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SOTTOSCRIZIONE Popolare....

Post n°88 pubblicato il 09 Febbraio 2009 da ambientalisticalabr


Sottoscrizione popolare  a sostengo della risoluzione al governo per la – gestione dei rifiuti speciali pericolosi- e ha sostegno di un forte, incisivo, efficace lavoro della commissione bicamerale sull’eco-mafia da poco istituita


 


 


La gestione dei rifiuti continua ad essere oggetto di forti attenzioni da parte di numerosi soggetti pubblici e privati. Tali attenzioni sono, tuttavia, focalizzate sulla gestione dei rifiuti urbani e sembrano sottovalutare la problematica, ben più impegnativa da un punto di vista ambientale, inerente i rifiuti speciali, soprattutto quelli pericolosi di origine industriale.


 


Per inquadrare il problema è necessario partire dai dati disponibili, ricavati dal Rapporto Rifiuti ISPRA (ex APAT) del 2007:


 


La produzione totale annua in Italia dei rifiuti è di circa 140 milioni di tonnellate, così ripartita:


 


-        32.5 milioni di tonnellate sono rifiuti urbani,


-        107.5 milioni di tonnellate sono rifiuti speciali.


 


I rifiuti speciali a loro volta sono composti da:


 


-        55.6 milioni di rifiuti speciali non pericolosi,


-        5.9 milioni di rifiuti speciali pericolosi


-        46 milioni di rifiuti da costruzione e demolizione.


 


Dei rifiuti speciali prodotti, 36.8 milioni di tonnellate sono da attribuire alle attività manifatturiere. Inoltre i rifiuti speciali prodotti in Italia, come negli altri Paesi europei, sono in continua crescita.


Mentre per i rifiuti urbani si riscontrano poche incertezze in relazione alla loro produzione e modalità di gestione, non si può dire altrettanto per i rifiuti speciali, per i quali sussistono forti perplessità che possono essere così sintetizzate:



  1. il sistema attualmente adottato in Italia finalizzato alla determinazione delle quantità e qualità dei rifiuti speciali prodotti nonché alla individuazione della loro effettiva gestione, risulta oltremodo poco incisivo. L’attuale sistema è rappresentato, infatti, dalla dichiarazione MUD che, a detta di chi lo gestisce (ISPRA, ex APAT), è un sistema che “nella maggior parte dei casi risulta errato”, con “numerosi errori di compilazione” e che “non consente di seguire il flusso dei rifiuti dalla loro origine alla destinazione finale” e che “non rende possibile dichiarare concluso il ciclo di recupero”;

  2. la ormai accertata carenza in Italia di impianti di trattamento e smaltimento di rifiuti speciali pericolosi e non pericolosi (discariche, impianti di termocombustione, impianti e piattaforme di inertizzazione e di recupero) che costringono i produttori dei rifiuti speciali a trovare soluzioni alternative, quali ad esempio l’esportazione degli stessi rifiuti verso impianti esteri, con l’intervento di regole commerciali che non assicurano sempre la certezza di uno smaltimento conforme ai principi ambientali.

  3. gli elevati costi praticati dai gestori dei pochi impianti esistenti in Italia favoriscono lo smaltimento illegale attraverso il cosiddetto canale della “ecomafia” particolarmente attiva nel settore dei rifiuti speciali di origine industriale, le cui attività si incuneano nelle maglie spesso non molto coerenti dell’attuale normativa nazionale e nella carente organizzazione del sistema di controllo effettuato dalle Autorità pubbliche.


 


Facendo riferimento ai soli rifiuti speciali pericolosi, si può ragionevolmente ritenere che le quantità che possono essere considerate, con buona approssimazione, totalmente smaltite sono quelle inviate a sistemi di smaltimento consolidati, come gli impianti di termocombustione e discariche. Tali rifiuti risultano essere pari a circa 1.3 milioni di tonnellate, contro una produzione annuale pari a circa 5.9 milioni di tonnellate. La differenza, pari a 4.6 milioni di tonnellate per anno, entra in quel ciclo, quasi sempre ignoto, di gestione costituito dai sistemi di recupero materiale, messa in riserva, stoccaggi provvisori ed altre attività di smaltimento non ben definite. Certamente tale quantità non sarà tutta da attribuire ad una gestione illegale ma ciò che si vuole qui sottolineare è la notevole dimensione del fenomeno che sfugge ad un corretto monitoraggio.


