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« Non solo gobbi...Magistrati e arbitri, i ... »

L'ultima difesa di Moggi: ho taroccato solo la moviola

Post n°363 pubblicato il 19 Giugno 2006 da noaigobbi
 
Tag: Notizie

NAPOLI — Prima dice: «Io mi trovo a fare Calimero, che è brutto e nero perché è il più debole di tutti». Poi si lamenta: «Qui mi sembra di essere diventato Provenzano, oppure Gelli». Alla fine, dopo quasi cinque ore che respinge accuse e contestazioni, la spara grossa: «Io sono il classico coglione che viene messo in mezzo».

Riempie duecentoventi pagine la trascrizione dell'interrogatorio al quale Luciano Moggi fu sottoposto dai pm napoletani Beatrice e Narducci il 15 maggio scorso nella caserma dei carabinieri di via in Selci a Roma. E in 220 pagine Moggi ammette di non essere «uno stinco di santo», ma per una sola cosa, aver cercato di taroccare la moviola del Processo di Biscardi: «Ho detto diverse volte a Baldas di dare una mano, questo è il male che ho fatto io».

Per il resto l'uomo indicato dai magistrati di Napoli come il capo della cupola che governava il mondo del pallone, non solo respinge le accuse di aver condizionato i campionati, fatto pressioni sugli arbitri, danneggiato chi non stava alle sue regole del gioco, ma le ribalta, sposta altrove il centro del potere calcistico. Dice: «Il potere è dettato da qualcosa che porta ad avere in mano le leve per distribuire certe cose». I soldi dei diritti tv, soprattutto, a cui punta ogni società. «E Galliani, in funzione di presidente della Lega, dice: non ti preoccupare che ci penso io».

E non solo. Con le tv, sostiene lui, si può incidere anche sulle cose del campionato, e si può colpire la Juve. La spiega così: «Inter-Juventus, centomila televisioni, centomila giornalisti allo stadio e nessuno ha visto il fallo di Ibrahimovic. No, guarda caso, chi vede il fallo? Il digitale terrestre di Mediaset e il giocatore cosa fa? Prende tre giornate di squalifica che terminano dopo la partita Milan-Juventus».

Juve penalizzata, dunque. «E noi abbiamo cercato di dare una mossa, una contromossa, che ci potesse aiutare a fare qualcosa per difenderci». Come controllare gli arbitri, gli contestano i pm. E lui che fa? Va direttamente su De Santis, che nello scenario disegnato dalla Procura di Napoli è il fischietto più fidato e fedele della cupola, e fa un discorso che spariglia tutto: «È stato sempre un problema che a noi ci ha danneggiati. L'anno scorso è venuto con l'Inter nella Supercoppa e ci ha annullato un gol valido di Trezeguet che ci poteva portare al pareggio, a Palermo abbiamo perduto 1-0 e non ci ha dato un rigore che lui ha detto era fuori dalla linea invece era dentro, hanno visto tutti quanti. A Parma abbiamo pareggiato ma potevamo vincere: non ci ha dato un rigore che tutti hanno detto che era un rigore».

Quando non accusa, non ricorda. Come nel caso dell'incontro con Maria Grazia Fazi - segretaria di Paolo Bergamo quando era designatore arbitrale - al santuario del Divino Amore a Roma. Prima cade dalle nuvole, e spiega: «Io al Divino Amore ci vado tutte le volte che vengo a Roma perché sono religioso». Poi, dopo avergli fatto ascoltare una telefonata di un quarto d'ora in cui la Fazi riferisce a Bergamo tutti i particolari del loro colloquio in chiesa, gli rifanno la domanda: «Se lo è ricordato quest'incontro, allora?», gli chiede Narducci. E lui: «No».

Non ricorda neppure di che cosa gli parlava il suo amico Giuseppe Marabotto, procuratore di Pinerolo, in una telefonata del 24 febbraio 2005, ben prima quindi che Moggi, con l'avviso di proroga di indagini inviatogli il 14 aprile, venisse ufficialmente informato dalla Procura di essere sotto inchiesta. Marabotto gli dice: «Per quella storia di cui mi parlasti qualche mese fa, ti ricordi? Di... della... di Napoli, insomma. Tranquillo, buonissime notizie».

Buone notizie da Napoli a Moggi non ne sono arrivate, ma come facevano a parlarne, lui e Marabotto, già il 24 febbraio? La risposta: «Non la so dare una spiegazione, ma è da escludere che prima della notifica sapessi qualcosa».

Un momento di assoluta sincerità, però c'è. Forse non è l'unico, ma questo lo è certamente. Arriva subito dopo la storia del «coglione che viene messo in mezzo», che poi lui stesso commenta con un «ho esasperato». È il momento in cui uno dei due pm gli dice: «Mi pare di comprendere che la sua carriera, quella che è stata sino ad oggi, sia irrimediabilmente finita». Qui Moggi non parla da Moggi, non ci prova nemmeno a cercare parole che gli possano in qualche modo tornare utili. Stavolta ha una sola risposta: «Purtroppo sì».

http://www.corriere.it/Primo_Piano/Cronache/2006/06_Giugno/16/bufi.shtml

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