Creato da desap.lib il 24/08/2012

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Museo di storia della Psichiatria

Post n°10 pubblicato il 04 Ottobre 2012 da desap.lib
 

 

Al San Lazzaro di Reggio Emilia ha aperto i battenti il Museo di storia della Psichiatria che ha sede nel padiglione Lombroso.

I lavori di recupero del padiglione Lombroso, sono stati condotti dal Comune di Reggio Emilia fra il 2009 e il 2011. Il padiglione, luogo della memoria della città, arricchisce l’offerta culturale di un’area storica e monumentale .

 

 

 

 

 

Nel museo ora si possono vedere anche documenti, strumenti di contenzione e terapia o scientifici, foto storiche, cartelle cliniche, video su temi psichiatrici.

Sono esposte: camicie di forza; macchine per l’elettroshock; i famigerati caschi del silenzio, usati per isolare i pazienti.

Sono presenti un’urna degli inizi dell’800 utilizzata per far cadere gocce d’acqua sulla testa del malato per calmarlo e un apparecchio per il bagno di luce, che per gli ideatori avrebbe dovuto avere un effetto analgesico. Apparecchi utilizzati per fini medici che potrebbero essere annoverati tra quelli di una sala delle torture.

 Storia - L’edificio, di per sé un documento esemplare della storia della psichiatria, fu concepito inizialmente (1891) come reparto per malati cronici tranquilli e intitolato al primo direttore del San Lazzaro Antonio Galloni. Nel 1911 fu poi trasformato nella Sezione Lombroso, appositamente progettata per ospitare “pazzi criminali dimessi” e “detenuti alienati”; quindi, a partire dal 1972, venne gradualmente abbandonato.

In questo edificio che dal 2 marzo 1945 al 6 dicembre 1948 ospitò tra gli altri anche il celebre pittore Antonio Ligabue. Ligabue nato in Svizzera da genitori di origine emiliane. In Emilia vi tornò presto per iniziare in seguito a dipingere sulle rive del Po. Venne internato una prima volta per atti di autolesionismo, nel 1945, invece, fu spedito al manicomio perché spaccò una bottiglia di vetro sulla testa di un gerarca nazista.

 

Autoritratto con spaventapasseri


Il suo genio venne scoperto da un giornalista e critico del Carlino, ma raggiunse fama e gloria solo dopo la sua morte, quando venne paragonato a Van Gogh.



Il restauro (allestimento curato da Fuse*architecture) rievoca la particolare atmosfera del luogo, “lasciando trasparire i segni lasciati dall’uomo e dal tempo col loro carico di suggestioni e di vissuto. Particolare attenzione è stata riservata alla conservazione dei graffiti, eseguiti dai pazienti anche all’interno delle celle, realizzati nei modi più diversi, addirittura con le suole delle scarpe. Disegni di case ed edifici, ma anche, per esempio, dei bombardamenti del periodo della guerra, nel probabile tentativo dei reclusi di evadere dall’isolamento.

Il restauro può definirsi dunque opera di “archeologia della contemporaneità.”

L’intervento, seppur di tipo conservativo, consente l’utilizzo degli spazi per lo svolgimento di attività di esposizione, ricerca e didattica in quanto è stato assicurato il rispetto di tutte le normative in tema di barriere architettoniche, resistenza antisismica e sicurezza antincendio. I lavori hanno riguardato anche le strutture dell’immobile con opere di consolidamento e ripristino, e l’area cortiliva circostante.Ristrutturarlo è costato 3,1 milioni di euro, di cui circa 2 dal Ministero per i Beni culturali, 1 dal Comune, con un contributo di 15.000 euro dall'Istituto per i beni artistici della Regione Emilia-Romagna.

Vorrei trattare il caso di questo tipo di  musei anche da un punto di vista non strettamente architettonico.
In questo intervento, oltre all'esposizione degli "strumenti di cura", si sono lasciati in mostra i graffiti a testimonianza della sofferenza degli internati. Ciò che mi interessa è capire se la sofferenza, trasferita sui muri, sia solo sofferenza interna al "malato" o sofferenza scaturita dalla costrizione, dall'isolamento e, in molti casi, dal dolore fisico inflitto dagli "strumenti di cura/tortura". Suppongo che ci siano entrambe.
Se la sofferenza è quella provocata da fattori esterni alla persona, ci troviamo di fronte ad un museo che conserava la memoria particolare.  Una "memoria per non dimenticare ciò che non si dovrà ripetere". Alla stregua dei lager, delle carceri dismesse, spesso trasformati in musei dell'orrore, ha soprattutto la funzione di far conoscere e non far dimenticare gli orrori di cui è capace il genere umano. Un'elemento però rende il tutto più amaro. Le carceri e i lager hanno lo scopo di punire o di eliminare delle categorie di uomini, i manicomi (ufficialmente) avevano lo scopo di guarire da un male anche se non era così.

«...l'istituzione manicomiale ha in sé, nel suo carattere violento coercitivodiscriminante, una più nascosta funzione sociale e politica: il malato mentale, ricoverato e distrutto nei nostri manicomi, non si rivela soltanto l'oggetto della violenza di un'istituzione deputata a difendere i sani dalla follia; né soltanto l'oggetto della violenza di una società che rifiuta la malattia mentale; ma è insieme, il povero, il diseredato che, proprio in quanto privo di forza contrattuale da opporre a queste violenze, cade definitivamente in balìa dell'istituto deputato a controllarlo.»
(Franco Basaglia in "Morire di classe", 1969)

 
 
 
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ho letto un commento, su internet, di uno che lo definisce...
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