Creato da: la.luna.piena1 il 15/03/2014
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Messaggi di Marzo 2024

 

21 OTTOBRE 1630 UNA TRAGICA VERITA' Capitolo nr12

Post n°297 pubblicato il 24 Marzo 2024 da la.luna.piena1

Frà Anselmo, al suo ritorno dalla casa della vedova, fu informato da uno dei due chierici che il magister aveva finito il suo lavoro e che voleva parlare con lui per ciò che aveva trovato, ma solamente a lui e nessun altro. Sebbene l'ora si era fatta tarda e che il povero frate iniziava ad avere un po' di appetito la curiosità prese il sopravvento e senza indugi si incamminò verso le aule della università che non erano a breve distanza. Dire che camminò era quasi un eufemismo perchè mancava poco che si fosse messo a correre. Intuiva dentro di se che c'era una svolta e forse, molto forse la soluzione non era tanto lontana. Appena arrivò chiese ad uno studente dove era l'aula del magister e con sorpresa l'alunno gli rispose che il magister lo stava aspettando. Entrò e lo vide piegato su un tavolo dove vi era adagiato un povero cadavere semi sezionato. Sapeva che queste lezioni erano semi proibite e per questo le si faceva alla sera tarda. Il magister sentendo i suoi passi in avvicinamento si alzò come un fuso, lo guardò e lo salutò . Prima che Frà Anselmo gli rivolgesse la domanda, lo fermò con un gesto della mano e con una campanella chiamò un inserviente per far sparire il cadavere e dare una pulita per le lezioni del giorno dopo. Uscirono  dall'aula e e si ritrovarono in un piccolo studio colmo di libri appoggiati in qualsiasi spazio e alcuni aperti su tavole del corpo umano. Il magister disse che una cosa così non l'aveva  mai vista. Una ferocia  così disumana non era da esseri umani, ma da demoni. Disse che entrambi i due omicidi erano avvenuti usando la stessa arma e la stessa ferocia. L'assassino o gli assassini non avevano esitato a colpire con un bastone, probabilmente, prima di dare la stilettata definitiva. Frà Anselmo iniziò a capire che non si doveva più cercare nel ghetto, ma bensì nella città cristiana perchè solamente i "gentili" come erano chiamati i cristiani dagli ebrei potevano portare con se armi da difesa senza incappare in guai pesanti. Quindi  si doveva ritornare a torchiare la vedova Rachele sui suoi affari e assolutamente bisognava che dicesse tutto ciò che sapeva. Caso mai facendole paventare l'idea  di un interrogatorio fatto non più fra le sue mura domestiche, ma in una segreta del tribunale dell'inquisizione. Con questo pensiero semi abbozzato si congedò dal magister e uscendo si incamminò verso il palazzo che lo ospitava. Appena arrivò chiese ad un domestico di portargli qualcosa da mangiare, ma che fosse frugale. Aveva bisogno di riposarsi senza avere incubi causati dal troppo cibo che poteva  aver ingerito.  Per il povero frate era destino che quella sera non andasse niente come desiderava lui. Infatti era intento a mangiare un po' di formaggio con delle olive quando gli fu detto che il Cardinale di Ferrara aveva l'urgente necessità di parlare con lui e che lo aspettava immediatamente a palazzo e per far prima fuori c'era la carrozza ad aspettarlo. A malincuore lasciò nel piatto le ultime olive e i pezzi di formaggio e dopo un po' era al cospetto del Cardinale che non era tanto di buon umore. Il cardinale gli chiese se era stato necessario tutto quel via vai fatto in questo giorno. Far indagare a un magister le ferite mortali per capire il tipo dell'arma usata. Non bastava sapere che la morte delle due vittime era da pugnale? Un banalissimo pugnale che qualsiasi criminale poteva portare con se, magari nascondendolo fra le pieghe degli abiti che indossava. Poi a cosa era servita la visita alla vedova? Non era necessario far sapere che quella vedova continuava a fare affari al posto del marito, pace all'anima sua. Frà Anselmo ascoltò a capo chino la sfuriata del cardinale, aspettando il momento migliore per dire il suo pensiero. Aveva già capito che il Cardinale aveva messa una spia a controllare i suoi movimenti e quindi tanto meglio che si potesse giocare  a carte aperte. La filippica del Cardinale durò una 15 ina di minuti, camminava avanti indietro, le mani unite dietro la schiena e sempre più nervoso. Frà Anselmo, vedendolo calmo e fermo in cerca della sua risposta, fece un bel respiro e iniziò a controbattere. In primis non era un volgare pugnale, ma bensi' uno stiletto  con lama fatta a Toledo (si capiva dal taglio di entrata) quindi un'arma non per tutti. Si aveva bisogno del magister per vedere se i colpevoli erano uno solo, come sospettava, o i delitti erano scollegati tra loro. Infine le domande fatte alla vedova servivano per restringere il campo di ricerca e con le ultime scoperte aveva ragione a pensare che l'assassino non era un ebreo, ma un cristiano e forse di buona famiglia. Il Cardinale lo guardò meravigliato e gli chiese se voleva andare avanti alla ricerca. Il frate disse che non era lui a decidere, ma bensì il Santo Padre che lo aveva mandato apposta. Si sarebbe ritirato nei suoi alloggi, avrebbe scritto una lettera a Roma e poi avrebbe atteso gli ordini su come procedere. Il Cardinale disse: Sia fatta la volontà di Nostro Signore e poi lo congedò  

 
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23 ottobre 1630 UNA TRAGICA VERITA' capitolo n.11

