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Post n°20 pubblicato il 30 Ottobre 2008 da Antologia2



A PIRANI E AMICI CHIEDIAMO UNO SFORZO DI ONESTÀ INTELLETTUALE
 
 

Né poesia né ideologia nell’immaginare il fine vita 
 
FRANCESCO D’AGOSTINO


 

« Incombe l’era della Controriforma?»  questo è l’allarmante titolo di una nota di Mario Pirani ( La Repubblica,   27 ottobre, p. 23).

Se così fosse, dovremmo davvero preoccuparci tutti: tornare indietro di quattro secoli, quattro secoli e mezzo, non è cosa davvero da poco.
 

Corriamo a leggere l’articolo: secondo Pirani un «invisibile Concilio tridentino» sta tornando a riunirsi per reprimere e prevenire insorgenti nuove eresie…

E la nostra preoccupazione non può che aumentare. Ma dura poco.

Il buon Pirani vuole semplicemente informarci che dietro il dibattito legislativo in merito a una possibile legge sulla fine della vita umana c’è lo zampino della Chiesa che, attraverso i politici teo-dem o neo-com (ognuno scelga la sigla che preferisce), vuole soffocare per legge la libertà della persona umana, opponendosi strenuamente al principio della piena disponibilità sul proprio corpo.
 

Vorrei rasserenare Mario Pirani e invitarlo a tornare ad usare i toni, ben più lucidi e pacati, che egli è solito adottare anche nelle polemiche più vivaci: non è una buona difesa della laicità, quella che usa forzature al limite dell’incredibile (un «invisibile concilio tridentino»!), per lo più anche poco divertenti.

E lo vorrei invitare a documentarsi in modo più rigoroso: non è segno di laicità, ma di ideologia, confondere cose diverse (il 'caso Welby', ad esempio non ha nulla a che vedere col problema del 'testamento biologico').

Mi limito a indicare alcuni, pochi punti, sui quali credo davvero che non si possa non convenire (purché si faccia uno sforzo di onestà intellettuale).
  1) Il dibattito in merito a questioni bioetiche, concernendo tutti i cittadini, di qualsiasi confessione, ha e non può non avere se non un carattere 'razionale', non 'dogmatico', né meno che mai riduttivamente 'ecclesiale'. Ammesso che esista una bioetica 'cattolica' (io però non ne sono convinto), non è difficile prendere atto, se non si ragiona per pregiudizio, che si tratta di una bioetica pienamente razionale, sostenuta da cattolici e da non cattolici (e qui potrei fare molti esempi: ma perché sollevare Pirani dal dovere, proprio di ogni buon giornalista, di documentarsi direttamente?).
  2) L’autodeterminazione è indubbiamente un valore e un diritto fondamentale. Se però non lo si vuole sostenere con atteggiamento astrattamente ideologico, bisogna prendere atto che nelle situazioni di fine vita il tipico 'soggetto bioetico' non è un esprit fort
  come dicevano gli illuministi, cioè una persona serena, matura, compiutamente informata, lucida, coraggiosa, capace di disporre pienamente di sé, del suo presente, del suo futuro.

Nella norma, i pazienti timorosi di essere colpiti (o già colpiti) da patologie anche solo relativamente gravi, ma soprattutto quelli sottoposti a trattamenti sanitari di frontiera o salvavita, sono persone impaurite, fragili, il più delle volte anziane, sole, angosciate da problemi economici e familiari, incerte del loro futuro, bisognose soprattutto di essere alleggerite dal peso di decisioni più grandi di loro, spesso in stato di depressione o di confusione mentale, pronte a dar credito non al parere migliore, ma a quello prospettato loro da ultimo o comunque nel modo retoricamente più convincente. È necessario un grosso lavoro teorico per riformulare la categoria di 'autodeterminazione', per adattarla a queste situazioni.
  3) Ciò che prima di ogni altra cosa qualsiasi malato (presente o futuro) vorrebbe sentirsi dire non è: «garantisco la tua autonomia», bensì: «garantisco che non sarai mai abbandonato». Questo è il cuore della bioetica. Solo dopo che saremo stati in grado di garantire i malati (quindi, potenzialmente, noi tutti) dall’abbandono terapeutico (lo sa Pirani quanto è difficile farlo?) potremo, doverosamente, garantire il rispetto delle scelte autonome, competenti, lucide, pienamente informate dei malati. La priorità però è quella che ho appena detto e non altra.
  4) Perché i bioeticisti che si autoqualificano orgogliosamente come 'laici', invece di perdersi in polemiche ideologiche anticlericali, non si concentrano su questi problemi? C’è un immenso lavoro da portare avanti insieme, per il bene di tutti, perché i problemi bioetici sono problemi di tutti.
  

 
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