Varie fonti, inoltre, stimano (non può tuttavia che essere una stima generica, vista la mancanza di dati certi ufficiali) che la quantità di rifiuti speciali pericolosi che potenzialmente possono entrare nel ciclo di gestione illegale, possa variare dal 10% al 25% del totale dei rifiuti prodotti. In valore assoluto, quindi, secondo quest’ultima stima, una quantità di rifiuti speciali pericolosi - che varia da circa 600.000 ton/anno a 1.500.000 ton/anno - potenzialmente potrebbe entrata nel circuito illegale dello smaltimento. Solo a titolo indicativo, se si considera un costo di smaltimento dei rifiuti pericolosi pari a 0.5 euro per chilo, si ottiene una cifra variabile tra 300 e 750 milioni di euro per anno.


 


Ma al di là dei numeri, il fenomeno certo è che, nella grande incertezza che regna nello specifico settore dei rifiuti speciali, le cosiddette “ecomafie” praticano i loro affari, spesso in modo quasi incontrastato, come è emerso in alcuni episodi rilevati da specifiche indagini di polizia. D’altra parte, come pocanzi detto, la scarsa coerenza dei sistemi di monitoraggio del ciclo di gestione e della normativa nazionale, oltre naturalmente alla ormai cronica carenza e disorganizzazione delle strutture di controllo, non forniscono sufficienti ed incisivi strumenti alle Autorità pubbliche per contrastare tale fenomeno


 


I dati di sintesi sopra esposti, mettono in evidenza la improrogabile necessità di effettuare un’analisi approfondita sul settore dei rifiuti speciali, valida su tutto il territorio nazionale, con particolare riguardo ai rifiuti pericolosi di origine industriale. Tale analisi, estesa su una vasta gamma di argomenti, deve avere come obiettivo l’individuazione dei punti critici sia del ciclo di gestione che della normativa nazionale al fine di individuare le azioni risolutive da intraprendere.


 


Il primo argomento che merita un approfondimento è senz'altro quello connesso alla individuazione degli strumenti, sia normativi che organizzativi, più idonei da adottare per raggiungere una conoscenza, quanto più vicina possibile alla realtà, delle quantità di rifiuti speciali prodotte per singolo settore di provenienza e delle relative caratterizzazioni. Un tipico esempio di analisi potrebbe essere quello relativo alla individuazione degli strumenti normativi ed organizzativi più idonei per la valutazione e gestione dei flussi di rifiuti speciali, pericolosi e non pericolosi, provenienti dall’industria chimica nazionale.


 


Un altro argomento sostanziale è costituito dalle analisi tecniche rivolte alle attuali procedure di monitoraggio dell’intero ciclo di gestione dei rifiuti speciali, previsto dalla dichiarazione annuale MUD, e dalla individuazione dei motivi che ostacolano la conoscenza completa del percorso del rifiuto dalla produzione alla destinazione finale. Questo argomento è peraltro strettamente legato al sistema attuale di rilascio delle autorizzazioni per la costruzione e l’esercizio degli impianti di trattamento e smaltimento, soprattutto quelle legate alle procedure semplificate relative agli impianti di stoccaggio provvisorio e di messa in riserva, potenzialmente interessate ad una gestione illegale. Peraltro i decreti attuativi del Ministero dell’Ambiente, previsti dal D.Lgs 152/06, che dovrebbero regolamentare le procedure semplificate non sono stati ancora adottati e sino alla loro emanazione continuano ad applicarsi le disposizioni del DM 5 febbraio 1998 che risultano palesemente insufficienti e carenti alla risoluzione delle attuali problematiche.


