Fa piacere parlare di questo gruppo italiano in un momento in cui le cose non vanno molto bene nel nostro paese (per non dire di peggio), di una band che risulta ancora oggi essere un vanto per la musica italiana che però non si ispira allo swing di Carosone oppure a classici della melodia quali “O sole mio”, oppure ancora ai cantautori che hanno dato lustro alla città vesuviana dagli anni settanta in poi quali Bennato (entrambi i fratelli), Pino Daniele o la De Sio (non l’attrice ovviamente, ma la sorella).
La storia si concentra nella figura sciamanica di Gennaro (nome scontato) Della Volpe, più noto come Raiz, da oltre quattro lustri compositore, cantante e, massì, performer a tutto tondo con gli Almamegretta, gruppo che si incarna nella sua figura e soprattutto nella sua voce che è ‘un rarissimo melange di forza ed eleganza’, e non l’ho detto io ma uno che ne sa un po’ di più in fatto di musica pop, tale Mauro Pagani.
Nato nel ’67, sin da piccolo si esibisce in casa cantando “Vengo anch’io? No to no” di Jannacci ma anche qualche pezzo del mattatore Massimo Ranieri; un giorno però sale in macchina assieme a tutta la famiglia e si trasferisce nei pressi di Milano, nuova sede di lavoro del padre. Il giovane di belle speranze incontra nuovi amici che lo iniziano all’ascolto di Beatles, Stones, Who, Led Zeppelin e, cosa nient’affatto scontata per il periodo, Parliament e Sly and the Family Stone.
Dopo qualche anno di permanenza al nord la famiglia Della Volpe, complice un ulteriore trasferimento del padre, ritorna sotto l’ombra del Vesuvio; il ragazzo frequenta l’Università (economia e commercio), a tempo perso la palestra e si infatua di Blues e Soul. Ben presto con i sodali Paolo Polcari e Gennaro Tesone fonda gli Almamegretta, una contrazione di anima migrante che non ha paura di varcare i confini della musica convenzionale. Indecisi su quale stile scegliere, è Raiz a puntare decisamente su dub, funk sintetico e reggae. Nel ’92 a Napoli si respira aria di pantere, occupazioni, rap, proteste e hip hop, fa il botto un gruppo di giovani speranze chiamato 99 Posse, proprio i ragazzi che qualche anno prima gli facevano da spalla mentre loro sviluppano il loro stile sofisticato fatto di soul e dub che li porta alla pubblicazione di un EP di sicura presa sul pubblico, “Figli di Annibale”. Oltre al pezzo che da titolo al disco, dal testo discutibile ma troppo accattivante sia nella versione dub che in quella veloce, ci sono altre canzoni leggendarie: “Sanghe e anema”, “Pace” ma soprattutto il mio preferito “O’ bbuono e o’ malamente” , musica pazzesca ma anche qui un testo estremo nel suo messaggio che giustifica troppe azioni discordanti per far contro la povertà, ma tant’é, agli artisti non si deve far troppo le pulci alle metafore.
Gli Almamegretta cominciano a farsi un nome grazie alle esibizioni dal vivo su e giù per l’Italia, ricordo ancora un concerto in Prato della Valle vissuto, stranamente per me, nelle prime file, e dire che non li avevo mai sentiti.
Novembre 1993, vent’anni fa esatti esce “Anima Migrante”, registrato a Roma ma mixato a Londra, prodotto da Ben Young, uno degli ingegneri di Adrian Sherwood, è l’esordio perfetto che fotografa un gruppo che gira a mille, ci sono pezzi reincisi già presenti nell’EP “Figli di Annibale” ma con versioni superiori in tutto, e poi “Fattallà”, inno del migrante degli anni novanta, “Suddd” funky arabeggiante e “Sole” uscita anche su singolo accompagnata da un video suggestivo in bianco e nero se non ricordo male.
La carriera del gruppo proseguirà fra alti e bassi fino ai giorni nostri se pur non sempre nella medesima formazione, quest’anno hanno partecipato al festival della canzone italiana di Sanremo con un pezzo che non mi sembrava all’altezza di quelli sopra elencati, comunque è stata una soddisfazione vederli in diretta su Rai 1, se lo meritavano.
Per Betta e gli amici napoletani che vivono a Padova
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