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Post N° 1018

Post n°1018 pubblicato il 05 Dicembre 2006 da AnTreviso
 
Tag: 2006

Mai così tanti e uniti

Prima che la manifestazione di piazza San Giovanni finisca Berlusconi torna sul palco e annuncia: «Siamo oltre due milioni ». E questo è stato il dato che ieri pomeriggio, non appena i tre cortei che raggiungevano la piazza si erano mossi, ha subito stupito gli osservatori. Mai così tanti in piazza a Roma, mai così tanti con il centrodestra. «Come dieci anni fa – ha spiegato Fini nel suo discorso sul palco – la Casa delle libertà è destinata a rappresentare il futuro: questa è una certezza ». E il presidente di An ha insistito sulla grande prova di unità della coalizione: «Noi lavoriamo per mettere in evidenza ciò che unisce, e questa piazza ci dice che siamo uniti e ci invita ad esserlo perché la sinistra rappresenta il passato, rappresenta la minoranza degli italiani ». E concludendo, Fini si è riappellato all’evidente unità del popolo della libertà: «Le centinaia di migliaia di italiani che questa sera hanno dato vita a questa indimenticabile manifestazione rappresentano qualcosa di più nobile di un semplice fatto politico: voi qui rappresentate la maggioranza del popolo italiano ».

Un concetto, questo, che era stato espresso dallo stesso Silvio Berlusconi: «Noi rappresentiamo – ha detto tra gli applausi e le ovazioni della platea – l ’Italia vera, giusta e profonda, l ’Italia della sobrietà, della tolleranza e dell’amore. Rappresentiamo insieme, in una sola parola, l ’Italia della libertà. Grazie di cuore a tutti voi, grazie del sacrificio che avete fatto per venire qui a sostenere la nostra fatica e il nostro lavoro. Un abbraccio affettuosissimo a tutti». In effetti, si è trattato della più grande manifestazione di piazza dal dopoguerra a oggi, come è stato subito spiegato dal comitato organizzatore, sottolineando che «si tratta di un avvenimento eccezionale. Un avvenimento che va molto al di là delle nostre aspettative».

I due milioni di persone accorse a Roma hanno in qualche modo minimizzato la portata della manifestazione dell’Udc a Palermo. «Chiunque vedesse il calore di questa manifestazione a Roma – ha commentato Ignazio la Russa – rimpiangerebbe di non essere qui. Da parte nostra c’è il rammarico, quindi, che l’Udc non sia con noi per poterci abbracciare tutti in un unico, compatto fronte contro Prodi e la sinistra ». […]

