|
http://edicola.avvenire.it/
Post n°20 pubblicato il 30 Ottobre 2008 da Antologia2
Né poesia né ideologia nell’immaginare il fine vita « Incombe l’era della Controriforma?» questo è l’allarmante titolo di una nota di Mario Pirani ( La Repubblica, 27 ottobre, p. 23). Se così fosse, dovremmo davvero preoccuparci tutti: tornare indietro di quattro secoli, quattro secoli e mezzo, non è cosa davvero da poco. Corriamo a leggere l’articolo: secondo Pirani un «invisibile Concilio tridentino» sta tornando a riunirsi per reprimere e prevenire insorgenti nuove eresie… E la nostra preoccupazione non può che aumentare. Ma dura poco. Il buon Pirani vuole semplicemente informarci che dietro il dibattito legislativo in merito a una possibile legge sulla fine della vita umana c’è lo zampino della Chiesa che, attraverso i politici teo-dem o neo-com (ognuno scelga la sigla che preferisce), vuole soffocare per legge la libertà della persona umana, opponendosi strenuamente al principio della piena disponibilità sul proprio corpo. Vorrei rasserenare Mario Pirani e invitarlo a tornare ad usare i toni, ben più lucidi e pacati, che egli è solito adottare anche nelle polemiche più vivaci: non è una buona difesa della laicità, quella che usa forzature al limite dell’incredibile (un «invisibile concilio tridentino»!), per lo più anche poco divertenti. E lo vorrei invitare a documentarsi in modo più rigoroso: non è segno di laicità, ma di ideologia, confondere cose diverse (il 'caso Welby', ad esempio non ha nulla a che vedere col problema del 'testamento biologico'). Mi limito a indicare alcuni, pochi punti, sui quali credo davvero che non si possa non convenire (purché si faccia uno sforzo di onestà intellettuale). Nella norma, i pazienti timorosi di essere colpiti (o già colpiti) da patologie anche solo relativamente gravi, ma soprattutto quelli sottoposti a trattamenti sanitari di frontiera o salvavita, sono persone impaurite, fragili, il più delle volte anziane, sole, angosciate da problemi economici e familiari, incerte del loro futuro, bisognose soprattutto di essere alleggerite dal peso di decisioni più grandi di loro, spesso in stato di depressione o di confusione mentale, pronte a dar credito non al parere migliore, ma a quello prospettato loro da ultimo o comunque nel modo retoricamente più convincente. È necessario un grosso lavoro teorico per riformulare la categoria di 'autodeterminazione', per adattarla a queste situazioni.
|