Post n°296 pubblicato il 10 Marzo 2024 da paolaassisi

Reply non riusciva a prendere sonno. Si rigirava sul pagliericcio e ne ascoltava il fruscio. La candela sulla scranna baluginava gli ultimi bagliori. Yael ascoltava sdraiata dalla parte opposta di quella stanza comune. Infine si mosse, si alzò e avvicinatosi a Yael la scosse e disse: Yael, lo so che tu pure non dormi. Orsù, alzati. Il pallido volto estenuato di Yael si illuminò di nuova speranza, si scosse: Padre, si, io pure non riesco, L’angoscia mi invade. Dica, che faccio? Come posso aiutare? 
Alzati e prima d’ogni altra cosa, recati da Isacco e comandagli di venir teco che bisogna agire.
Di nuova speranza accesa nel volto, capendo che infine il padre aveva forse trovato la via, Yael a piedi nudi corse verso la porta, poi ricordandosi tornò indietro e svelta infilò ai piedi gli asmasin e finalmente si diresse veloce in fondo a via Vignatagliata bussando impetuosa all’uscio ove sapeva abitare Isacco. 
L’uscio come timoroso si socchiuse, un volto nel buio fu scorto e subito una esclamazione accolse Yael e la porta si spalancò. 
Ella si guardò intorno e vista la strada deserta, avvolta ancora dalle ultime ombre della notte, entrò sussurrando: Isacco, Isacco, credo mio padre si arrovelli in un sogno che mai lo fece dormire stanotte. Ti vuole, ti vuole subito Isacco, vieni meco! Isacco comprese l’urgenza e voltosi verso il buio della stanza abbracciò una forma che pure abbracciò e giratosi chiuse l’uscio. Si sentì subito il suono della spranga dietro d’esso e un singhiozzo. Insieme corsero e presto raggiunsero la casa di Yael. Il selciato fu pieno del suono degli asmasin e prima ancora di arrivare all’uscio, questi s’aprì e Isacco nella casa entrò, chinando il capo, accompagnato dalla ragazza. Isacco vide il volto agitato di Reply e comprese quanto poco egli avesse dormito. Isacco, Isacco, mormorò il Rabbino. La sventura ci avvolge eppure qualcuno ancora ci è vicino. Ieri una donna mi si accostò silenziosa e mi porse quest’oggetto, dicendomi averlo trovato presso il corpo dell’ucciso sconosciuto. Isacco lo prese, lo guardò: era un semplice anello di legno, ma di squisita fattura. Al suo colmo vi era incastonata una pietra azzurra nella quale era incisa una croce. Isacco meravigliato lo prese mentre Reply veloce gli disse: Isacco, corri, corri perché bisogna sapere chi è l’ucciso e perché. Un ebreo non porta anelli così… corri dal buon Padre Francesco, unico cristiano amico del ghetto e chiedi. Padre Francesco stava recandosi a Santa Chiara quando incrociò Isacco, che trafelato si dirigeva verso la chiesa del monastero. Veloce Isacco gli disse del desiderio del Rabbi, porgendogli l’anello. Padre Francesco lo rigirava fra le dita, guardando la pietra e senza parole disse: Isacco, taci. Tornati. Vedendo questo anello ricordo dove altri simili ne vidi. Va’ e taci. Quando saprò al Rabbino dirò. Nel saio s’avvolse e nelle luci dell’alba scomparve, non visto. All’alba, la corriera che dal castello ogni mattina s’appresta verso Codigoro, era in partenza allorquando Fra Francesco chiese al cocchiere di farlo salire: doveva recarsi all’abbazia di Pomposa. Ben oltre il mezzodì la corriera giunse dinanzi all’abbazia. Fra Francesco discese e rapito da quella bellezza che lo accolse monello, attraversò l’atrio sperando incontrare fratelli. Non v’era nessuno eppure, entrando nella chiesa, un sommesso canto nasceva dal fondo della navata di destra. Inginocchiatosi, si terse gli occhi polverosi e verso il fondo si diresse. Un gruppo di monaci in ginocchio sommessamente cantava quando, all’improvviso, dal gruppo si alzò il più vecchio, certo l’Abate e verso lui guardava allargando le braccia al sorriso. Padre Francesco parve illuminarsi e chinatosi fin quasi in ginocchio egli pure allargò le braccia dicendo: padre Gregorio, Dio ti accompagni! E felice accolse l’abbraccio. Padre Gregorio stupito guardava quel volto da tanti anni celato dal corso del tempo e subito comprese che un fatto assai grave doveva avere spinto Fra Francesco a recarsi a Pomposa; subito s’affrettarono verso la biblioteca deserta. Vedendo l’apprensione, il volto incanutito dal tempo ammirando, le mani stringendo le mani, subito chiese quale ambascia avvolgesse Ferrara. E presto fu noto. E presto padre Francesco pose nelle mani di padre Gregorio l’anello. Questi lo prese, fra le dita lo rigirò, poi disse: lo riconosco. Quest’anello io stesso donai ad un monaco al momento della sua ordinazione. Questo è l’anello benedettino che ornava un dito di frate Edmondo. Egli ormai dieci giorni or sono si è allontanato da Pomposa per incontrarsi con il Cardinale, a Ferrara, per rappresentare le necessità dell’Abbazia della quale sono indegno Abate e alle quali non riesco a supplire per le inclemenze del tempo e le infermità che affliggono tanti fratres qui….La notizia sconvolse Fra Francesco. Il cadavere sconosciuto ritrovato apparteneva al un monaco di Pomposa che si era incontrato con il Cardinale. L’ora era tarda e le ombre della sera si avvicinavano. Dopo il vespro ed il desinare, la notte accolse preghiere e sonno e le prime luci dell’alba accolsero padre Francesco sulla via del ritorno. Era ormai vicino il tramonto quando il cocchiere fece scendere dalla carrozza padre Francesco, vicino al castello.

 
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