 


Grande importanza potrebbe avere, infine, una programmazione estesa a livello nazionale che fosse in grado, sulla base delle necessità locali e delle aree industriali nazionali più critiche, di rilevare e quantificare la necessità di nuovi impianti. Definire e sviluppare, infatti, una rete razionale di impianti sul territorio nazionale, a costi accettabili, conformi alle migliori tecnologie disponibili (MTD) ed ai criteri ambientali previsti dalla normativa europea, avrebbe potenzialmente capacità di limitare, ed auspicabilmente di ostacolare se non interrompere, quelle pratiche illegali di smaltimento rifiuti. Tuttavia, una crescita sostanziale dell’assetto impiantistico nazionale non è pensabile se non attraverso la rimozione di alcune criticità operative che, di fatto, hanno finora neutralizzato la forte domanda di nuovi impianti da parte dei produttori di rifiuti. Ipotizzare ingenti investimenti di capitali privati, necessari per la realizzazione della indispensabile rete nazionale di impianti, richiede, infatti, una normativa in grado di assicurare tempi certi per il rilascio delle autorizzazioni alla costruzione e all’esercizio degli impianti ed implica l’individuazione di siti idonei per la loro installazione.


 


 


L’associazione ecologista degli “ ambientalisti liberal” sostiene la risoluzione al governo sui rifiuti speciali pericolosi e chiede un impegno forte, incisivo, efficace al presidente della neo-nata commissione bicamerale incentrata sul fenomeno dell’eco-mafia con particolare riguardo alla questione del traffico clandestino dei rifiuti urbani e specialmente dei – rifiuti speciali pericolosi


Nello specifico chiede di:


 


a) svolgere indagini atte ad analizzare approfonditamente l’intero ciclo dei rifiuti speciali pericolosi, con particolare riferimento al loro smaltimento e al sistema attualmente adottato in Italia per la determinazione delle quantità e qualità dei rifiuti speciali prodotti e per la individuazione della loro effettiva gestione;


b)  svolgere approfondite indagini sulle cause della carenza in Italia di impianti di trattamento e smaltimento di rifiuti speciali pericolosi e non pericolosi (discariche, impianti di termocombustione, impianti e piattaforme di inertizzazione e di recupero) che costringono i produttori dei rifiuti speciali a trovare soluzioni alternative, quali ad esempio l’esportazione degli stessi rifiuti verso impianti esteri;


c) indagare sugli alti costi di smaltimento dei rifiuti speciali pericolosi per gli operatori economici derivanti dal numero esiguo di impianti esistenti e dalla necessità di ricorrere alla esportazione;


d) indagare sul ruolo svolto dalla criminalità organizzata,  (cd. ecomafie), nel  traffico clandestino dei rifiuti tra le diverse regioni del Paese e verso altre nazioni, anche attraverso l’esame dei carteggi processuali;


e) indagare sulle cause che determinano o agevolano il ruolo delle associazioni criminali nella gestione e smaltimento dei rifiuti speciali ;


f) verificare i comportamenti della pubblica amministrazione centrale e periferica in ordine al problema della produzione e smaltimento dei rifiuti speciali pericolosi, con particolare riferimento all’attività di monitoraggio degli stessi e di pianificazione della costruzione di impianti adeguati a soddisfare il fabbisogno locale e nazionale;


g) verificare le modalità di gestione dei servizi di smaltimento dei rifiuti speciali  pericolosi da parte degli enti locali e i relativi sistemi di affidamento;


h) proporre le soluzioni legislative e amministrative ritenute necessarie per una accurata pianificazione nazionale e locale che consenta di monitorare con estrema precisione la quantità di rifiuti speciali pericolosi e successivamente di smaltirli in un numero di impianti adeguato e dimensionato alla effettiva produzione così eliminando completamente la necessità di esportazione degli stessi;


i) verificare lo stato di contaminazione di alcuni siti e gli indici di morbilità connessi ed elaborare soluzioni soddisfacenti e definitive per la bonifica o la messa in sicurezza dei siti contaminati.


 


Ambientalisti Liberal


(Silvano Vinceti)


 


Seguono le firme di adesione di associati e dei cittadini che si uniscono all’appello

 
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