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Case di parole 02

Post n°24 pubblicato il 20 Novembre 2012 da desap.lib
 

 Qualche tempo fa ho proposto le "case di parole". Case o luoghi narrate o descritte nelle opere letterarie. Riprendo l'argomento proponendo la descrizione, fatta da Roberto  Saviano in "Gomorra", di una trasformazione urbana "invisibile". Non percepibile da chi non é all'interno.
Edifici trasformati in depositi abusivamente:

 [...] Nel porto di Napoli, nei suoi 1.336.000 metri quadri per 11,5 chilometri, il tempo ha dilatazioni uniche. Ciò che fuori riuscirebbe a essere compiuto in un'ora, nel porto di Napoli sembra accadere in poco più d'un minuto. La lentezza proverbiale che nell'immaginario rende
lentissimo ogni gesto di un napoletano qui è cassata, smentita, negata. La dogana attiva il proprio controllo in una dimensione temporale che le merci cinesi sforano. Spietatamente veloci. Qui ogni minuto sembra ammazzato. Una strage di minuti, un massacro di secondi rapiti dalle documentazioni, rincorsi dagli acceleratori dei camion, spinti dalle gru, accompagnati dai muletti che scompongono le interiora dei container.

Il porto è staccato dalla città. Un'appendice infetta mai degenerata in peritonite, sempre conservata nell'addome della costa. Ci sono parti desertiche rinchiuse tra l'acqua e la terra, ma che sembrano non appartenere né al mare né alla terra. Un anfibio di terra, una metamorfosi
marina. Terriccio e spazzatura, anni di rimasugli portati a riva dalle maree hanno creato una nuova formazione. Le navi scaricano le loro latrine, puliscono stive lasciando colare la schiuma gialla in acqua, i motoscafi e i panfili spurgano motori e rassettano raccogliendo tutto nella pattumiera marina. E tutto si raccoglie sulla costa, prima come massa molliccia e poi crosta dura. Il sole accende il miraggio di mostrare un mare fatto d'acqua. In realtà la superficie del golfo somiglia alla lucentezza dei sacchetti della spazzatura. Quelli neri. E piuttosto che d'acqua, il mare del golfo sembra un'enorme vasca di percolato. La banchina con migliaia di container multicolori pare un limite invalicabile. Napoli è circoscritta da muraglie di merci. Mura che non difendono la città, ma al contrario la città difende le mura. Non ci sono eserciti di scaricatori, né romantiche plebaglie da porto.
Ci si immagina il porto come luogo del fracasso, dell'andirivieni di uomini, di cicatrici e lingue impossibili, frenesia di genti. Invece impera un silenzio da fabbrica meccanizzata. Al porto non sembra esserci più nessuno, i container, le navi e i camion sembrano muoversi animati da un
moto perpetuo. Una velocità senza chiasso.[...]

[...] Mentre ero al ristorante del porto, chiesi informazioni per trovare un alloggio da affittare.
«Non ne so niente, qui le case stanno sparendo. Se le stanno prendendo i cinesi...»
Un tizio che troneggiava in mezzo alla stanza, grosso ma non abbastanza per la voce che aveva, invece lanciandomi un'occhiata urlò: «Forse qualcosa ancora c'è!».
Non disse altro. Dopo aver entrambi finito di pranzare ci indirizzammo lungo la via che costeggia il porto. Non ci fu neanche bisogno che mi chiedesse di seguirlo. Arrivammo nell'atrio di un palazzo quasi fantasma, un condominio dormitorio. Salimmo al terzo piano dove c'era l'unica casa di studenti sopravvissuta. Stavano mandando via tutti per lasciare spazio al vuoto. Nelle case non doveva esserci più nulla. Né armadi, né letti, né quadri, né comodini, neanche pareti. Doveva esserci solo spazio, spazio per i pacchi, spazio per gli enormi armadi di cartone, spazio per le merci. In casa mi assegnarono una specie di stanza. Meglio definibile come uno stanzino con lo spazio appena necessario per un letto e un armadio. Non si
parlò di mensile, di bollette da spartire, di connessioni e allacci telefonici.
Mi presentarono a quattro ragazzi, miei coinquilini e tutto finì lì. Mi spiegarono che nel palazzo era l'unica casa realmente abitata e che serviva per dare alloggio a Xian, il cinese che controllava "i palazzi". Non dovevo pagare alcun fitto, ma mi chiesero di lavorare ogni fine settimana nelle case-magazzino. Ero andato per cercare una stanza, trovai un lavoro. Di mattina si abbattevano le pareti, la sera si raccoglievano i resti di cemento, parati e mattoni. Si cumulavano le macerie in normali sacchi d'immondizia. Buttare giù un muro genera rumori inaspettati. Non di sasso colpito ma come di cristalli gettati giù da un tavolo con una manata. Ogni casa diveniva un magazzino senza mura. Non so spiegarmi come il palazzo dove ho lavorato possa ancora stare in piedi. Più volte abbiamo abbattuto diversi muri maestri, consapevoli di farlo. Ma serviva lo spazio per la merce e non c'è equilibrio di cemento da conservare dinanzi alla conservazione dei prodotti.


