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La sindrome del bunga-bunga

Post n°254 pubblicato il 21 Gennaio 2011 da antilega

 

C’è una strana sindrome che ha investito il centro destra e con esso la lega, ed è quella che potremmo definire la “sindrome del bunga bunga”. Una sorta di emulazione del capo assoluto, del papi per antonomasia, dell’intoccabile bandanato, quello che Bossi definì “molto generoso”, valore riconosciuto in questi anni da molte ragazze alquanto dinibite. Sono di questi giorni le boccaccesche storie dell’assessore leghista della provincia  di Monza. Ma c’è un precursore a questa deriva morale, a questa visione delle donne come prede, della politica come campo di conquista e di affermazione della mascolinità di politicanti senza scrupoli. Si tratta dell’ex sindaco di Varese.  La storia risale a cinque anni fa ed è di questi giorni lo sviluppo giudiziario della vicenda che vedrà l’epilogo nell’udienza del prossimo maggio. I fatti di cui si parla sono oggetto di indagine e le accuse sono quelle mosse dal Pubblico Ministero nei capi di imputazione nel processo in corso. L’allora borgomastro (era il titolo con il quale amava farsi chiamare) era Aldo Fumagalli, un cognome di quelli che non lasciano dubbi sulla padanietà della stirpe, uno di quei cognomi che non lascia speranze ai solerti difensori della purezza padana sempre pronti a ricercare negli avi dei rei e dei delinquenti improbabili e lontane contaminazioni  “terroniche”. Insomma un padano doc di quelli che piacciono tanto a Bossi e ai leghisti duri e puri. Nella vicenda  di Fumagalli ci sono delle strane analogie con gli avvenimenti degli ultimi mesi riferiti al Presidente del Consiglio. Il papi dei poveri della Bosina si è dovuto accontentare degli scarsi mezzi a disposizione rispetto al Cavaliere. Amante delle belle ragazze provenienti dell’est, non potendo contare sulla generosa disponibilità dei mezzi dell’aeronautica militare per scorazzare le proprie pupe, Fumagalli si doveva accontentare dell’auto di servizio con autista messa a disposizione dal Comune. Nessuna televisione privata dove sistemare le avvenenti ragazzine, né la possibilità di farle diventare parlamentari, o gettarle negli urlanti talk show a difendere l’”Indifendibile”. Il povero Fumagalli si doveva accontentare di far assumere, forzando l’appalto in scadenza con il Comune, tre delle ragazze (all’epoca clandestine) da una cooperativa della zona. Non avendo ville e case sparse per tutt’Italia dove sistemare le proprie protette, il papi dei poveri aveva concesso a due delle ragazze rumene che gli dimostravano particolare affetto un appartamento del Comune destinato alle famigli indigenti. Ma il buon cuore del leghista non finiva qui. Per sistemare le altre ragazzine aveva preteso la cessione di un alloggio da parte della cooperativa alla quale aveva già imposto l’assunzione delle tre rumene. Berlusconi è generoso avendo i mezzi per esserlo, il povero Fumagalli invece lo faceva con mezzi non di sua proprietà. Doveva sicuramente destare la commiserazione da parte dei ricchi industriali della zona se questi dopo un festino al quale aveva partecipato il sindaco pensarono bene di placare le sue mascoline pulsioni regalandogli un’allegra nottata con una mignotta russa.

 
 
 
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