Oltre due milioni d ’italiani in piazza a Roma. Un ciclo si completa e se ne apre un altro. Era il ’94: l’anno dell’immediato e inatteso cambiamento, della fuoriuscita dalla Prima Repubblica, dell’irruzione del nuovo. A sinistra fu uno shock: non restava che parlare di complotto e demonizzare i barbari che avevano vinto. Con una sola eccezione: il sociologo Alberto Abruzzese, che, pur avendo votato per i Progressisti di Occhetto, prese carta e penna e con un tempestivo pamphlet cercò di dare la sveglia ai suoi compagni di cordata: «Berlusconi – scriveva in Elogio del tempo nuovo  – per chi appia sentire lo spirito del tempo ha invaso la nostra immaginazione. Possiamo avere votato contro di lui o per lui, ma una cosa sola è il posto che ha occupato comunque nell’evento cruciale con cui in Italia s ’inaugura la Seconda Repubblica». Per il sociologo, in altre parole, la sinistra non riusciva a capire il nuovo che era avanzato a causa delle sue ormai invecchiate categorie interpretative. E spiegava: «Forse ci potremmo accorgere che la nostra città è mutata radicalmente e che non il vincitore ma lo sconfitto rischia di essere percepito come un estraneo, uno che viene da fuori, che ha vissuto e peggio ancora continua a vivere all’esterno delle sue mura ». Ecco, sta proprio nella capacità di sintonizzarsi con il “tempo nuovo ”l a chiave per comprendere tutto quello che è accaduto e sta accadendo nella società italiana e nella sua interrelazione con la sfera della politica. Senza questa chiave non c’è possibilità di comprendere il significato profondo della manifestazione di ieri a piazza San Giovanni e del bipolarismo reale (non di quello artefatto del politichese) che ormai attraversa e definisce nel profondo la nuova società italiana. «Il giorno più importante della decennale vicenda politica di Silvio Berlusconi», lo ha definito Gabriele Polo sulla prima pagina del manifesto  .«È in gioco – aggiungeva – un’eredità. Si chiude un ciclo e se ne apre un altro … Questo è in gioco oggi. Non la Finanziaria, non il riconteggio delle schede elettorali, non la demonizzazione di Prodi ». Insomma, anche ad avviso del direttore del quotidiano comunista, ieri è stata la giornata della manifestazione plastica del “popolo della libertà” il cui asse strategico era la sua rappresentazione politica, la capacità di fornire una soggettività unitaria a un blocco sociale maggioritario nel paese e che ha perso le ultime elezioni solo per una manciata di voti. La piazza di ieri ha dimostrato proprio questo: non è questione di sigle, di vertici, di tattiche e di identità. Il popolo ieri in piazza era omogeneo e unito nell’allegria, l’ottimismo e la serenità registrata dagli osservatori non sono altro che la prova di questo. Il bipolarismo sta ormai nei fatti: non sono le alleanze elettorali a costruirlo. Diciamocelo una volta per tutte: i parlamentari e i partiti forniscono rappresentanza alla società ma non è sempre vero il contrario, le formulette di circostanza portano infatti fuori strada. Il popolo della libertà è infatti irriducibile sia a una banalizzante unione dei moderati (questi in realtà stanno ovunque, anche a sinistra) che a una fuorviante coalizione conservatrice (qual è, invece, la reale natura del centrosini-stra). Il collante non può essere quindi di natura terminologica: il popolo della libertà non può limitarsi né nell’etichetta di moderato né nella categoria di conservatorismo. La spinta verso la libertà è qualcosa di più profondo e di più generale. E se è vero che l’Italia è oggi sociologicamente divisa in due blocchi sociali, è guardando ad essi che si possono descrivere le reali tipologie di chi si colloca a destra o a sinistra. Da una parte i ceti interessati ad avere prospettive nuove, spazi di libertà, opportunità di futuro. Dall’altra i soggetti motivati a conservare i vecchi equilibri, coloro che sono più interessati ai diritti e alle regole di consolidamento che alle nuove opportunità. I ceti medi (e non solo) interessati a investire nel futuro, da una parte, i segmenti che puntavano alla perpetuazione delle oligarchie e delle vecchie sicurezze dall’altra. Proprio due giorni fa anche il francese Nicolas Sarkozy rivendicava alla sua politica la «rottura con il conservatorismo e con una società bloccata». E non è un caso che anche a lui si ispiri la coalizione di Fini e Berlusconi. Del resto, questa intuizione è stata, dal ’94 in poi, la spinta propulsiva del centrodestra sin dall’inizio, e questo cemento è oggi avvertito come un dato comune individuando una forte sintonia sociale con la gente comune e le famiglie, con i professionisti e con i piccoli e medi imprenditori, con i dipendenti pubblici e con i risparmiatori, con i commercianti e gli artigiani ma anche con i pensionati e i giovanissimi. Per dirla in termini marxiani, la struttura (sociologica) viene sempre prima della sovrastruttura (politichese). E in questo senso il grande blocco sociale che ieri stava in piazza San Giovanni è più avanti della stessa sua rappresentanza politica. Che è ora obbligata a prenderne atto. Forse un bipolarismo maturo e sereno con un partito democratico di stampo socialdemocratico (al posto dell’attuale Unione) contrapposto a un grande e maggioritario partito popolare della libertà è nell’immediato futuro. Lo indica il “tempo nuovo” espresso ieri in piazza. Lo spiegava, già nel ’94 in quel suo profetico pamphlet Alberto Abruzzese, per il quale lo stesso Fini stava prendendo consapevolezza che i consensi al suo partito nascevano soprattutto «da un centro che trova a destra maggiori garanzie». Oggi, dodici anni dopo e alla luce della manifestazione di ieri, tutto diventa più esplicito. È la nuova dimensione della politica italiana. «Una dimensione – spiegava Abruzzese – socioantropologica, cognitiva, immaginativa, pratica, radicalmente diversa dal passato». È il tempo nuovo che si avvera.

(da Il secolo d’Italia di domenica 03 dicembre 2006)

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danygiorgio
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