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Le case di parole - 01
Post n°7 pubblicato il 26 Settembre 2012 da desap.lib
Un po' di anni fa leggevo un libro di Andrea De Carlo "Macno" e ad un certo punto del libro c'era la descrizione della casa del protagonista. Ricordo che la descrizione mi ha proiettato nella casa dandomi la sensazione di visitarla. Mi è poi venuto in mente che quando frequentavo le scuole superiori avevo letto "Il nome della rosa" di U. Eco. Qualche mese dopo a scuola abbiamo visto il film. Ricordo che cercavo di vedere le differenze tra la torre costruita nel film e quella descritta nel libro, corredata anche del disegno della pianta. In molti libri c'è la descrizione di case o di città. La descrizione è tale se tratta di case esistenti nella realtà, ma se le case descritte nei libri sono frutto di immaginazione, di un'idea allora si possono equiparare ad un progetto. Non sarà un progetto esecutivo, ma esprime comunque una casa concepita dallo scrittore. Ho pensato di proporre varie case proposte o descritte in opere di narrativa. Qualcuno si ricorderà di averlo già letto, qualcun altro sarà invogliato a leggere quel libro, altri proporranno la loro "casa letteraria". La prima opera da cui vengono estratte architetture o città è “Il cacciatore di aquiloni” di Khaled Hosseini. "Il vialetto di mattoni rossi che conduceva al cancello in ferro battuto continuava all'interno della proprietà di mio padre, terminando nel giardino sul retro della casa. -------oooOOOooo------- "La casa di kaka Homayun, un edificio bianco a due piani, aveva una terrazza che guardava su un grande giardino con alberi di mele e cachi. C'erano siepi che in estate il giardiniere modellava a forma di animali e una piscina rivestita di piastrelle verde smeraldo che ora conteneva solo un deposito di fanghiglia mista a neve sul fondo.
Peshawar - 1967 “…Ricordavo Peshawar molto bene. Il traffico intenso mi faceva pensare a una versione più congestionata di Kabul, in particolare al Kocheh-morgha, il Bazar dei polli, dove Hassan e io compravamo patate con il chutney e acqua di ciliegie. Quel labirinto di stradine e vicoli fiancheggiati da file ininterrotte di bancarelle era intasato di ciclisti, pedoni indaffarati e risciò. Venditori barbuti avvolti in leggeri drappi di lana vendevano paralumi di pergamena, tappeti, scialli ricamati e recipienti d'ottone. La città era un guazzabuglio di rumori: alle grida dei venditori si mescolavano musica hindi trasmessa a tutto volume, gli scampanellii dei risciò e lo scalpiccio degli zoccoli dei carri tirati da cavalli. Dal finestrino entravano odori forti, alcuni piacevoli, altri meno, l'aroma speziato di pakora e di nihari, che Baba e io adoravamo, misto alle esalazioni pungenti dei motori diesel, alla puzza di spazzatura in putrefazione e di escrementi. Poco oltre gli edifici in mattoni dell'università di Peshawar, il mio garrulo autista mi informò che stavamo entrando nella "città afghana". Vedevo negozi di dolci e venditori di tappeti, bancarelle di kebab, ragazzini con le mani sudice che vendevano sigarette, piccoli ristoranti con la cartina dell'Afghanistan dipinta sulle vetrine. «Molti dei suoi fratelli vivono in questa zona, yar. Hanno attività commerciali, ma la maggior parte sono molto poveri.» Fece schioccare la lingua e sospirò. «Quasi ci siamo.» …” “…Il taxista si fermò davanti a uno stretto edificio d'angolo. Pagai, presi la valigia e mi diressi verso una porta con intagli elaborati. La casa aveva balconi in legno con gli scuri aperti. Molti erano invasi dal bucato steso. Salii le scale scricchiolanti fino al secondo piano, percorsi un corridoio buio e mi fermai davanti all'ultima porta sulla destra. Verificai l'indirizzo sul foglietto che tenevo in mano e bussai. Poi una cosa fatta di pelle e di ossa che fingeva di essere Rahim Khan aprì la porta.” Peshawar
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