Il progetto di stipare i pacchi nelle case era nato nella mente di alcuni commercianti cinesi dopo che l'autorità portuale di Napoli aveva
presentato a una delegazione del Congresso americano il piano sulla security. Quest'ultimo prevede una divisione del porto in quattro aree: crocieristica, del cabotaggio, delle merci e dei container e una individuazione, per ciascuna area, dei rischi. Dopo la pubblicazione di questo piano-security, per evitare che si potesse costringere la polizia a intervenire, i giornali a scriverne per troppo tempo, e persino qualche telecamera a intrufolarsi in cerca di qualche succosa scena, molti imprenditori cinesi decisero che tutto doveva essere sommerso da maggiore silenzio. Anche a causa di un innalzamento dei costi bisognava rendere ancor più impercettibile la presenza delle merci. Farla scomparire nei capannoni fittati nelle sperdute campagne della provincia, tra discariche e campi di tabacco: ma questo non eliminava il traffico di Tir.
Così dal porto entravano e uscivano ogni giorno non più di dieci furgoncini, carichi di pacchi sino a esplodere. Dopo pochi metri si trovavano nei garage dei palazzi di fronte al porto. Entrare e uscire, bastava solo questo.
Movimenti inesistenti, impercettibili, persi nelle manovrequotidiane del traffico. Case prese in fitto. Sfondate. Garage resi tutti comunicanti tra loro, cantine ricolme sino al tetto di merce. Nessun proprietario osava lamentarsi. Xian gli aveva pagato tutto. Fitto e indennizzo per gli
abbattimenti impropri. Migliaia di pacchi salivano su un ascensore ristrutturato come un montacarichi. Una gabbia d'acciaio ficcata dentro i palazzi che faceva scorrere sui suoi binari una pedana che saliva e scendeva di continuo. Il lavoro era concentrato in poche ore. La scelta dei pacchi non era casuale. Mi capitò di scaricare ai primi di luglio. Un lavoro che rende bene ma che non puoi fare se non sotto costante allenamento. Il caldo era umidissimo. Nessuno osava chiedere un condizionatore. Nessuno. E non dipendeva da timori di punizione o da particolari culture d'obbedienza e sottomissione. Le persone che scaricavano provenivano da ogni angolo della terra. Ghanesi, ivoriani, cinesi, albanesi, e poi napoletani, calabresi, lucani. Nessuno chiedeva, tutti constatavano che le merci non soffrono il caldo e questa era condizione sufficiente per non spendere soldi in condizionatori.


Stipavamo pacchi con giubbotti, impermeabili, k-way, maglioncini di filo, ombrelli. Era piena estate, sembrava una scelta folle quella di rifornirsi di vestiti autunnali invece che accumulare costumi, prendisole e ciabatte. Sapevo che nelle case-deposito non si usava raccogliere i prodotti come in un magazzino, ma solo merce da immettere subito nel mercato.
Ma gli imprenditori cinesi avevano previsto che ci sarebbe stato un agosto con poco sole. Non ho mai dimenticato la lezione di John Maynard Keynes sul concetto di valore marginale: come varia, per esempio, il prezzo di una bottiglia d'acqua in un deserto o della stessa bottiglia vicino a una cascata.
Quell'estate, quindi, l'impresa italiana porgeva bottiglie vicino alle fonti, mentre l'imprenditoria cinese edificava sorgenti nel deserto. [...]

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Commenti al Post:
Odile_Genet
Odile_Genet il 20/11/12 alle 17:46 via WEB
Hai notato quant'è bravo Saviano (anche dal vivo) come narratore? Sembra quasi di ascoltare una persona che si conosce da sempre...
 
 
desap.lib
desap.lib il 20/11/12 alle 19:44 via WEB
Hai notato che sono tornato su questo blog?
A parte gli scherzi
Saviano é bravo. Ho visto un intervento su Michel Petrucciani (il jazzista) mi é piaciuto molto. C'é un'altro suo intervento fatto qualche anno fa, sul cui argomento, ho un post mezzo pronto da postare nel blog "lamine sovrapposte" (che é quasi deserto), ma non ti anticipo niente. Mia moglie dice che ha un viso inquietante. :)
 
   
Odile_Genet
Odile_Genet il 21/11/12 alle 08:11 via WEB
Non ho capito quasi niente...
 
desap.lib
desap.lib il 21/11/12 alle 09:09 via WEB
Rileggendolo, in effetti, non ho capito neanche io. :)
Ho corretto il commento precedente. Sperando di essere stato più chiaro.
 
Odile_Genet
Odile_Genet il 21/11/12 alle 12:24 via WEB
Ora sì che è chiaro...Saviano avrebbe un volto inquietante? secondo me ha il volto di una persona che sa d'aver perso per sempre la libertà, almeno finché sceglierà di vivere in Italia...
 
Odile_Genet
Odile_Genet il 22/11/12 alle 18:17 via WEB
Ho capito,qui e altrove si batte la fiacca, bada che col post sulle case a basso costo ti rubo pure gli argomenti...quindi datti da fare, Mago! :))
 
 
desap.lib
desap.lib il 23/11/12 alle 09:01 via WEB
In effetti è così, ma per fare i post vecchia maniera ci vuole molto tempo e tranquillità. In questo periodo scarseggia. Non diventerò mai bravo e famoso come te, a meno che non cambi argomeento. :))
 
Odile_Genet
Odile_Genet il 22/11/12 alle 18:18 via WEB
Nuova intestazione! più bella della precedente per me.
 
 
desap.lib
desap.lib il 23/11/12 alle 08:58 via WEB
Mi sto dando alle intestazioni. :)
 
   
Odile_Genet
Odile_Genet il 23/11/12 alle 13:34 via WEB
ma davvero?!
 
iotonna0
iotonna0 il 22/11/12 alle 21:02 via WEB
se la stanno mangiando la nostra città!
 
 
desap.lib
desap.lib il 23/11/12 alle 09:04 via WEB
C'é chi se la mangia e chi lascia che se la mangino. Non saprei chi dei due é peggio.
Benvenuto iotonna0
 
iotonna0
iotonna0 il 23/11/12 alle 13:09 via WEB
è peggio chi lo lascia fare.chi fa finta di niente grazie:-)
 
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