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Post n°383 pubblicato il 29 Luglio 2008 da sampiero_p
Da ' Vita con Gio' ' di Giovannino Guareschi, pagg. 85-86: Il 22 luglio del 1968.Il giorno in cui Guareschi mancò, se ne accorsero per caso. Lui era inginocchiato alla sponda del letto, come se pregasse. Forse pregava veramente, prima di declinare il capo per sempre, ad insaputa di tutti. Lui che non credeva nelle vitamine, ma aveva una fede incrollabile in Dio, in un attimo se andò, svolazzando le ali come uno dei suoi angeli disegnati in punta di matita. Lasciava attonite alcune generazioni di lettori che, per miracolo, da dieci che erano, al tempo della nascita del fogliaccio, denominato "Candido", si moltiplicavano incessantemente, nonostante l'evoluzione del costumi. Certo, erano pur sempre una minoranza, attenta alle gesta di Don Camillo alle prese con i figli della contestazione e convinta che Giovannino l'avrebbe spuntata con i suoi articoli e pamplets perfino con Pasolini. Un film , "La rabbia", segnava l'ingresso del "baffo" nella contesa con i cinematografari impegnati nella lotta contro la tradizione. La mia infanzia intellettuale rammentava la fine del settimanale decretata dal commendator Rizzoli, a causa degl'infortuni giornalistici di un galantuomo-scrittore, gli anni di volontaria galera, e le ulteriori vicissitudini legate all'avvento del progressismo catto-comunista (con cui gli editori dovevano fare i conti). Guareschi non si fermò. Dopo il "suo" settimanale continuò a scrivere su un altro periodico, che lo accolse fraternamente, permettendogli di vivere un'altra stagione di libertà fino alla morte. "Il borghese" di Tedeschi gli assicurò, fino alla fine, il massimo spazio di espressione, consentendo ai suoi "aficionados" di leggerlo ancora con gli ultimi libri, che parevano scritti più per onorare i suoi impegni di gentiluomo con il pubblico, che per sopravvivere in un'atmosfera ormai irrespirabile. La sua perdita repentina ad un'età ancora tutto sommato giovane era un segno della sua stanchezza, di fronte al cumulo di macerie creato dal cosiddetto progresso. Dopo la scomparsa, autorevoli e ormai dimenticati commentatori si arrischiarono nell'impresa di dimostrare che i suoi volumi, tradotti anche in cinese, non valevano nulla: poco più che carta straccia prodotta da uno stravagante personaggio della bassa padana, che aveva avuto "fortuna" nel raccontare favole per adulti, ma di cui si sarebbe persa la traccia nel giro di qualche anno. Avevano la puzza sotto il naso i maestri del giornalismo nostrano, fatte salve le poche eccezioni, che preferirono far finta di nulla, di fronte alla canea insofferente dell'intellighenzia italica. Vittorio Gorresio chi lo ha in mente oggi? Eppure era un "columnist" della "Stampa", il giornale del capitalismo aperto al nuovo ed ai finanziamenti statali per la Fiat, che tuonava contro la produzione "pseudo-letteraria" di Giovannino, ritenendolo indegno di qualsiasi citazione colta. E poi tanti altri più o meno noti, da Jemolo ad Eco, etc.etc.etc. Ma, nel centenario della nascita, che si celebra quest'anno, il nostro autore ancora si fa apprezzare, al di là delle mode e dei gusti letterari, mentre gli altri, i denigratori, non si sa bene, al presente, che cosa possano rappresentare, se non un'epoca in disfacimento, che annega nel mare del nulla. Lui è stato un testimone del suo tempo, con i piedi ben piantati per terra, a difendere il suo piccolo grande, mondo, esempio magnifico della nostra civiltà contadina. Il suo umorismo e la sua fede incrollabile nei princìpi "eterni" sono un fiore all'occhiello della letteratura del novecento. Giovannino resta un "ingenuo" nel senso latino del termine. Forse l'ultimo "ingenuus"dei nostri scrittori.
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