplicava il numero di lucciole che svolazzava tra i quattordici e dodici gradi serali di una notte mezzagostiana….. ero la loro luce e fieramente le conducevo lontano dalle mani di bambini troppo smaniosi di averle e troppo fortemente stringerle fino a farle soffocare nel buio infantile. Che peccato, a volte qualcuna si è spenta tra le mie.

Simona mi aspettava quella sera in piazza, mi cercava perché voleva andare in vespa con me, ma io ancora non sapevo cosa mi stesse aspettando. Una ennesima figura barbina, l’albero delle brutte figure, che nasce talvolta dal paese di Contapallandia, ma che spesso ti aiuta con quel pizzico di fortuna sufficiente a dializzare i ricordi in meno di un battito di luce.

“Roberto, devi insegnarmi ad andare in vespa” e così sprecai un pomeriggio estivo – avevo i compiti di ripetizione quell’anno – a capire che in prima la frizione va lasciata piano altrimenti slitti, ti impenni e cadi. Esattamente davanti alla tua Simona, vestita di verde, con una gonna lunga, i capelli biondi con la frangetta rigonfiata stile Ah Ah anni ottanta e un profumo, il mio primo profumo, che ancora oggi amo ma non fumo; malgrado il termine sembra tutto il contrario, per l’appunto a suo favore, pro fumo (Opium).

 
 
 
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Un blog di: setairlandese
Data di creazione: 24/04/2007
 

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