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23 ottobre 1630 UNA TRAGICA VERITA' capitolo n.11

Post n°296 pubblicato il 10 Marzo 2024 da paolaassisi

Reply non riusciva a prendere sonno. Si rigirava sul pagliericcio e ne ascoltava il fruscio. La candela sulla scranna baluginava gli ultimi bagliori. Yael ascoltava sdraiata dalla parte opposta di quella stanza comune. Infine si mosse, si alzò e avvicinatosi a Yael la scosse e disse: Yael, lo so che tu pure non dormi. Orsù, alzati. Il pallido volto estenuato di Yael si illuminò di nuova speranza, si scosse: Padre, si, io pure non riesco, L’angoscia mi invade. Dica, che faccio? Come posso aiutare? 
Alzati e prima d’ogni altra cosa, recati da Isacco e comandagli di venir teco che bisogna agire.
Di nuova speranza accesa nel volto, capendo che infine il padre aveva forse trovato la via, Yael a piedi nudi corse verso la porta, poi ricordandosi tornò indietro e svelta infilò ai piedi gli asmasin e finalmente si diresse veloce in fondo a via Vignatagliata bussando impetuosa all’uscio ove sapeva abitare Isacco. 
L’uscio come timoroso si socchiuse, un volto nel buio fu scorto e subito una esclamazione accolse Yael e la porta si spalancò. 
Ella si guardò intorno e vista la strada deserta, avvolta ancora dalle ultime ombre della notte, entrò sussurrando: Isacco, Isacco, credo mio padre si arrovelli in un sogno che mai lo fece dormire stanotte. Ti vuole, ti vuole subito Isacco, vieni meco! Isacco comprese l’urgenza e voltosi verso il buio della stanza abbracciò una forma che pure abbracciò e giratosi chiuse l’uscio. Si sentì subito il suono della spranga dietro d’esso e un singhiozzo. Insieme corsero e presto raggiunsero la casa di Yael. Il selciato fu pieno del suono degli asmasin e prima ancora di arrivare all’uscio, questi s’aprì e Isacco nella casa entrò, chinando il capo, accompagnato dalla ragazza. Isacco vide il volto agitato di Reply e comprese quanto poco egli avesse dormito. Isacco, Isacco, mormorò il Rabbino. La sventura ci avvolge eppure qualcuno ancora ci è vicino. Ieri una donna mi si accostò silenziosa e mi porse quest’oggetto, dicendomi averlo trovato presso il corpo dell’ucciso sconosciuto. Isacco lo prese, lo guardò: era un semplice anello di legno, ma di squisita fattura. Al suo colmo vi era incastonata una pietra azzurra nella quale era incisa una croce. Isacco meravigliato lo prese mentre Reply veloce gli disse: Isacco, corri, corri perché bisogna sapere chi è l’ucciso e perché. Un ebreo non porta anelli così… corri dal buon Padre Francesco, unico cristiano amico del ghetto e chiedi. Padre Francesco stava recandosi a Santa Chiara quando incrociò Isacco, che trafelato si dirigeva verso la chiesa del monastero. Veloce Isacco gli disse del desiderio del Rabbi, porgendogli l’anello. Padre Francesco lo rigirava fra le dita, guardando la pietra e senza parole disse: Isacco, taci. Tornati. Vedendo questo anello ricordo dove altri simili ne vidi. Va’ e taci. Quando saprò al Rabbino dirò. Nel saio s’avvolse e nelle luci dell’alba scomparve, non visto. All’alba, la corriera che dal castello ogni mattina s’appresta verso Codigoro, era in partenza allorquando Fra Francesco chiese al cocchiere di farlo salire: doveva recarsi all’abbazia di Pomposa. Ben oltre il mezzodì la corriera giunse dinanzi all’abbazia. Fra Francesco discese e rapito da quella bellezza che lo accolse monello, attraversò l’atrio sperando incontrare fratelli. Non v’era nessuno eppure, entrando nella chiesa, un sommesso canto nasceva dal fondo della navata di destra. Inginocchiatosi, si terse gli occhi polverosi e verso il fondo si diresse. Un gruppo di monaci in ginocchio sommessamente cantava quando, all’improvviso, dal gruppo si alzò il più vecchio, certo l’Abate e verso lui guardava allargando le braccia al sorriso. Padre Francesco parve illuminarsi e chinatosi fin quasi in ginocchio egli pure allargò le braccia dicendo: padre Gregorio, Dio ti accompagni! E felice accolse l’abbraccio. Padre Gregorio stupito guardava quel volto da tanti anni celato dal corso del tempo e subito comprese che un fatto assai grave doveva avere spinto Fra Francesco a recarsi a Pomposa; subito s’affrettarono verso la biblioteca deserta. Vedendo l’apprensione, il volto incanutito dal tempo ammirando, le mani stringendo le mani, subito chiese quale ambascia avvolgesse Ferrara. E presto fu noto. E presto padre Francesco pose nelle mani di padre Gregorio l’anello. Questi lo prese, fra le dita lo rigirò, poi disse: lo riconosco. Quest’anello io stesso donai ad un monaco al momento della sua ordinazione. Questo è l’anello benedettino che ornava un dito di frate Edmondo. Egli ormai dieci giorni or sono si è allontanato da Pomposa per incontrarsi con il Cardinale, a Ferrara, per rappresentare le necessità dell’Abbazia della quale sono indegno Abate e alle quali non riesco a supplire per le inclemenze del tempo e le infermità che affliggono tanti fratres qui….La notizia sconvolse Fra Francesco. Il cadavere sconosciuto ritrovato apparteneva al un monaco di Pomposa che si era incontrato con il Cardinale. L’ora era tarda e le ombre della sera si avvicinavano. Dopo il vespro ed il desinare, la notte accolse preghiere e sonno e le prime luci dell’alba accolsero padre Francesco sulla via del ritorno. Era ormai vicino il tramonto quando il cocchiere fece scendere dalla carrozza padre Francesco, vicino al castello.

 
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